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Con il coronavirus da una storica impasse fiscale ad una riforma illuminata
L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –
La strada tracciata dal coronavirus per la nostra economia è innegabilmente orientata verso una prospettiva di recessione. Non si tratta di una visione pessimistica, quanto semmai (ahimè) di un’ovvietà. Il compito, non semplice, che grava e graverà sulle spalle della classe politica nell’immediato futuro è quello di evitare che la recessione si trasformi in depressione. Nelle ripartenze, del resto, noi italiani abbiamo sempre dimostrato di essere efficaci ed è auspicabile che sia così anche questa volta.
In un contesto economico di recessione, le “leve” che si possono movimentare sono principalmente di due tipi: quelle monetarie e quelle fiscali. Ora, considerando che la politica monetaria è pressoché sottratta al controllo nazionale, con la centralizzazione europea che non sempre ci ha favorito (per usare un eufemismo), il ferro su cui battere il martello resta uno solo, mettendo in luce in maniera quasi naturale e scontata la medicina – altro che “Cura Italia”! – su cui rilanciare l’economia nazionale: una seria, complessiva e illuminata riforma fiscale.
Questa valutazione non è frutto di opinione, del sottoscritto o di chiunque altro la invochi. È una questione scientifica, un qualunque studente di macroeconomia che sia in procinto di dare l’esame (con prospettive dal 18 in su) fornirebbe probabilmente la medesima risposta.
Seria. Complessiva. Illuminata. Queste sono le tre parole che ho scelto, non a caso, per descrivere la tipologia di intervento che il contesto richiede. Non è sufficiente, infatti, che si faccia una riforma fiscale “qualunque”, magari più nominativa che altro, per il sol fatto di poter dire che sia stata fatta, attaccando la relativa medaglia al petto di chiunque ne sia autore. Serve una riforma seria, in primis, che vada a mutare radicalmente l’attuale paradigma, già poco sostenibile ed efficace nella situazione pre-crisi, probabilmente insopportabile e definitivamente mortifero per le imprese post-coronavirus. Serve una riforma che faccia sentire i propri effetti, insomma.
L’intervento, poi, deve essere complessivo, nel senso che deve riguardare l’intero apparato fiscale, dalla tassazione di redditi e patrimonio sino all’accertamento, dalla riscossione delle imposte statali e locali sino alla fase giudiziale. È opportuno scongiurare provvedimenti “spot”, modificando un po’ questo, un po’ quello e lasciando buchi normativi, strascichi della vecchia legge e scarso coordinamento tra i vari procedimenti e tra le diverse imposte. Del resto, è ciò a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Grandi proclami, grandi aspettative e, nel concreto, delle “misurette” che sanno di contentino e che non cambiano le cose nella sostanza. Non è possibile, a questo punto, intervenire col trucco, serve direttamente una nuova faccia. La riforma, dunque, deve essere totale, complessiva, stravolgendo il sistema e non soltanto ritoccandolo con un po’ fondo tinta.
Da ultimo, è necessario che sia un intervento illuminato. Un termine che può significare tutto e niente, e che proprio per tale ragione intendo spiegare. Partirei da due considerazioni preliminari, in modo che la prima conduca direttamente alla seconda. Illuminazione, partendo dal suo significato letterale, vuol dire ottenimento di una visibilità, di una chiarezza più intensa ed efficace. Ed è proprio questo di cui avrebbe bisogno il sistema: chiarezza. La riflessione ci porta, come detto, al secondo aspetto, che è quello di considerare gli elementi di maggiore criticità che connotano il paradigma attuale. La normativa fiscale è una foresta selvaggia, non c’è guida che tenga quando si tratta di inerpicarsi nei suoi tentacoli: se ne esce a difficoltà. E questo clima di incertezza scoraggia i nuovi investitori e, per la verità, anche i vecchi investitori, molti dei quali saranno probabilmente portati alla dismissione, nel nuovo contesto recessivo.
Sotto questo aspetto, è ben accetta ogni proposta volta alla semplificazione del sistema fiscale, può andar bene la flat tax, con un’aliquota unica per imprese e lavoratori, ma anche un paio di aliquote sarebbero sostenibili. Già, sostenibilità. Altra parola chiave, da tenere in considerazione per una riforma illuminata. L’altro grande cruccio dell’attuale impostazione fiscale attiene ad un aspetto squisitamente quantitativo: la pressione fiscale è troppo alta e, con l’ulteriore indebolimento da coronavirus, non è più concepibile.
Del resto, ricollegandoci all’argomentazione macroeconomica da cui parte tutto il nostro ragionamento, la recessione va contrastata con una politica fiscale c.d. “espansiva”, che passa per un alleggerimento del carico fiscale su imprese e famiglie (possiamo chiederlo anche al nostro studente di prima, che aspiri ad una votazione dal 18 in su). Anche in questo caso, quindi, non si tratta di propendere per un colore politico o per un altro, non si tratta di legarsi alle proposte di un partito o di un lato del Parlamento: la risposta è semplicemente nei libri di economia e, se vogliamo, anche in quelli di storia.
Un regime fiscale completamente rinnovato, semplice e tollerabile per il contribuente.
Il tutto, accompagnato da un’opportunità di restyling per le imprese rispetto alle pendenze accumulate in precedenza, attraverso una misura di definizione agevolata globale, che funga da azzeradebiti e consenta una efficace ripartenza su un campo da gioco nuovo, con regole nuove e, si spera, risultati migliori.
La necessità di una misura definitoria segue di pari passo l’intenzione di riformare il sistema fiscale e rappresenterebbe, peraltro, un cuscinetto di entrate, sotto l’aspetto dell’introito immediato che ne deriverebbe per l’erario, necessario per attutire i minori incassi iniziali legati all’introduzione di un regime fiscale più light.
Pagare di meno, dunque, ma pagare tutti. Sembra elementare ma, evidentemente, non lo è nel nostro contesto dove, da un lato c’è chi sostiene che la pressione fiscale potrà essere ridotta solo quando tutti i contribuenti si “convertiranno” alla legge del pagamento (quindi, verosimilmente mai); e dall’altro, c’è chi sostiene che chi evita di pagare le tasse potrà cambiare idea solo dopo che saranno diminuite.
Siamo, insomma, all’impasse da anni.
Cogliamo l’opportunità di questa crisi per fare la prima mossa, affinché essa non sia trascorsa invano. Trasformare la crisi in opportunità, un tempo sapevamo farlo.
Oggi, chissà?