Caro Fisco, non siamo tutti uguali davanti al coronavirus

scritto da il 15 Marzo 2020

L’autore del post è Stefano Capaccioli, dottore commercialista, fondatore di Coinlex, società di consulenza e network di professionisti sulle criptovalute e soluzioni blockchain, nonché presidente di Assob.it –

L’emergenza del CoViD-19 ha dimostrato che non siamo tutti uguali per lo Stato Italiano. L’art. 3 della Costituzione non vale in periodi di emergenza, anzi in Italia non è mai stato attuato.

Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Tutti i cittadini sono uguali? Tutti, tutti? Pare di no.

Esistono cinque categorie in Italia:

1. gli autonomi (imprenditori e professionisti), brutti, cattivi, evasori, da perseguire, da perseguitare e da vessare;

2. i dipendenti privati, che devono essere protetti dai primi che sono degli aguzzini e che si approfittano del loro lavoro;

3. i dipendenti pubblici, che sono quelli che mandano avanti l’Italia, e vanno tutelati a prescindere perché senza di loro tutto si blocca

4. i pensionati e pensionandi che, avendo contribuito al progresso del paese vanno retribuiti;

5. i pària, la categoria che è stata abolita (con lo stesso decreto che abolì la povertà) per decreto: i precari, disoccupati, inoccupati, assistenziati, assistenziandi e simili.

Obiettivamente, occorre un risveglio brusco ed immediato.

Ci accorgeremo che i brutti e cattivi, gli imprenditori, mandano avanti l’Italia: e senza quelli tutto si ferma tutto si blocca, tutto muore.

Purtroppo sono gli unici che in questi momenti di crisi coronavirus, stanno rimettendoci e stanno rischiando. E alla fine del salmo sono gli unici che creano lavoro e ricchezza, contribuendo con tributi e contributi propri e dei propri dipendenti, alle entrate del bilancio dello Stato.

La chiusura delle attività, delle frontiere, di tutto, pone il nostro paese di fronte ai suoi limiti alle sue contraddizioni, ai suoi pregiudizi.

Decretazione di urgenza sulle attività commerciali, sul telelavoro, sui dipendenti ma ancora nulla sul decreto che concerna le scadenze fiscali e tributarie.

In Italia, con il paese chiuso ed in quarantena, alle 18,40 di venerdì 13 Marzo 2020 il Ministero delle Finanze (MEF) emette un comunicato stampa (?) che promette un Decreto Legge per il rinvio delle scadenze di lunedì 16 marzo (!).

schermata-2020-03-15-alle-15-02-24Ora, basta avere un minimo di conoscenze di come funziona la macchina tributaria per sapere che l’invio telematico degli F24 avviene sempre qualche giorno prima della scadenza e che “l’annullamento del versamento può essere richiesto entro e non oltre il penultimo giorno lavorativo antecedente la data di versamento indicata nella delega” (dal sito dell’Agenzia delle Entrate). Quindi la proroga vale solamente per coloro che gli F24 non li hanno inviati!

Tale critica può apparire fuori luogo, dato che il Governo ha molte priorità, ma l’analisi degli altri paesi dimostra come l’approccio in materia di Fisco sia diverso.

In Spagna, prima di adottare misure eccezionali (e con paese ancora operativo), viene pubblicato il 13 marzo 2020 un decreto legge che sostiene le imprese, con un rinvio di tutti i pagamenti scadenti tra il 13 Marzo ed il 30 Maggio per le imprese con un volume di affari inferiore a euro 6.010.121,04. L’Agencia Tributaria ha già pubblicato le istruzioni operative.

In Francia, prima di adottare misure eccezionali (e con paese ancora operativo), il Ministero dell’Economia ha già disposto il differimento dei pagamenti e sono presenti già le istruzioni per il rinvio.

Il ritardo del nostro paese nei confronti delle imprese rivela l’ordine delle preferenze e l’approccio punitivo che abbiamo nei confronti delle nostre aziende.

Infatti, la prima preoccupazione del Governo è stata quella di rispondere ai sindacati, di andare in televisione a fare comunicati ai quattro venti, a permettere che ogni sindaco, prefetto, governatore di regione potesse avere i propri dieci minuti di notorietà.

Il tutto senza una riflessione, un ragionamento, una logica dietro le decisioni, se decisioni poi sono state prese.

Ma, con pratico cinismo, quanti disoccupati vale un malato in meno di coronavirus?

Una crisi economica fa più o meno vittime di una pandemia?

Non è opportuno giungere a dover affrontare tali dilemmi etici, ma forse è necessario andare oltre e sostenere coloro che mandano avanti l’Italia, facendo un sacrificio, tutti, chi è stato costretto a farlo per decreto, chi lo ha subito e anche per coloro ai quali non cambia nulla.

Giunge voce di uffici postali chiusi per tutelare i dipendenti dal contagio e tabaccai aperti quali attività essenziali poiché presidiano quel servizio pubblico di pagamento che le Poste non sono in grado di garantire: un essere umano lavoratore dipendente vale più di un lavoratore autonomo?

Il tabaccaio che guadagna solo quando alza la saracinesca del proprio negozio sarà disposto per necessità o per propensione a correre più rischi di un dipendente?

Prima delle norma per gli imprenditori, il Governo si è preoccupato di trovare un accordo con le parti sociali, per tutelare i lavoratori.

Gli imprenditori ed i lavoratori autonomi vengono lasciati per ultimi: sono e devono restare cittadini di serie B, senza diritti, senza tutele, senza rete.

Dimenticandosi che solo loro possono far rialzare questo paese.

Ora, visto che viene chiesto un sacrificio, che lo sia per tutti: dipendenti e autonomi.

Art. 1 L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Ricordiamoci la virgola: il lavoro va creato, e occorre sacrificarsi per chi potrà far ripartire questo paese.

Per ricostruire di nuovo il paese è necessario un nuovo patto sociale con le cinque categorie sopra indicate, legate indissolubilmente le une alle altre, con un conseguente obbligo per tutti di andare nella stessa direzione, senza deviazioni per tutelarsi o per aumentare il proprio potere.

Una provocazione potrebbe essere quindi quella di erogare parzialmente tutti gli stipendi pubblici e le pensioni, ad un importo simile a quello proposto per l’indennizzo per i lavoratori autonomi obbligati a chiudere per decreto, sui 500/600 euro, con l’eccedenza che sarà erogata a rate quando il nostro paese riprenderà il suo sviluppo.

In tale maniera diminuirebbe la tensione sui conti pubblici, permettendo una boccata di ossigeno, mettendo tutti nella stessa barca, costretti a remare nelle stessa direzione.

Twitter @s_capaccioli