Sanità e decentramento: una buona medicina, da dosare con cura

scritto da il 30 Aprile 2020

L’autore di questo post è Andrea Pradelli, laurea magistrale in Economia e Scienze Sociali all’Università Bocconi, redattore de Gli Immoderati e autore per Neos Magazine –

Il Coronavirus ha riacceso lo scontro Stato-Regioni. Oggi il tema è la Sanità: meglio centralizzata o decentrata? Qui presentiamo una nuova prospettiva: il decentramento fa bene alla salute, ma solo fino a una certa soglia. L’effetto è maggiore nei sistemi sanitari basati su meccanismi di mercato.

Negli ultimi 40 anni molti Paesi hanno delegato la Sanità agli enti locali, sperando di renderla più efficiente. Regioni e Comuni, infatti, possono fornire servizi più mirati ai cittadini, perché conoscono meglio le loro preferenze. Questo è vero quanto più disomogeneo è un Paese. Inoltre, la concorrenza fra Regioni responsabilizza la classe dirigente locale e facilita la diffusione delle buone pratiche. Dall’altra parte, però, il rischio è creare diseguaglianze e frammentazione normativa.

Tanti hanno studiato le conseguenze delle riforme nei singoli Paesi. Youngju Kang,Wonhyuk Cho e Kwangho Jung (2012), tre studiosi dell’Università di Seoul, fanno qualcosa di più. Con un dataset di 22 Paesi OCSE dal 1990 al 2005, valutano l’effetto del decentramento sui risultati sanitari. Questi ultimi sono misurati con il tasso di mortalità infantile, considerato la cartina di tornasole della salute di una popolazione, perché dà informazioni sui neonati e sulle madri ed è l’indicatore più sensibile alle riforme. A sua volta, il decentramento è inteso come rapporto percentuale tra la spesa sanitaria del governo locale e quella dello Stato centrale.

La prima ipotesi è che la relazione tra decentramento e salute sia nonlineare, cioè positiva fino a una certa soglia e poi negativa. Inoltre, gli autori vogliono scoprire se questo effetto varia in base alle caratteristiche istituzionali del sistema sanitario. I Paesi vengono perciò divisi in sei gruppi in base a metodo di finanziamento (assicurazione privata o pubblica, copertura universale o parziale), natura pubblica o privata e livello di concorrenza dei fornitori dei servizi (fra cui gli ospedali) e altri criteri. Il risultato è riassunto nella seguente tabella:

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Gli autori inseriscono nel modello anche il numero di nascite, una misura del reddito pro-capite e la spesa sociale, per isolare l’effetto del decentramento sulla salute da altre variabili.
Il risultato è chiaro: maggiore è il livello di decentramento, minore è il tasso di mortalità infantile. Se però eleviamo la prima variabile al quadrato, la relazione con il tasso di mortalità infantile si inverte. Come suggeriva la prima ipotesi, sembra che esista un “livello ottimale” di decentramento, superato il quale gli svantaggi sono più dei vantaggi. Come si vede dalla figura seguente, però, il punto di flesso non è uguale per tutti i Paesi.

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Veniamo quindi alla seconda ipotesi. Dai risultati, la relazione negativa fra decentramento e tasso di mortalità infantile sembra significativamente più forte solo per il primo gruppo di Paesi, quelli che più si affidano alle dinamiche di mercato sia nel finanziamento sia nella fornitura dei servizi sanitari. In parole povere, dove la Sanità è “privata”, i benefici del decentramento sono maggiori e il punto di flesso è più lontano. Nei sistemi privatizzati, infatti, il paziente ha più opportunità di scelta fra i possibili fornitori: i diritti del consumatore sono più tutelati. Con il decentramento, i fornitori possono offrire esattamente i servizi che il governo locale richiede, in base alle preferenze dei cittadini. La qualità e l’efficienza della Sanità migliorano e così la salute della popolazione. Un esempio è la Germania, dove il finanziamento e la fornitura dei servizi dipendono dal mercato: decentrare la Sanità ha funzionato come misura di controllo della qualità del sistema.

Lo studio di Kang, Cho e Jung è solo un primo passo. Includendo altri Paesi nel dataset, introducendo indicatori sanitari diversi dal tasso di mortalità infantile e considerando anche gli effetti del decentramento sulla disuguaglianza i risultati avrebbero potuto essere diversi. A Seoul, però, hanno rotto un tabù: il decentramento di per sé non è né buono né cattivo, perché faccia bene alla salute bisogna maneggiarlo con cura.