categoria: Vicolo corto
Un Paese in pezzi, anarchico, tutto pretese, senza cognizione dei doveri
Improvvisamente gli italiani, nel mezzo dell’epidemia del Coronavirus, si sono accorti, ohibò, di quanto siano importanti la competenza e la credibilità delle élite, di chi ci governa. In un paio di giorni è svanita la logica fallimentare dell’“uno vale uno”. La cultura del “vaffa” ha distrutto quel poco che rimaneva di serio nel Paese e ci ha portato nell’abisso. Costruire, evidentemente, è molto più difficile che distruggere.
Per gli imprenditori saranno tempi durissimi. Come si fa a sopravvivere se il fatturato cala dell’80%, come nel settore alberghiero o dei servizi a Milano? Tempo fa, ospite a pranzo a Padova di Mario Carraro, gli chiesi come fece a stare in piedi nel 2009 con un calo improvviso di ordini e il fatturato in contrazione del 55%. L’imprenditore, classe 1929, fondatore del gruppo Carraro, leader mondiale nella produzione di trattori e sistemi di trasmissione per macchine agricole, 3.200 dipendenti, allargò le braccia e poi mi portò a vedere la sua ampia libreria, dove vi erano tutte le risposte. Come dire, chi a 90 anni legge in francese Proust nella Pléiade, o J.M. Keynes, o le considerazioni attualissime sulla distruzione creatrice di Joseph Schumpeter, può superare qualsiasi avversità.
A fronte di una classe dirigente che sostiene in una bozza di decreto, fatto arrivare anche alla CNN, che gli spostamenti dei lavoratori, anche all’interno della regione, debbano rispondere a “comprovata necessità”, non ci resta che piangere (Benigni, Troisi, 1984, cit.). Che dire poi del popolo italiano, anarchico e anarcoide, incapace di rispettare le regole? Attentissimo ai diritti, specialmente se acquisiti, e incapace di guardare al di là del proprio naso e valutare se il proprio comportamento danneggi il prossimo. La fuga da Milano sul treno Intercity per Salerno ha dell’incredibile. Furbi ma poco intelligenti, direbbe Carlo M. Cipolla.
Siamo in presenza di una enorme asimmetria tra diritti e doveri. Alessandro Barbano, già direttore del Mattino di Napoli, ha compiuto un’interessante analisi, coniando il termine «dirittismo», ossia «la percezione collettiva di essere titolari di un credito politico nei confronti della democrazia, a cui non corrisponde una parallela responsabilità sociale» . In questo modo aumenta la volatilità del consenso, l’aspettativa di espansione dei diritti soggettivi supera i confini del realismo, scaricandosi su un’offerta politica che purtroppo è accondiscendente con il risultato di aumentare deficit e debito pubblico.
Per ribaltare il dirittismo e smascherare le contraddizioni del populismo, Barbano auspica un ritorno al lessico della verità, alla parresia greca. Senza un lessico del coraggio, l’impegno civile e i doveri rimarranno lontani dalla realtà. Senza contare il fatto che il cittadino, sbagliando, si sente migliore della classe politica. Come ha sottolineato il politologo olandese Cas Muddle, sempre più si diffonde l’ideologia che considera la società come composta da due blocchi monolitici, tra di loro contrapposti: da una parte il popolo, dall’altra l’élite corrotta (declinata al singolare). È impressionante rilevare come i sondaggi confermino che il 54% degli intervistati pensa di essere in credito con l’Italia a fronte del 7 che si sente in debito e del 35 che si ritiene alla pari. Lo storico Giovanni Orsina mette in luce la forte asimmetria tra benessere raggiunto e scontentezza: «Chi vive oggi in Italia ha avuto pace, benessere e opportunità che non trovano precedenti nella nostra storia né corrispondenza in gran parte del globo» . Eppure per la maggioranza degli italiani sembra essersi rotto quel patto di fondo che tiene insieme una comunità di persone. Se viene meno un sentire comune, un mutual endorsement diretto a soddisfare in primis l’interesse generale, una società si sfalda.
Il corollario di questa percezione è l’idea che il malaffare e la corruzione siano esclusivo appannaggio dei partiti e degli esponenti del mondo economico che si sono arricchiti grazie al rapporto con la politica. Un grande alibi – sostiene lo storico Giovanni Belardelli – che ha indotto a distogliere lo sguardo dalle numerose piccole illegalità che pervadono la nostra vita sociale: dall’abusivismo edilizio, all’assenteismo di massa nelle municipalizzate, alla scarsa verosimiglianza di molte dichiarazioni Irpef. In un Paese in cui la corruzione politica è più diffusa, viene facile pensare che le piccole illegalità non siano né comportamenti scorretti, né illegali. Ne consegue che «le persone da biasimare, i veri corrotti, siano sempre e soltanto solo, gli esecrati politici. […] Sarebbe il caso che […] cominciassimo a guardare non soltanto ai vertici della società, ma anche alla base, quella di cui facciamo parte tutti noi» .
Mentre il leader pentastellato Alessandro Di Battista torna bel bello dalla sua vacanza-studio in Iran, pronto a una nuova campagna mediatica, le imprese e i lavoratori italiani devono aspettarsi il peggio. Sarà lunga e dura la battaglia. Non abbiamo un Churchill, questo è, che ci dica la verità, con durezza e senso di responsabilità. Ma le “lacrime e il sangue” arriveranno presto.
Stasera, prima di andare a letto, prendiamo in mano Giuseppe Mazzini e il suo “Doveri dell’uomo”. Sono certo che qualcuno prenderà una qualche ispirazione costruttiva. Forse questa crisi può invertire la logica dei diritti e doveri, dove i secondi devono essere prioritari sui primi.
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