Turismo, come cambiare strumenti e strategie per diventare moderni

scritto da il 10 Aprile 2020

Pubblichiamo un post di Raffaello Zanini, fondatore del portale Planethotel.net. Laureato in urbanistica, assiste gli investitori del settore turistico alberghiero con studi di fattibilità, consulenza ai progettisti, selezione di opportunità.

Il Coronavirus sta devastando il turismo mondiale. Secondo STR nella settimana che terminava col 28 marzo, ad esempio, negli USA il parametro fondamentale per il settore che misura la redditività di ciascuna camera disponibile, è crollato dell’80,3%, con una punta del -93,3% nel segmento lusso.

In America un calo così forte non lo si ebbe nel settembre 2001, ai tempi dell’attentato alle Torri Gemelle (-38% in una settimana), e neppure nel settembre 2009, nel momento del crollo di Wall Street (- 25% in una settimana).

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Anche in Italia la crisi del virus cinese si aggiunge ad una situazione di lungo periodo che ha prodotto quell’inesorabile perdita di posizioni nelle classifiche del turismo mondiale avvenuta negli ultimi due decenni: così oggi l’Italia è sì al quinto posto per arrivi turistici, ma al sesto per International Tourism Receipt, e senza una deciso cambio di rotta ci troveremo ben presto ad essere superati anche da destinazioni che crescono con maggiore velocità, come Australia, Germania, Giappone.

Qui vogliamo indicare due aspetti delle politiche pubbliche in tema di ospitalità che, se affrontati, possono favorire un veloce cambio di rotta per il nostro turismo, frenato (come molti aspetti della vita economica italiana) dalla cecità di politici regionali e nazionali.

I DATI DEL TURISMO

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Misura del minor rilievo del turismo italiano nel panorama internazionale, è la posizione italiana già superata dalla Spagna, che è saldamente ai primi posti delle classifiche WTO assieme a Francia, Cina e Stati Uniti. Sistematicamente superata anche dal Regno Unito, che ha un numero inferiore di arrivi ma di maggior valore economico.

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Scrive Mattia Coluccia “un nuovo studio di Cerved, stima che “nel biennio 2020-21, le imprese operanti nella filiera travel & tourism potrebbero subire perdite dei ricavi dai 33 ai 73 miliardi di euro, con contrazioni particolarmente significative in alcuni settori come quello alberghiero, delle agenzie di viaggio, della ristorazione e dell’autonoleggio”

Anche Trip Advisor, pur con statistiche poco scientifiche, conferma la tendenza: cinque anni fa nelle prime 25 destinazioni mondiali Roma era settima, Venezia sedicesima, e Firenze ventunesima. Poi venivano Capri, Amalfi, Positano, Sorrento e Pompei. In generale quindi gli utenti di Trip Advisor consideravano l’Italia e le città storiche italiane attrazioni da visitare.

Nel 2019, mentre Roma resta saldamente al 5° posto a livello mondiale, e la Sicilia si piazza al 7°, il resto delle città italiane è scivolato sotto la 25° destinazione.

Tutti questi dati testimoniano di una debolezza strutturale del turismo italiano, che vive sugli “allori” di un fasto passato, che si allontana sempre più, e che oggi si riflette in fatturati non stabili, e molto a macchia di leopardo, con conseguenze negative sia sull’occupazione, ma anche sull’attrattività del paese per gli investimenti del settore.

Purtroppo, a complicare le cose, i numeri che rappresentano la situazione del turismo italiano non sono certi. Mentre alcuni autori si riferiscono alle stime della Banca d’Italia, altri basano i propri ragionamenti sui dati dell’ISTAT, sebbene entrambe le fonti siano assai criticate per la limitata affidabilità.

Sul tema rimando al lavoro di Antonio Pezzano e a molti studi di Luca Martucci. Secondo la World Tourism Organisation nel 2018 l’Italia ha avuto 61,6 milioni di arrivi, cui ha corrisposto un fatturato incoming di oltre $ 49,3 miliardi, a rappresentare ben l’otto per cento del valore dell’export italiano. Molti studiosi considerano che l’intero settore turistico rappresenti più del 12% del PIL nazionale, un dato certamente rilevante, ma che potrebbe crescere tranquillamente fino a rappresentare il 18-20% del PIL, se solo si mettesse ordine e desse certezza agli operatori del settore ospitalità.

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I dati citati giustificano la rilevanza delle politiche pubbliche a supporto del settore (sia per chiederne e per prometterne) ma nascondono il costante declino che turismo e ospitalità stanno subendo da qualche decennio a questa parte, responsabilità congiunta del potere pubblico e della maggior parte degli imprenditori.

Come molti imprenditori italiani, anche quelli del turismo negli ultimi anni sono apparsi stanchi e demotivati, più attenti ad operazioni immobiliari rivelatesi (col senno di poi) perdenti, piuttosto che ad un vero processo di costruzione e crescita di un’industria – quella turistica – che davvero potrebbe rappresentare uno dei pilastri della rinascita economica italiana. 

Il turismo italiano soffre dei mali di buona parte dell’economia italiana, necessita di più capacità competitiva, innovazione, investimenti mirati, valorizzazione delle eccellenze.

LA COMPETITIVITÀ DEL TURISMO ITALIANO
Qualche buona notizia viene dalle classifiche sulla competitività del turismo del World Economic Forum (WEF) secondo il quale l’Italia è passata dal 28° posto nella speciale classifica mondiale del 2009, all’ 8° posto del 2019.

Nel 2009 I fattori che maggiormente penalizzavano il nostro paese erano il prezzo dei soggiorni alberghieri, crimine e violenza, limitata efficacia delle politiche di marketing per attrarre turisti,
la qualità e quantità della spesa del governo per il turismo.

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Dieci anni dopo, mentre alcuni limiti sono stati superati, se ne sono evidenziati altri.

I problemi che restano insoluti sono tutti ascrivibili alle politiche del governo il quale ha una responsabilità gravissima nel “frenare” un settore che potrebbe fare da volano a tutta l’economia del Paese.

World Economic Forum (WEF) segnala come deficitarie le politiche per la sostenibilità ambientale, e quelle specifiche per la promozione del turismo. Gravi i vincoli derivanti da quello che chiamano “ambiente di business”: l’Italia non è un posto dove le aziende sono benvenute.

Limitanti anche le leggi in materia del mercato del lavoro, continuamente variate (basti pensare alla vicenda dei voucher, o al grande argomento della formazione professionale). Anche in tema di criminalità e sicurezza le problematiche del passato restano quasi invariate.

Da ultimo, resta da definire la politica di prezzo per ospitalità e ristorazione, che risente della scarsa produttività del lavoro in Italia, anche nel turismo: ricordo che l’Italia è al 129° posto a livello mondiale per competitività di prezzo.

Questo fattore, legato alla scarsa qualità delle strutture alberghiere italiane, sia per la dimensione delle camere, che per gamma dei servizi offerti, e per le condizioni generali di manutenzione, ha come effetto un atteggiamento schizofrenico del cliente-turista: “per me l’Italia è un top in mind ma non ci vado”. Sul tema degli investimenti nel turismo si veda questo post su Econopoly.

Questo punto è tuttora rilevante, nonostante i miglioramenti in alcune aree del paese degli ultimi dieci anni (si pensi tra tutti a Torino prima e Milano poi), perché coinvolge ruolo e interazione tra pubblico e privato.

AGIRE SULLE NORME: FATE PRESTO
Siamo all’inizio di una formidabile crisi economica prodotta dal Coronavirus. Una crisi che sarà devastante, anche per il turismo, che ne sta già risentendo fortemente.

Una crisi che amplifica la già precaria situazione dell’ospitalità italiana duramente attaccata per fatturato e margini dallo sviluppo incontrollato ed opportunistico di AirBnB.

Oggi più che mai servono strutture alberghiere che garantiscono sicurezza e salubrità, qualità delle strutture, dimensioni che permettano alta produttività, e di conseguenza margini e profitti adeguati agli investimenti necessari a creare e mantenere una struttura di centinaia di camere.

Sul tema “qualità delle strutture alberghiere” e “prezzo di vendita al pubblico delle camere d’hotel” si può e si deve intervenire rapidamente con politiche pubbliche anche di costo contenuto, ma che sono in grado di dare risultati e risposte positive nel breve-medio periodo, favorendo l’attrazione di investimenti (anche esteri), dando vita ad una immediata attività di ampliamento e rinnovo delle strutture edilizie alberghiere con ricadute positive su tutta l’economia italiana.

FAVORIRE LA CRESCITA DELLE AZIENDE ALBERGHIERE
Una delle prime azioni da fare è rimuovere le norme pubbliche (comunali, regionali e statali) che hanno ostacolato (e tuttora bloccano) lo sviluppo in senso più moderno ed accogliente delle città turistiche italiane e che ancora oggi ostacolano la creazione di una moderna industria dell’accoglienza in Italia e l’ingresso, o il formarsi, di compagnie alberghiere più grandi e moderne, con positivi effetti sulla competizione e concorrenza, sull’incremento del numero di turisti, sull’occupazione e l’economia nel suo complesso.

Queste politiche pubbliche devono favorire l’attività dei piccoli imprenditori del turismo, vera spina dorsale del turismo italiano odierno, permettendo ai conduttori più intraprendenti di acquisire e rammodernare gli hotel da loro gestiti, e di acquisire nuove strutture, accorpandole alle proprie, in modo di riuscire a competere con le più grandi strutture gestite da gruppi e catene. In questo senso vanno le proposte di tipo normativo che seguono.

Su questo tema la mia società PLANETHOTEL.NET ha organizzato nel novembre 2011 a Bologna una giornata di studio che ha chiamato a raccolta un gruppo 25 relatori esperti di architettura, urbanistica, amministratori pubblici proprio per fare il punto su “Urban design & Hotel industry”, tema finora misconosciuto.

I risultati di quei lavori sono raccolti in una serie di interventi video.

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Dopo quasi dieci anni la necessità di intervenire sui temi trattati allora non è diminuita. Semmai è aumentata l’urgenza di un intervento del legislatore al fine di favorire la maggiore competitività della nostra industria turistica.

AGIRE SULL’URBANISTICA
Ancora oggi, molti degli hotel italiani costruiti prima del 1990 rispondono alle caratteristiche di standard e di servizio richiesti dalla clientela di quel tempo, rendendoli obsoleti a fronte di standard di qualità e di servizio si sono fortemente evoluti.

Alcune loro caratteristiche strutturali sono poi veramente antiquate sia per quanto riguarda il tema della sostenibilità ambientale ed energetica sia per quanto riguarda la gestione/contenimento del rumore. Anche dal punto di vista gestionale, per come sono fatti richiedono più personale di un hotel più grande e più nuovo. Dopo 30-40 anni essi sono stati certamente ammortizzati e andrebbero pesantemente ristrutturati.

Bisogna prendere atto che una azione di rinnovo delle singole strutture, soprattutto quelle di minori dimensioni che rappresentano la maggioranza dei casi, non trova sostegno in un business plan credibile, perché ristrutturare ha spesso un costo molto elevato, con risultati non comparabili ad un intervento nuovo. Ma anche abbattere e ricostruire un hotel di dimensioni limitate non permette di creare un prodotto competitivo.

Questi fenomeni già presenti prima della crisi del 2009 si sono adesso acuiti, e tra pochi mesi si mostreranno in tutta la loro drammaticità.

È’ compito del legislatore intervenire evitando una trasformazione traumatica del settore, soprattutto per i piccoli hotel di vacanza che improvvisamente verranno espulsi dal mercato.
Le nostre città turistiche diventano sempre più marginali, i prezzi di vendita delle camere calano inesorabilmente, continuando quella spirale che già abbiamo conosciuto, salvo i picchi di prezzo in alta stagione che mal si rapportano con la decaduta qualità degli hotel.

I dati presentati qui sopra dimostrano come i competitori internazionali si presentino sul mercato con prodotti più nuovi in destinazioni con minor costo della forza lavoro e dell’energia, con prezzi più competitivi che si accaparrano e si accaparreranno sempre di più la clientela che “nei bei tempi andati” veniva in Italia.

In questi casi, l’urbanistica deve venire in aiuto dei piccoli proprietari e permettere di accorpare due o più strutture alberghiere dando un premio in termini di cubatura a quelle operazioni che si fanno carico dell’onere di rinnovare la città.

Contemporaneamente andrebbe favorita la trasformazione in unità residenziali, svincolandoli dalla funzione alberghiera, dei piccoli hotel che non svolgono più una funzione di mercato, ovviamente con il pagamento di oneri urbanistici che invece dovrebbero essere alleggeriti o esentati nel caso delle strutture alberghiere.

Qui desidero segnalare un’esigenza: su questi temi abbiamo da anni riflettuto e analizzato diverse esperienze, alcune positive, altre meno, ma tutte interessanti per poter mettere a punto un programma applicabile. Certo che ci vuole coraggio, sia da parte dei sindaci che da parte degli assessorati regionali. Contrariamente a quanto si pensi serve meno lasser faire e molto più progetto e guida. Non si tratta di far fare ai privati tutto quello che vogliono, ma di favorire con una mano ferma quegli imprenditori (soprattutto i più giovani e desiderosi di fare) che intendono utilizzare il patrimonio immobiliare per rilanciare l’industria alberghiera.

Stanti i valori fondiari attuali degli hotel (per quanto ridotti dalla crisi economico finanziaria iniziata da oramai moltissimi anni e che verrà riacutizzata dalla crisi del coronavirus), stanti i costi di ristrutturazione, e stanti i prezzi di vendita – calanti – dei pernottamenti in hotel, ed i costi di personale ed energetici, è opinione comune condivisa che la redditività in un investimento alberghiero non possa raggiungere i valori attesi dalla rischiosità propria dell’investimento stesso. In particolare vi è un modello – tipicamente italiano – di redditività che per mille ragioni sta mostrando tutti i propri limiti: ci riferiamo alla locazione immobiliare dell’hotel. Secondo questo modello il costruttore o immobiliarista detiene la proprietà dell’albergo e lo affitta ad un canone annuo non rapportato alla redditività dell’hotel, ma all’investimento fatto, normalmente ottenendo una rendita che gli permette di pagare le rate di mutuo che gravano sull’immobile stesso, patrimonializzando la società.

In passato, in una situazione economicamente e finanziariamente più florida, per hotel nuovi, costruiti con un forte contenimento di tutti i costi, era possibile trovare società di gestione che offrissero una rendita prefissata certa e garantita da fideiussione bancaria. Era inoltre possibile che tale rendita fosse di qualche punto percentuale superiore a quella garantita da analogo capitale investito in residenza o uffici.

Su questo modello sono sorte e sviluppate alcune compagnie alberghiere che in anni floridi hanno avuto una crescita robusta, ma quando la crisi ha ridotto pesantemente i margini delle compagnie di gestione, e di conseguenza i canoni garantiti per la locazione non erano più sostenibili, il modello è entrato in crisi, cosa ben nota alle banche che si sono particolarmente esposte verso società immobiliari proprietarie di hotel che hanno fatto default nel recente passato.
In Italia è andato in crisi un modello, che ora deve essere sostituito da un altro.

Nel settore vivono due modelli di business: lease o management. Nel primo caso la proprietà dà in locazione un immobile e riceve un canone d’affitto. Nel secondo caso la proprietà gestisce l’albergo con una propria società di gestione, che viene affidata ad una società di management, la quale riceverà un compenso in relazione al risultato economico che viene prodotto dall’attività alberghiera. Nel primo caso il proprietario è “sicuro” di ricevere un affitto, almeno finché le cose vanno bene, e il locatario non smette di pagare il canone. Nel secondo caso invece il proprietario compartecipa al successo economico della società di gestione e può riuscire ad ottenere un risultato ragionevole anche in anni difficili, però – soprattutto in Italia – è esposto alla fumosità dei bilanci, alla necessità di controllare e contestare acquisti e spese, al rischio che il “manager” imputi fatturati di vendita in quella società e costi in questa. In buona sostanza nel secondo caso il fattore fiducia è determinante nel rapporto tra proprietà e management.

RIVEDERE LE NORME SUI FONDI DI INVESTIMENTO ALBERGHIERI

La diffusione del modello locazione e la relativa rarità del modello management dipendono anche da altri due fattori, di nuovo tipicamente italiani, che la legislazione potrebbe aiutare a modificare.
Uno riguarda il ruolo delle banche nell’attività di acquisizione e costruzione degli hotel, perché per finanziare una operazione di acquisto, ristrutturazione e sviluppo alberghiero le banche hanno guardato meno alla bontà intrinseca dell’operazione e molto di più alle garanzie patrimoniali di chi chiedeva il finanziamento per l’operazione stessa. Di conseguenza, tra le garanzie richieste, invece di un approfondito e credibile business plan, le banche hanno sempre preferito una fideiussione data da terzi che garantissero il pagamento dell’affitto.

Il secondo fattore, connesso al primo, sta nella legge che istituisce i fondi comuni immobiliari di diritto italiano, una legge che nel settore alberghiero ha avuto scarsa applicazione. (Sulle molte norme che regolano la materia si veda questa pagina ma anche questo articolo sul Sole 24 Ore). Infatti quella legge impone alla Società di Gestione del Risparmio esclusivamente di dare in locazione l’immobile alberghiero e le vieta di poterlo gestire attraverso una società di management. Su vantaggi e svantaggi per proprietà e gestore di un contratto di locazione si veda The Routledge Handbook of Hotel Chain Management.

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Si noti come tra gli svantaggi per la proprietà sta la difficoltà a ottenere un adeguato ritorno economico nel momento in cui l’hotel produce più reddito dell’atteso.

Infatti il reddito generato dall’attività alberghiera in Italia, è spesso insufficiente a remunerare adeguatamente sia l’investitore immobiliare, che la società di gestione. Inoltre è soggetto ad una ampia volatilità, cosicché il modello della locazione male si presta a favorire lo sviluppo alberghiero (fatte salve alcune destinazioni mirate).

La conseguenza di tutto questo è stata una limitazione dell’applicazione della legge stessa, che acuti legali hanno tentato di superare prevedendo affitti basati su quota fissa più quota variabile, o prevedendo società che si frappongono tra la società di management e la società immobiliare. Così si assiste oggi ad hotel dati in locazione a società che hanno solo lo scopo di garantire la fideiussione per conto di società di management che effettivamente gestiscono l’hotel. Si comprende che ancora una volta l’estro e la creatività dei nostri avvocati ha come conseguenza quella di appesantire di costi e di inefficienza una cosa che potrebbe essere semplice e chiara, se solo lo stato permettesse a Fondi immobiliari specializzati nell’alberghiero di comportarsi come si comportano i fondi stranieri che gestiscono così migliaia di hotel in tutto il mondo.

Non a caso le principali catene mondiali gestiscono in management contract la maggior parte delle loro strutture, come si evince dalla tabella seguente, datata ma comunque che ben rappresenta una situazione difficilmente mutabile.

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Lo stato e le regioni, coordinando urbanistica e turismo, dovrebbero mettere mano a questi due temi, giuridicamente complessi, che richiedono una risposta assai tecnica, ma che potrebbe essere data anche in tempi rapidi, ed eliminare due “ostacoli” alla ristrutturazione urbanistica e industriale del nostro turismo. In poco tempo potremmo vedere affluire capitali che richiedono una redditività intermedia tra quella propriamente immobiliare e quella tipicamente industriale, verso un settore dove i premi urbanistici garantiti a chi presenti un buon progetto di rinnovo urbano potrebbero essere sufficienti a motivare investimenti e rilancio di un settore fondamentale per il nostro paese, permettendo la costituzione e la forte crescita di molte società di gestione propriamente alberghiera senza necessità che all’attività di gestione corrisponda una forte patrimonializzazione conseguente della proprietà degli immobili o delle garanzie fideiussorie richieste per ogni hotel preso in affitto.

In sostanza, si tratta di diventare moderni, copiando da chi ci ha superato in un settore in cui potremmo essere tra i primi.

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