categoria: Draghi e gnomi
Gli spread secondo Lagarde e i 100 fantastiliardi del Tesoro
Sono passati circa 3 mesi dalla conferenza stampa in cui Christine Lagarde annunciò che non era compito della Banca Centrale Europea chiudere gli spread tra i titoli di Stato. Rispetto a quella di giovedì scorso sembra davvero un altro mondo. Molto è infatti cambiato da allora; la consapevolezza dei danni che la diffusione del COVID-19 produrrà all’economia mondiale ed europea è certamente maggiore. Le previsioni macroeconomiche dello staff della BCE di giugno hanno fatto emergere questa maggiore consapevolezza. Non sarà una ripresa cosiddetta a V. Se andrà tutto bene ci vorranno almeno due anni interi per ritornare ai livelli di prodotto precedenti. Se andrà tutto bene la BCE riuscirà ad evitare per poco la deflazione quest’anno e a riportare una moderata crescita dei prezzi nei prossimi due, ma nel medio termine non riuscirà di sicuro a soddisfare il mandato di inflazione vicina ma sotto al 2%.
Il peggioramento delle condizioni macroeconomiche è la giustificazione in base alla quale il Consiglio BCE, ad ampia maggioranza, ha deciso per un nuovo ampliamento del PEPP, il programma di acquisto di titoli pubblici in conseguenza dell’emergenza COVID-19. Questo programma, nella nuova dimensione di 1350 miliardi di euro, porterà il ritmo degli acquisti di titoli pubblici per tutti i prossimi 13 mesi ad un livello che non era stato raggiunto prima (fig.1). Conclusi gli acquisti, la BCE continuerà però a reinvestire l’ammontare di quelli che scadranno per tutto il 2022.
Il bilancio delle banche centrali dell’Eurosistema è quindi destinato, sommando anche un importante utilizzo dei prestiti a lungo termine, ad espandersi ancora. Tutto questo permetterà agli Stati di veder assorbito, con ridotte tensioni sui tassi, il considerevole ammontare di titoli che dovranno emettere per finanziare le misure di contrasto alla crisi economica e di rilancio. Se possiamo ancora credere alle parole che la BCE non è lì per chiudere, per azzerare cioè, gli spread, è altrettanto vero che il programma pandemico è il programma più ampio varato, disegnato certo per porre un tetto agli spread. Non ha limiti di capital key da rispettare periodicamente, non ha il limite del 33% per singola emissione e autorizza il controllo de i tassi a breve termine.
Man mano che gli acquisti arriveranno sul mercato la liquidità in eccesso aumenterà ancora in tutta l’eurozona; in Italia di circa 260 miliardi, assumendo che non vi siano nuove fuoriuscite di capitali. Il Tesoro sarà così più in grado, nel caso lo ritenga opportuno, di aumentare i singoli importi delle emissioni di titoli pubblici. Se ci siamo chiesti in queste settimane perché, pur avendo bisogno di numerose risorse, lo Stato non abbia accettato tutte le richieste di sottoscrizione che arrivavano, non ultima quelle per circa 100 miliardi della settimana scorsa, una risposta ha a che fare con la liquidità di banca centrale che le banche si scambiano fissando i tassi a breve sul mercato interbancario. Ogni volta che lo Stato emette dei nuovi titoli ritira liquidità dal mercato interbancario, quando invece li rimborsa la reimmette. Analogamente, quando lo Stato riscuote le imposte ritira liquidità, quando spende la immette. Collocare titoli per 100 miliardi vorrebbe dire ritirare liquidità per 100 miliardi dal mercato interbancario e così la decisione, per non impattare sui tassi bancari e quindi sull’attività economica, deve tener conto della liquidità esistente e della capacità dello Stato di reimmetterla con la spesa o con le aste. In Italia, ad aprile, la liquidità di banca centrale era 114 miliardi, non ancora sufficiente per assorbire emissioni di importi da 70/100 miliardi. È probabile che nei prossimi mesi, con l’aumento della liquidità presente, anche gli importi delle singole emissioni di titoli di Stato possano essere più elevati.
Ma le recenti decisioni della BCE pongono anche un elemento di novità rispetto a come era stato presentato il programma pandemico. Come rileva la nota di PICTET Wealth Management del 4 giugno, “la decisione di oggi trasmette l’idea che il PEPP si stia trasformando in uno strumento di policy maggiormente standard, utilizzato non solo per evitare la frammentazione finanziaria (traduzione: mettere un tetto allo spread italiano), ma anche per indirizzare le prospettive di inflazione”. Non deve essere sottovalutato il fatto che a fronte del peggioramento delle prospettive di inflazione, con l’inflazione di fondo a medio termine che è prevista ancora ben sotto il mandato del 2%, non si sia fatto ricorso ad un ampliamento del programma quantitive easing ereditato da Mario Draghi, il PSPP, ma a quello pandemico. Come a far presumere che, data la gravità del momento, la maggior libertà di azione offerta dal PEPP offra più efficacia nel correggere le prospettive di inflazione. Ma se così fosse allora il programma in questione potrebbe continuare ben oltre non solo l’emergenza pandemica ma anche il 2022, almeno fino a quando l’inflazione non converga stabilmente verso l’obiettivo. Ed inoltre, se le previsioni di settembre dello staff BCE dovessero nuovamente confermare prospettive di inflazione così basse come quelle di giugno, si renderebbe molto probabile una nuova consistente espansione del programma pandemico. Una nuova pioggia di liquidità che, se probabilmente non azzererà gli spread, è destinata a tenerli ben sotto controllo per un po’ di tempo ancora.