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Un grande ritorno, gli 80 euro (che diventano 100). Faranno il miracolo?
L’autore di questo post è Andrea Pradelli, laurea magistrale in Economia e Scienze Sociali all’Università Bocconi, redattore de Gli Immoderati e autore per Neos Magazine –
Politica Valutata: bonus 80 euro
Obiettivo: ridurre il cuneo fiscale e rilanciare i consumi
Impatto: Cuneo fiscale ridotto di 2,3 punti percentuali, consumi aumentati di 3,5 miliardi, redditi individuali cresciuti del 2,7%, reddito disponibile familiare dell’1,1%, tasso di povertà ridotto dello 0,6%. Vantaggi soprattutto per la classe media. Riduzione dell’impatto dell’IRPEF, ma alte aliquote marginali e scarso incentivo al lavoro. Problemi di equità orizzontale
Gli 80 euro diventano 100. È questo il fulcro del Decreto del 5 febbraio 2020 “Misure urgenti per la riduzione della pressione fiscale sul lavoro dipendente”, che punta tutto sul provvedimento-simbolo di Renzi, l’eterno guastafeste.
l report “Recent tax reforms in Italy: the impact on households and workers” (Astarita, Maestri, Schmitz, 2016) e “Il bonus degli 80 euro: caratteristiche ed effetti redistributivi” (Baldini, Giarda, Olivieri, Pellegrino e Zanardi, 2015) aiutano a capire di più. Introdotti nel 2014 e resi strutturali nel 2015, gli 80 euro sono un credito d’imposta, che spetta ogni mese a tutti i lavoratori dipendenti e assimilati con reddito IRPEF fra la soglia di incapienza e 26000 euro. La tabella illustra la struttura del bonus annuale (nel 2018 le soglie sono state portate rispettivamente a 8.174, 24.600 e 266.000):
L’obiettivo era aumentare i consumi tagliando il cuneo fiscale, per restituire potere d’acquisto alla classe media e medio-bassa. Nel 2015 il bonus è costato 9,2 miliardi, lo 0,5% del PIL. Dal report della BCE “Household spending out of a tax rebate: Italian € 80 tax bonus” (Neri, Rondinelli e Scoccianti, 2017) risulta che i consumi sono aumentati di 3,5 miliardi, facendo crescere la domanda aggregata fra lo 0,2% e lo 0,32%. Il cuneo fiscale sul lavoro è sceso di 2,3 punti percentuali: ne hanno beneficiato soprattutto donne, giovani e lavoratori low-skilled.
Il reddito da lavoro netto individuale è aumentato del 2,7%, il reddito disponibile familiare solo dell’1,1%. Il bonus, infatti, è erogato a livello individuale: a parità di reddito un single e un lavoratore con moglie e figli a carico ottengono la stessa somma. Spesso famiglie con uguale capacità contributiva non sono tassate allo stesso modo: è violato il principio di equità orizzontale. In media, il tasso di povertà è diminuito dello 0.6%. A beneficiarne sono soprattutto le famiglie con almeno un figlio, che tendono ad avere un reddito disponibile familiare più basso ed entrambi i coniugi in età da lavoro. Anche la disuguaglianza è calata dello 0,25%.
La vera vincitrice è stata la classe media: le famiglie che prendono almeno un bonus sono concentrate fra il quinto e l’ottavo decile di reddito. Se, come sembra, l’obiettivo di Renzi era ridare potere d’acquisto alle classi medie, la direzione è quella giusta. Coerentemente, solo un terzo delle famiglie in povertà relativa (che sono il 18% delle famiglie italiane) riceve almeno un bonus: in questo caso spesso i coniugi non soddisfano i requisiti.
Per molti economisti, tra cui Sandro Brusco, il primo problema degli 80 euro è l’aliquota marginale effettiva, che non dà incentivi a guadagnare di più. Fino a 24.000 euro l’aliquota marginale non cambia rispetto a prima. Dopo i 24.000 euro, il bonus diminuisce di 48 euro per ogni 100 euro in più di reddito e le aliquote marginali sfiorano l’80%: un enorme disincentivo al lavoro. Inoltre, per chi è appena sopra la soglia di incapienza basta pochissimo per perdere tutto il bonus: invece che agire da ammortizzatore, gli 80 euro accentuano la perdita di reddito. Per Baldini e i coautori, questo significa che il governo Renzi avrebbe sbagliato a confermare il bonus senza una revisione organica dell’IRPEF.
Per finire, l’aliquota media diminuisce notevolmente. Ad esempio, a 15000 euro passa dal 12,6% al 6,2%, mentre tra 8.145 e 11.540 euro, considerando anche la detrazione da lavoro dipendente, è addirittura negativa: l’IRPEF diventa un trasferimento netto in denaro. È ormai una tendenza globale: usare l’imposta negativa sul reddito per trasferire risorse ai meno abbienti.
Oggi il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (al centro nella foto), si sente sicuro di dire che “se si mettono 100 euro in tasca ai lavoratori è chiaro che riparte l’economia, è semplice”. Ma i bonus non fanno miracoli. Sicuramente non ci porteranno ad abolire la povertà, come sogna Di Maio. Se l’obiettivo è rilanciare i consumi e continuare a dare fiato alla classe media la strada è quella giusta, ma l’impressione è che serva più coraggio: non si può tagliare il cuneo fiscale senza una vera rimodulazione dell’IRPEF. E per farlo bisogna trovare le risorse.
NOTE:
1) La soglia di povertà è fissata prima dell’introduzione degli 80 euro, ed equivale a un reddito familiare equivalente inferiore al 60% del reddito familiare equivalente mediano. 
2) Il rapporto fra la variazione del debito d’imposta totale (al netto del bonus) e la variazione del reddito imponibile: