Le ambizioni federaliste di un’Europa asimmetrica alla prova del fuoco

scritto da il 06 Maggio 2020

L’autore di questo post è Eraclito, pseudonimo che un “umile servitore dello Stato”, esperto di economia e finanza, soprattutto in ambito internazionale, ha scelto per scrivere con maggior libertà –

La crisi economica scatenata dalla pandemia da Covid19 è radicalmente diversa dalle precedenti non solo per il suo impatto sull’economia ma anche per i meccanismi con cui si è materializzata. Questi ultimi fanno sì che la reazione di politica economica non può che essere incentrata sulla politica fiscale, pur con un ruolo importante della politica monetaria. Quello che si va delineando nell’Unione Europea è un quadro denso di rischi ma anche di opportunità, che ogni crisi paradossalmente offre per essere superata.

In Europa e negli Stati Uniti sono state appena diffuse le statistiche ufficiali relative al primo trimestre del 2020, in cui peraltro l’impatto del contagio è stato limitato alla seconda parte del trimestre. Questi dati congiunturali sono significativamente negativi e coerenti con le recenti stime del Fondo Monetario per il 2020 secondo cui il PIL globale si ridurrà nel 2020 del -3 per cento (più di sei punti percentuali in meno rispetto alle precedenti previsioni) con ribassi molto più accentuati per i paesi avanzati (-7,5 per l’area dell’euro e -9,1 per cento per l’Italia).
Queste previsioni esprimono bene non solo l’ordine di grandezza senza precedenti della recessione ma anche la forte carica di incertezza che la caratterizza. Infatti, esse sono basate sull’ipotesi che la pandemia sia sostanzialmente superata entro il secondo trimestre dell’anno. Lockdown più duraturi e protratti anche nella seconda metà dell’anno potrebbero rivelare cali del PIL ex post ancora più negativi.

Si tratta della stessa incertezza che genera il dilemma che si pone ai decisori politici nazionali ed internazionali in termini di mantenere o allentare le misure di distanziamento sociale. Ciò vale sia a livello di singoli paesi, Italia inclusa, sia a livello internazionale, dove vi sono chiari rischi di spill over. Infatti, a livello globale è doveroso che tutti i paesi del mondo fronteggino con prudenza ed efficacia il contagio del virus, in quanto comportamenti imprudenti da parte di singoli paesi rischierebbero di danneggiare seriamente gli altri paesi virtuosi, riaccendendo nuovi focolai di contagio con effetti deleteri non solo dal punto di vista sanitario ma anche economico.

La risposta di natura eccezionale della politica monetaria per garantire liquidità al sistema ha in parte attenuato gli effetti della crisi. Tuttavia, per la natura della crisi e anche per la rilevanza dello shock dal lato dell’offerta, la reazione di politica economica non può che essere incentrata sulla politica fiscale. Quest’ultima finora si è espressa in modalità ancora insufficienti nonostante tutti i policy makers mondiali siano concordi sulla necessità di questa impostazione di politica economica. Tra i tanti, l’intervento di qualche tempo fa sulla stampa di un autorevolissimo ex-policy maker come Mario Draghi è stato molto efficace sull’imperativo di mobilizzare risorse pubbliche.

Oltre a gestire l’economia nelle fasi di lockdown, a partire già da adesso, occorrerà valutare se sia ancora valido il precedente paradigma economico, che peraltro negli ultimi lustri non ha prodotto risultati del tutto soddisfacenti né in Europa né in Italia, oppure più probabilmente se e come il paradigma per un’economia moderna debba essere cambiato e innovato, per esempio in chiave più sostenibile.

Lungo tutto questo percorso verso un nuovo regime post-crisi, è essenziale l’utilizzo di risorse fiscali per dare linfa vitale ad una nuova e progressiva ripresa economica. Il ricorso massiccio alla politica fiscale comporterà inevitabilmente innalzamenti ragguardevoli del deficit e del debito pubblico in tutti i paesi, i quali hanno accesso al mercato finanziario con costi di indebitamento differenziati.

Tale differenziazione rende bene l’idea di come uno shock simmetrico quale è la pandemia diventi di natura asimmetrica per l’impatto che esso provoca date le condizioni di partenza, tra cui quelle di finanza pubblica. Purtroppo, il nostro paese è tra i più vulnerabili: il Documento di Economia e Finanza appena pubblicato colloca il deficit del 2020 al 10,4 per cento e il debito pubblico a più del 150 cento, il più alto livello della storia repubblicana. Lo spread BTP-Bund oltrepassa significativamente i 200 punti base, il più alto nell’area dell’euro ad eccezione della Grecia.

La citata asimmetria è forse uno dei principali motivi alla base dell’azione a volte maldestra (si ricordi la gaffe della Presidente della BCE, Lagarde) o tardiva delle istituzioni europee che faticano a raggiungere un accordo. La stessa asimmetria sarà fonte di una deleteria divergenza nell’Unione Europea e potrebbe essere anche il motivo che impedirà di cogliere l’opportunità di fare un balzo significativo in avanti nell’integrazione europea.

Infatti, al contrario della politica monetaria, un bilancio europeo quasi non esiste avendo una dotazione di poco superiore all’1 per cento del PIL europeo. Con la crisi del debito sovrano è stato progressivamente costruito un nuovo strumento, il Meccanismo Europeo di Stabilità, dotato di grandi risorse ma pensato essenzialmente per finanziare a certe condizioni quei singoli stati membri in crisi che non avevano altra possibilità di reperire risorse sul mercato.
Maggiori prerogative di natura fiscale a livello europeo sarebbero desiderabili in una logica di politica economica a partire dal contrasto di grandi crisi comuni come quella attuale e probabilmente anche per attenuare le differenze regionali all’interno dell’Unione con la stessa logica dei Fondi Strutturali. Una maggiore integrazione in questo campo implicherebbe anche un maggior coordinamento politico essendo il fisco una prerogativa fondante delle democrazie nazionali (no taxation without representation).

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In questo contesto, la risposta alla crisi in atto da parte dell’Unione Europea si fonda su tre elementi principali. Il primo è sicuramente apprezzabile ed è stato già delineato dalla Presidente della Commissione con l’appellativo di SURE e con una dotazione di 100 miliardi di euro, destinati a finanziare il sostegno al reddito di quei lavoratori non utilizzabili dalle aziende per la debolezza del ciclo economico.

Seppur apprezzabile, data la profondità della crisi, tale strumento non è sufficiente per garantire una ripresa economica. Pertanto, come noto, si sta negoziando il perfezionamento dello strumentario attraverso un mix di altri due pilastri: il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) già esistente e lo European Recovery Fund (ERF) da creare ex novo. La logica di questi due strumenti non è la stessa e infatti riflette un compromesso politico tra due visioni differenti. Infatti, l’uno (il MES) opera in chiave intergovernativa responsabilizzando i singoli stati e l’altro (lo ERF) opererà auspicabilmente in chiave federalista europea in attesa dei dettagli ancora da venire.

La natura intergovernativa del MES si evince dal fatto che un suo intervento sarebbe rivolto non già all’Unione ma solo a quei paesi che facciano richiesta di un finanziamento la cui unica condizionalità in questo caso dovrebbe essere la destinazione di quelle risorse al contrasto dell’epidemia. Sorge comunque spontaneo l’interrogativo se dopo l’erogazione del prestito, nel caso lo Stato membro non riuscisse a rimborsarlo nei tempi stabiliti, non possano essere introdotte nuove condizionalità a garanzia del rimborso stesso.

Lo European Recovery Fund è stato annunciato dall’ultimo Consiglio Europeo che però non ha divulgato dettagli particolareggiati sulle sue caratteristiche operative presumibilmente perché ancora in corso di negoziato tra gli Stati membri.

È auspicabile che la proposta relativa al Recovery Fund che sarà presto presentata dalla Commissione Europea al Consiglio sia ispirata ad una logica genuinamente federalista. Questo significherebbe, da un lato che lo ERF sia finanziato con l’emissione di obbligazioni (i cd. Corona bonds, evitando così il termine tabù di Eurobond); dall’altro, vorrebbe dire che le risorse raccolte con il ricorso al mercato siano utilizzate e spese per le esigenze che tutta l’economia europea richiede nella sua interezza.

In definitiva, saranno i negoziati del Consiglio Europeo sull’imminente proposta della Commissione a dire fino a che punto l’Unione Europea riuscirà ad essere ambiziosa e federalista e, come tante volte accaduto in passato, ad approfittare di una crisi per fare passi avanti nell’integrazione europea.