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Dal coronavirus una sfida per il futuro: disegnare mercati meno fragili
Gli autori di questo post sono Maria Flora, ricercatrice post-doc all’Università di Verona e Visiting Researcher all’Università di Oxford, e Roberto Renò, professore di finanza all’Università di Verona e Visiting Professor alla Johns Hopkins University –
L’espandersi della pandemia da Coronavirus sta dettando i tempi di una nuova crisi economica globale. Il panico dei mercati e le quotazioni a picco che abbiamo osservato in questi giorni risvegliano ricordi non troppo sopiti, quelli della crisi finanziaria del 2008. Come osserva il premio Nobel Joseph E. Stiglitz, però, ora “la causa dell’emergenza è la sfera naturale – un regno meno predicibile”. La minaccia del coronavirus è tanto più temibile in quanto la sua portata in termini di danni economici è ancora difficilmente prevedibile. Anche i mercati finanziari di questi giorni mostrano i sintomi di questa evidente incertezza. Giovedì scorso, qualche ora dopo che Trump aveva pronunciato dall’Oval Office le profetiche parole “this is not a financial crisis”, il mercato statunitense ha vissuto la peggior giornata di contrattazioni dai tempi del Black Monday del 1987. Nello stesso giorno i mercati europei non se la passavano meglio, e dopo le dichiarazioni della numero uno dell’ECB, tutti i listini dell’eurozona sono crollati a picco, con il FTSE 100 in chiusura al -10.9%, il CAC 40 a -12.3%, il DAX a -12.2%, e con l’incredibile caduta libera del FTSE MIB al -16.9%.
Il coronavirus è quello che gli economisti definiscono uno shock esogeno, cioè un evento imprevisto che viene dall’esterno del sistema. Un sistema finanziario stabile, tuttavia, dovrebbe per definizione essere in grado di assorbire gli shock attenuandone l’impatto. A ben vedere però, questo accade di rado. In occasione di pericolose coincidenze, questa fragilità dei mercati può diventare la causa di danni sistemici. Ad esempio, quando Christine Lagarde, con una stance diametralmente opposta al “whatever it takes” del 2012, ripete che “non è compito della ECB chiudere gli spread”, i titoli di stato italiani crollano e lo spread si amplifica. La pericolosa coincidenza, in quest’occasione, consiste nel fatto che nei giorni 12 e 13 marzo era in corso un’asta su titoli di stato a medio-lungo termine italiani. Nello specifico, il Tesoro si proponeva di allocare quasi 9 miliardi di euro. Il discorso di Lagarde, fortunatamente, è iniziato alle 14.30, quando l’asta del 12 marzo si era ormai conclusa alle 11:00. Tuttavia, è andata deserta l’asta del 13, poiché il prezzo, che per regolamento deve corrispondere a quello a cui vengono allocati i titoli il giorno prima, non trovava ormai più corrispondenza nel mercato secondario. In questo modo, circa 2 dei 9 miliardi offerti non hanno potuto essere allocati.
Una simile pericolosa coincidenza si è verificata quasi due anni fa, quando si insediò il governo Conte 1 dopo una estenuante trattativa, anche questa improvvidamente svolta a mercati aperti, che ha visto salire al Quirinale prima Conte, poi Cottarelli (il 29 maggio) e alla fine di nuovo Conte. Risultato? Il mercato secondario è crollato, raggiungendo il suo punto più basso alle 11:08 del 30 maggio, otto minuti dopo la conclusione di un’asta dei titoli di stato per un valore di 6 miliardi. In questa ricerca che abbiamo pubblicato recentemente, e presentato alla Banca d’Italia a dicembre, stimiamo una perdita netta per il tesoro di 450 milioni di euro, dovuta all’incapacità del mercato secondario di assorbire lo shock propriamente. La stima è ottenuta con modelli matematico/statistici.
Certo, ogni asta è uno shock di offerta che deprime il prezzo che il Tesoro riscuote. Ma per farci un’idea, basti riportare il calcolo di tale perdita per il Tesoro americano, che ha un debito 8 volte il nostro: 630 milioni di dollari all’anno. Una cifra paragonabile a quello che noi abbiamo perso in un solo giorno, e che non avremmo perso se le trattative per la formazione del nuovo governo fossero avvenute, ancora una volta, nel weekend. Ingenti risorse vaporizzate e perse per sempre.
Intendiamoci: è normale e giusto che il mercato si muova. Se il coronavirus si espande costringendo i governi a misure draconiane, le aziende vedranno i consumi ridursi e di conseguenza i loro utili volatilizzarsi. Gli operatori di borsa, di conseguenza, rivedono il valore dei titoli societari al ribasso. Il valore delle obbligazioni Italiane crolla perché diminuiscono le entrate fiscali previste per il Tesoro. Nel caso del maggio 2018, l’aumento dell’incertezza politica fa scendere il valore dei titoli di stato, anche a parità di entrate previste. La teoria della finanza insegna che il valore di un titolo cresce con gli utili attesi, ma diminuisce con l’incertezza di tali utili. Il problema è che spesso, e sempre in presenza di shock di tale portata, il prezzo non scende al nuovo valore fondamentale, come dovrebbe succedere in un mercato efficiente, ma per colpa di vari attriti finanziari (panico, deterioramento della liquidità, frammentazione dei mercati, asimmetria informativa), scende a un valore molto più basso, non plausibile dal punto di vista economico ma perfettamente razionale date le condizioni di liquidità. Tale fenomeno prende il nome di overshooting, e – quando avviene in pochissimi minuti – di flash crash. Le conseguenze sono nefaste in termini di volatilità in eccesso, illiquidità del mercato, mancanza di fiducia degli investitori e, come abbiamo visto, dolorose perdite per i contribuenti.
I mercati finanziari super-tecnologici, automatizzati e con disponibilità di risorse sconosciute ad altri settori dell’economia, restano comunque fragili. Se do un colpo a una finestra, è normale sentire la botta, ma il vetro non dovrebbe rompersi. I mercati tendono invece a non funzionare proprio quando ci sarebbe bisogno di maggior solidità, come il 12 marzo 2020 o il 29 maggio 2018, come vigili del fuoco che smettono di rispondere al telefono proprio quando brucia il palazzo. Chi guida le redini economiche e politiche del vecchio continente dovrebbe rendersene conto, e agire con la prudenza necessaria. Il COVID-19 ci lascia, tra le altre, anche questa sfida per il futuro. Disegnare mercati più efficienti, in cui il prezzo rifletta l’effettivo valore fondamentale, che svolgano correttamente una delle loro principali funzioni, cioè quella di valutare correttamente i titoli. Meno fragili, cioè più resistenti agli shock, che inevitabilmente ogni tanto capitano. E più resilienti, cioè capaci di riprendersi rapidamente dagli shock. Mercati in grado di governare l’automazione, e non di esserne in balia. Una sfida dall’enorme valore sociale, che non riguarda pochi addetti ai lavori, ma tutti noi.