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Dalla deducibilità al credito d’imposta, misure più efficaci per la ripartenza
Post di Claudia Capuano, commercialista e revisore contabile, e Antonella Dragotto, giurista –
I danni economici della pandemia si stimano enormi, ed è oramai cosa nota. La Banca d’Italia parla di caduta del PIL del 5% nei primi tre mesi del 2020 e di una ulteriore contrazione per il periodo successivo. Il Paese è chiuso, i consumi mancano. Bisogna ripartire, mettere liquidità direttamente nelle tasche di imprese e cittadini, come hanno fatto in altri Paesi. Ma quello attivato dal Governo italiano è soprattutto un sistema di garanzie pubbliche e di intermediazione bancaria. Si è scelto un percorso impervio. Le banche non hanno certezze sulla sorte futura dei crediti concessi per emergenza Covid, non potranno evitare la valutazione del merito e tutto questo allungherà i tempi e potrà indurre a comportamenti eccessivamente prudenti, non coerenti con lo spirito della misura. Le imprese si indebiteranno e poiché il periodo non è favorevole probabilmente avranno difficoltà a ripianare il debito, saranno più rischiose, vulnerabili e meno propense ad investire.
In sintesi, lo schema della garanzia pubblica a prima richiesta – che non dimentichiamo sarà la mutualizzazione del debito fra tutti i cittadini, sui quali ricadrà il costo dell’eventuale escussione della garanzia – da solo non può funzionare e non offre la liquidità che serve in questo momento.
E allora cosa fare? Se non è possibile intervenire con nuova finanza a fondo perduto, perché quella dovrebbe essere la cura per l’emergenza, quantomeno si potrebbero adottare misure con un impatto immediato nelle tasche di imprese e contribuenti.
Si potrebbe iniziare con un alleggerimento fiscale sulle imposte, prevedendo ad esempio una rateizzazione più lunga per il saldo imposte dell’anno 2019 e consentendo il non versamento degli acconti per il 2020.
Per l’anno in corso, tenuto conto del periodo di chiusura delle attività, si potrebbe ridurre l’imposizione fiscale in ragione di dodicesimi di anno: ad esempio, se l’imposta è 100, si potrebbe ridurre di 3/12, se la chiusura delle attività ha avuto la durata di 3 mesi. Per la restante parte del 2020 (ad es. 9 mesi di attività) si potrebbe ipotizzare una ulteriore riduzione dell’imposizione fiscale, graduale ed in punti percentuali, ovvero adottare parametri e criteri che tengano conto delle dimensioni dell’impresa, del numero dei dipendenti, del fatturato a una predefinita data del secondo semestre dell’anno.
E perché non riproporre il meccanismo anche per il 2021?
L’alleggerimento del carico fiscale – unitamente ad altre misure – consentirebbe alle imprese di avere quel respiro finanziario necessario a fronteggiare le spese indispensabili per garantire la continuità aziendale (dipendenti, locazioni/affitti, forniture ed utenze etc), programmare gli investimenti, evitare licenziamenti e, ove possibile, procedere con assunzioni. Ne beneficerebbe il PIL.
Quanto agli interessi passivi sostenuti a vario titolo (finanziamenti, rateizzazioni etc), essi rappresentano una voce importante dell’indebitamento dell’impresa. La loro parziale deducibilità consentirebbe un accesso al credito senza pesare sul trattamento fiscale e una più mitigata tassazione dei proventi, con conseguente alleggerimento della sfera finanziaria dell’impresa.
La deducibilità dei costi per privati e imprese è un’arma efficace per incentivare ed incrementare i consumi e per tenere a bada l’evasione fiscale. La richiesta del documento fiscale di spesa costringe a dichiarare il reddito prodotto.
Turismo e ristorazione soffrono più di altri settori. La chiusura ne ha azzerato il volume d’affari e la riapertura con limitazioni e distanziamenti avrà un devastante effetto sulla produzione, sull’impiego del personale (ridotto perché superfluo rispetto alle ordinarie necessità), sulla stessa disponibilità dei clienti ad usufruire del servizio. Si stima una consistente contrazione degli incassi, tendenti allo zero nelle aree turistiche, con conseguente impossibilità di far fronte alle spese della gestione corrente. La ripresa sarà lentissima e fortemente dipendente dalla riapertura dei territori; la ripartenza non può prescindere dagli auspicati incentivi al consumo di beni e servizi.
Il bonus vacanze (350 euro) è una detrazione insufficiente, forse non riesce a coprire neanche la spesa del trasferimento nelle località di vacanze. La deduzione dei costi connessi alla spesa alberghiera, alimentare e per ristoranti, con un tetto di spesa (e/o percentuali prestabilite) e solo se effettuati con l’uso di strumenti tracciabili, sarebbe un efficace incentivo ai consumi, alla ripresa di questi settori, al PIL. L’utilizzo del documento fiscale associato al pagamento tracciabile consentirebbe l’emersione di redditi non dichiarati.
Il credito d’imposta è già strumento applicato dal Governo e allora perché non estenderlo a ogni tipologia di spesa, compresi i presidi sanitari, connessa alla sanificazione e alla pulizia dei locali di impresa e delle abitazioni private. Questa soluzione incrementa consumo, reddito e produzione. Disincentiva il “nero”.
Per agevolare i cittadini/contribuenti si dovrebbe introdurre un credito d’imposta per tutte le locazioni di immobili (abitativi e non), aperto non solo ad imprese ma anche a professionisti e privati.
In sostanza, l’accesso al credito (seppur garantito dallo Stato) da solo non può funzionare anche per le incertezze che ruotano intorno alla misura. La defiscalizzazione, invece, ha numerosi vantaggi e sarebbe un positivo segnale anche in termini di immagine per il Governo.
Il meccanismo, se ben pianificato e strutturato, potrebbe essere applicato anche ad altri settori: costruzioni, ristrutturazioni, spettacolo, moda, automotive.