Dopo il Covid19. Economia e disuguaglianze, che strade intraprendere?

scritto da il 19 Maggio 2020

L’autore del post è Demetrio Guzzardi, ricercatore presso la Scuola superiore Sant’Anna –

L’impatto della pandemia Covid19 sull’economia mondiale è sempre più evidente. Le misure di lockdown volte a ridurre i contagi si stanno rivelando efficaci nel contenere la diffusione del virus, soprattutto in Italia, in cui la tendenza settimanale dei nuovi contagi si riduce stabilmente.

Tuttavia, se da un lato questi sono i benefici del lockdown, dobbiamo guardare anche ai costi economici che le misure intraprese portano. Il report mensile dell’ISTAT mostra un quadro chiaro: una forte riduzione della domanda e dei consumi diffusa non solo in Italia ma in tutto il mondo. Nel mese di Marzo esportazioni e importazioni si sono ridotte del 16% [1], le vendite al dettaglio in Italia sono crollate del 21% [2], e la produzione industriale è diminuita del 28% [3], e c’è da aspettarsi risultati simili per aprile.

Il risultato sull’economia è indiscutibile, questi mesi saranno caratterizzati dal crollo della domanda, ci sarà una drastica riduzione del PIL e quindi una riduzione del valore prodotto dalla società, o in termini più semplici, una generalizzata riduzione di reddito.

Se questi sono gli effetti a breve termine, c’è da chiedersi quali saranno gli effetti nel lungo periodo e la risposta non è scontata. È vero che esistono stime e proiezioni sull’andamento del PIL. Confindustria, ad esempio, stima una riduzione del 6% [4]. Eurostat è meno ottimista e prevede una riduzione del 9,5% [5], ma la verità è che queste previsioni sono di fatto estremamente incerte. L’andamento delle economie sarà strettamente interconnesso con lo sviluppo della pandemia e l’incertezza su come si diffonderà il virus rende le stime economiche ancora più ipotetiche. Ad esempio, gli effetti sarebbero imprevedibili se nuove ondate del virus renderanno necessario alternare periodi di apertura e periodi di lockdown.

È però altrettanto importante capire come i costi della crisi siano distribuiti tra la popolazione. Non tutti infatti hanno subito una riduzione dei redditi, e addirittura alcuni potrebbero anche ritrovarsi più ricchi alla fine di questa crisi. Ancora una volta, sono i più poveri a sostenere il maggiore costo economico. I giovani precari, i dipendenti di piccole imprese che con sacrificio arrivavano a fine mese, i lavoratori in nero con lavori più umili, loro sono la fascia della popolazione già povera diventata ancora più povera.

È evidente che la decisione tra il “chiudere” e l’“aprire” debba essere frutto di un’analisi costi-benefici ed è vero che come società in aggregato, i benefici siano maggiori dei costi: Nessuno vuole piangere altre migliaia di morti, per cui, evitare la diffusione di una pandemia ha sicuramente dei benefici maggiori. Però è altrettanto vero che i costi non sono uguali per tutti e andrebbe contro i principi costituzionali farli gravare sulle spalle dei più poveri e dei più svantaggiati.

Ad ogni modo, sembra esserci un certo consenso su come affrontare la crisi economica e anche il governo italiano va in questa direzione. Dal decreto “Cura Italia” a oggi, infatti, l’obiettivo è quello garantire liquidità ad imprese e cittadini con lo scopo salvaguardare il sistema di produzione e di sostenere la domanda per non lasciare intere fasce di popolazione senza redditi. Un’eventualità catastrofica non solo per la tenuta sociale del paese ma anche per l’intero sistema economico.

Tralasciando le questioni più tecniche su quanto gli aiuti siano mirati per le giuste fasce della popolazione, se l’ammontare sia sufficiente e se i sussidi siano erogati in modo tempestivo o meno, il governo pare dell’idea di utilizzare queste politiche economiche per risolvere la crisi e tornare alla vita come la conoscevamo prima del 21 Febbraio. L’ultimo decreto ne è la conferma, infatti, l’ingente quantità di fondi a pioggia interviene per alleviare le sofferenze della crisi ma non tenta alcun cambiamento strutturale.

Se però il fine ultimo di queste politiche economiche è quello di tornare alla vita pre-covid, tornando ad essere una società che lascia il peso delle crisi economiche ai più deboli, a chi è meno fortunato, in cui le speculazioni sono consentite salvo mettere una toppa alla fine, in cui l’ambiente è ultimo nelle scale di importanza, allora forse dovremmo scegliere di non tornare affatto a quel punto di partenza.

Invece di domandarci quali politiche attuare per tornare a come eravamo, dovremmo piuttosto chiederci se è effettivamente il caso di tornare allo status-quo o se invece non sia meglio intraprendere una strada diversa, più coraggiosa, e scegliere, tra le due, la strada “meno battuta”.

COME RISOLVERE LA CRISI
Il Forum Disuguaglianze e Diversità [6] prova ad immaginare una società diversa facendo delle proposte concrete mirate ad un cambiamento di rotta. Mettendo insieme diverse misure per uscire in tempi brevi dalla crisi, cerca anche di dare una visione politica di lungo periodo di una società che mette al centro del futuro e dello sviluppo la giustizia sociale e ambientale.

Ad esempio, propongono di ricorrere più diffusamente ai Workers Buyout come strumento di uscita dalla crisi per molte PMI, per cui i lavoratori dell’azienda in difficoltà ne acquisiscono la proprietà, anche grazie all’impiego dei trasferimenti pubblici, attraverso la formazione di una cooperativa.

Propongono di accantonare definitivamente la logica che ha creato le grandi agglomerazioni urbane che guarda solo ai ritorni in termini di creatività e innovazione, ma che ignora completamente le esternalità negative della concentrazione, in termini di traffico, sicurezza, impatto climatico, tempi di vita, inquinamento. Da qui un ritorno più importante dell’interesse pubblico nelle scelte industriali, un “pubblico” presente ma non invasivo, che dia indirizzi di sostegno e utilità sociale alle imprese pubbliche.

Il Forum chiede anche di ripensare a nuovi dispositivi di redistribuzione fiscale e sociale e propone un’eredità universale per i giovani finanziata per 2/3 dalla tassazione sull’eredità sopra i 500mila euro. Un trasferimento universale, non condizionato di 15mila euro al compimento dei diciotto anni, a partire dal 2024, un passo indispensabile per dare a ogni ragazzo e ragazza la libertà di scegliere un’università lontana, piuttosto che investire in un periodo all’estero o nell’avvio di un’attività imprenditoriale.

Queste sono solo alcune delle tante proposte e ognuna apre le porte a tantissimi altri miglioramenti, ma il cambiamento fondamentale che andrebbe fatto è forse quello di lasciare le logiche di mercato e del profitto alle nostre spalle, abbandonare del tutto l’idea che il benessere possa “gocciolare” dai più ricchi ai più poveri, smettere di credere che l’importante sia la dimensione della torta e non la sua ripartizione, e convincerci invece che solo rendendo tutto il sistema più giusto, più equo, più attento alle differenze delle persone, dei territori e dell’ambiente potremo creare una società capace di rialzarsi.

È difficile dire se questo sia abbastanza, ma sicuramente è un primo passo che, forse, dovremmo fare proprio ora che questa ennesima crisi ci ha mostrato la fragilità del sistema economico e sociale in cui viviamo. Se dovessimo invece decidere di non cambiare nulla, di tornare a come eravamo prima, di non imparare nulla da questa pandemia, in futuro, non appena il covid sarà sconfitto, qualcosa di ancora più drammatico e profondo ci attende: la crisi climatica. 

 

NOTE

[1] https://www.istat.it/it/archivio/242920

[2] https://www.istat.it/it/files//2020/05/Nota-mensile_aprile_2020.pdf

[3] https://www.istat.it/it/archivio/242661

[4] https://www.ilsole24ore.com/art/confindustria-enorme-perdita-pil-semestre-10percento-ADJ7hAH?fromSearch

[5] https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/ip125_en.pdf

[6] https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/durante-e-dopo-la-crisi-per-un-mondo-diverso/