categoria: Draghi e gnomi
Aziende, chi comanda in Germania: tra politica, sindacati e stakeholder
Nelle scorse settimane (prima dell’emergenza coronavirus) l’amministratore delegato del colosso dell’auto Volkswagen ha dichiarato di essere in cerca di un attivista climatico per farsi supportare “aggressivamente” nelle politiche ambientali aziendali: <<We have so many ideas, but they take too long to implement in our big organisation, so I need someone really aggressive internally>>.
La Volkswagen con più di 670 mila dipendenti e diversi marchi (tra cui Audi, Seat, Skoda, Bentley, Bugatti, Lamborghini, Porsche e Ducati) ha già un comitato di consultazione per la sostenibilità creato in seguito allo scandalo dieselgate. Tra i membri ci sono un ex direttore della US Environmental Protection Agency e l’ex commissario UE per il clima. È la prima grande casa automobilistica a fare un passo simile.
Stessa dinamica, ma di qualche settimana prima: il CEO della Siemens, altro colosso con circa 385 mila dipendenti e una capitalizzazione di mercato di poco sotto i 100 miliardi di dollari (nel 2019) ha offerto un posto nel Supervisory Board ad un giovane attivista climatico (che ha rifiutato). Questa proposta sarebbe avvenuta in seguito ad una serie di proteste per il possibile coinvolgimento della compagnia nello sviluppo di una controversa miniera di carbone australiana.
È l’inizio di un trend?
Un po’ presto per dirlo anche se alcuni segnali sono degni di osservazione. Qualche settimana fa su Econopoly abbiamo parlato di come si stia rischiando una polarizzazione politica che a spinge verso soluzioni industriali “radicali”.
La direzione politica in Germania pone al centro il tema ambientale: nuove sfide emergono per il legame politica e lavoro. Alcune osservazioni sulla Corporate Governance Tedesca forniscono una chiave di lettura interessante delle dinamiche in corso.
A differenza di quella di stampo anglosassone, la Corporate Governace Tedesca è fortemente orientata verso gli stakeholder, più che agli shareholder. Primo elemento di differenziazione. Nel sistema tedesco le corporations sono organizzate intorno ad una struttura a doppio consiglio. Esiste un consiglio di amministrazione che dirige le operazioni quotidiane ed un Supervisory Board incaricato delle principali decisioni e di policy.
Un’ulteriore particolarità tedesca riguarda la composizione del consiglio di sorveglianza. Praticamente quasi sin dagli albori il diritto societario ha conferito uno status speciale agli interessi della forza lavoro. Si tratta del Mitbestimmung (non è una parolaccia) che si traduce in co-determinazione/co-gestione. In parole semplici: qualsiasi azienda piuttosto grande, pubblica o privata, deve prevedere la metà dei seggi del proprio Supervisory Board ai propri lavoratori.
La Mitbestimmung fu introdotta nel 1951 grazie ad un referendum indetto dall’allora confederazione dei sindacati DGB, poi estesa nel 1976 alle aziende nazionali ed estere di tutti i settori industriali con più di 2000 lavoratori.
Se la partecipazione e la condivisione possono essere positive, le implicazioni negative non mancano. Ad esempio la “condivisione di power” potrebbe “spaventare” gli azionisti e secondo alcuni sarebbe il motivo per cui le società tedesche siano diventate fortemente dipendenti dalle banche per l’accesso al capitale (su Econopoly un’analisi al riguardo). La partecipazione in blocco delle banche fornisce uno strato di protezione contro le possibilità che la forza lavoro possa avere un’influenza troppo grande sulla politica aziendale.
Se invece consideriamo la corporate governance del Regno Unito, non possiamo trascurare la lunga tradizione britannica nel commercio di materie prime e nei mercati bancari internazionali. Questi due ingredienti hanno rappresentato il trampolino di lancio per la creazione di un mercato di capitali per le società desiderose di espandere i propri orizzonti.
Nel Regno Unito la maggior parte delle società è strutturata con un sistema di Unitary Board. Ci sono amministratori esecutivi e non esecutivi (NED) ed entrambi hanno la stessa responsabilità legale. I direttori esecutivi sono i direttori a tempo pieno dell’azienda e i NED sono membri indipendenti del consiglio di amministrazione che dedicano parte del loro tempo alla gestione strategica della società.
Capitali coraggiosi
Secondo questi ricercatori dell’università di Monaco e della Singapore Management University, in Germania (come anche in Giappone) la protezione degli azionisti di minoranza è più debole rispetto ai sistemi anglosassoni dove i diritti di proprietà sono fortemente protetti. Inoltre a causa della maggiore liquidità finanziaria presente nel sistema anglosassone, è normale che i fornitori di capitali tendano a perseguire interessi finanziari piuttosto che sociali. Al contrario, nei sistemi orientati alla rete sociale dove il “familyism” e la “ricerca del consenso” portano a relazioni stabili tra le parti, si tende a perseguire strategie di crescita e rendimenti a lungo termine sul capitale umano e sociale.
Questa immagine risale al 2015 ci aiuta a contestualizzare quanto diciamo
Nella prima tabella in basso sono riportati i dati (fine febbraio) di capitalizzazione, fatturato e numero di dipendenti per una compagnia tedesca leader nel settore auto e i suoi competitors, americani e giapponesi. La compagnia tedesca ha una market cap e revenues di circa il doppio rispetto agli altri competitors (dati 2019). Ma notiamo anche che il numero di assunti è praticamente il triplo rispetto agli altri.
Nella tabella seguente invece sono riportati alcuni dati di confronto più ampi dei paesi OECD e Germania.
Per la Germania vediamo: alta occupazione, meno ore lavorate, maggiore utilizzo del part time e altissima produttività. Il costo del lavoro invece resta allo stesso livello della media OECD. Non è necessario essere un economista per domandarsi se il costo del lavoro sia adeguato a tali livelli di occupazione e produttività.
Un articolo del Wall Street Journal nel 2019 va dritto al punto: i lavoratori tedeschi godono di un’elevata protezione avendo anche voce in capitolo nelle decisioni di gestione. Alcune grandi aziende legate al settore automotive hanno annunciato nel 2019 il taglio di decine di migliaia di posti di lavoro. Tuttavia, piuttosto che ricorrere a licenziamenti di massa o chiusure di impianti, verrebbero supportati da strumenti ad hoc creati da governo e sindacati. Secondo il Wall Street Journal inoltre, se da un lato la possibilità di evitare i tagli può consentire alle aziende di accelerare rapidamente l’attività quando la domanda riparte, dall’altra rallenta gli adattamenti necessari quando le aziende si trovano ad affrontare cambiamenti strutturali.
Molte aziende tedesche utilizzeranno forme di lavoro part time, il prepensionamento e altri strumenti per ridurre la forza lavoro, oppure interviene il governo. A supporto di questa tesi è interessante il grafico sotto: con la crisi del 2008 mentre negli Stati Uniti e in Europa la disoccupazione si impennava, in Germania il trend è praticamente inverso.
Sinda-quali?
Uno studio del 2014 pubblicato dall’università di Chicago: Globalization and the German industrial production model pone in evidenza che in Germania il numero di occupati resta quasi costante, sebbene aumentino gli “skilled worker”.
Il punto chiave citato nel report per la nostra analisi è il seguente: “The gradual manufacturing workforce shift away from direct production workers to a larger engineering and service personnel percentage is also a difficult problem for Unions. Traditionally, direct production workers were the union’s core membership, while engineers were more difficult to recruit.”
Dunque la base del sindacato sta cambiando. A colpi di delocalizzazioni anche il profilo dei lavoratori cambia.
A tal proposito la Bundesbank in un report del 2018 mostra chiaramente la percentuale degli intermedi importati che varia considerevolmente da settore a settore. Un punto del report indica che a seguito di offshoring, la domanda interna di capitale si è spostata dal manifatturiero verso tecnologie di informazione e comunicazione, lo si vede da questo grafico sotto che riporta il cambiamento dal 1995 al 2014.
Concludendo
Se nei precedenti decenni i sindacati hanno giocato un ruolo centrale, dopo anni di delocalizzazioni, skill upgrading (e robotizzazione), siamo sicuri che avranno lo stesso peso? O semplicemente delocalizzando-delocalizzando abbiamo “delocalizzato” un po’ anche il sindacato?
Le ultime elezioni in Germania hanno mostrato chiaramente chi sono gli stakeholder emergenti. In un Paese dove anche Tesla ha difficoltà ad aprire uno stabilimento e dove si scende in piazza anche contro le pale eoliche, la gestione e la partecipazione di questi portatori di interesse diventa critica. Sarà lo stesso dopo il coronavirus?
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