Le banche italiane alle prese con la realtà: da aperte devono diventare creative

scritto da il 12 Febbraio 2020

L’autore del post è Claudio Sparpaglione, enterprise architect presso Intesa Sanpaolo e corsista dell’eMBA Ticinensis, master dell’Università di Pavia –

Immaginate un mondo dove il banking accompagni le nostre esperienze digitali, comprendendo il contesto e adattandosi alle nostre abitudini di consumo. Non serve immaginare: è già realtà, e si chiama Open Banking.

Il settore bancario si apre a logiche di mercato più competitive, con la promessa di favorire l’innovazione tecnologica e di portare una maggiore trasparenza al cliente finale – di fatto diventando un vero e proprio ecosistema.

L’editto fondativo è la direttiva europea PSD2 (Payment Services Directive): entrata in vigore lo scorso 14 settembre, obbliga gli istituti finanziari a rendere accessibili tramite interfacce software sicure le informazioni finanziarie della clientela – ciò consente alle terze parti autorizzate di sviluppare applicazioni e servizi innovativi per la clientela.

Il mercato che si apre ha dimensioni vastissime: nel solo Regno Unito, culla del fenomeno, si calcola un potenziale valore di servizi innovativi per PMI e Retail pari a 2 miliardi di sterline entro il 2024, con tasso di crescita annuo composto del 25% [1]. Su queste premesse l’arena dell’Open Banking si è rapidamente popolata di banche e “non banche” di ogni dimensione – startup, challenger banks, BigTech come Google e Amazon.
Ma qual è il ruolo dei consumatori in questo nuovo scenario?

Tratti ed aspettative dei consumatori dell’era Open Banking
L’ottavo rapporto di ricerca CRIF-SDA Bocconi racconta il consumatore italiano come ancora poco avvezzo all’uso di servizi finanziari digitali, con una forte identità nelle banche tradizionali e monobancarizzato (rispettivamente 50% e 70% del campione). Ma poi scopriamo che il 76% sarebbe favorevole a condividere alcuni dati dietro a contropartita economica, segnale che il terreno è maturo per la diffusione dell’Open Banking.

l World Retail Banking Report 2019 di Capgemini e Efma racconta invece quali sono le principali aspettative della clientela – il 68% chiede servizi finanziari più facili da usare, il 54% più veloci, il 70% a costi inferiori – e i principali punti di attrito nell’interazione con il panorama bancario classico – 69% indica le domande di mutuo/prestito, il 63% l’assistenza. Inoltre tra i nativi digitali solo il 33% dichiara di avere avuto un customer experience positiva attraverso app per dispositivi mobili.

Non stupisce dunque che più dell’80% di chi sta valutando di cambiare banca nei prossimi 12 mesi utilizzi già servizi finanziari di “non banche” o challenger banks.

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E non dimentichiamo le PMI: chiedono credito, strumenti di gestione della liquidità e consulenza per la crescita, e si aspettano questi servizi erogati attraverso strumenti digitali e in maniera personalizzata.

Le “non banche” non mancano questa opportunità fornendo soluzioni innovative (nell’ultimo anno le PMI italiane hanno incrementato il credito ottenuto dalla finanza non tradizionale), mentre le banche per ora si limitano a convenire che la digitalizzazione dell’offerta sia la scelta strategica che paga di più (anche più del corretto risk assessment delle controparti) [2].

Vince chi fa squadra
Il consumatore dunque chiede esperienze digitali semplici e accattivanti, a costi concorrenziali. I nuovi attori dell’arena Open Banking hanno nel DNA la capacità di progettare l’offerta mettendo il cliente al centro: puntano a regalare l’“effetto wow” lungo tutta l’esperienza d’uso – spesso interamente digitale – e sanno sfruttare bene le economie di scala. Ma non basta. Il segreto del successo sta nell’integrare le esperienze di vendita dei prodotti finanziari nei contesti di acquisto in settori diversi da quello prettamente finanziario. Un esempio? Nel flusso di acquisto online di un elettrodomestico viene proposto un prestito “instant” per l’importo necessario al momento del pagamento.

È il modello della “Platform Economy”: si passa da una strategia di mercato competitiva alla collaborazione che crea valore per tutti i partecipanti, esaltando le virtuosità di ciascuno.
Le BigTech hanno un vantaggio di massa critica di utenti sulle proprie piattaforme, grazie alle quali possono testare il gradimento di nuovi prodotti. Ad esempio, Uber offre ai propri driver la possibilità di gestire gli incassi in tempo reale su un wallet digitale con abbinata una carta di debito (partnership con GreenDot e VISA), mentre da tempo offre la possibilità di acquistare coperture assicurative (via Axa). Tutto, rigorosamente, dalla sua app – che è la piattaforma abilitante.

Tra i big non mancano anche esempi di mosse sbagliate A causa dei bassi tassi di crescita Amazon sta rivedendo, ad otto anni dal lancio con Bank of America, il servizio Lending che offre piccoli prestiti alle PMI: secondo gli analisti non dispone di dati a sufficienza per ricostruire la storia economica dei beneficiari e calcolarne il merito creditizio [3]. E le banche tradizionali come hanno giocato finora questa partita?

Da Open a Inventive Banking
Gli Osservatori del Politecnico di Milano registrano un panorama bancario tradizionale ad elevata inerzia: se a gennaio 2020 solo 2 banche italiane su 33 hanno già adeguato al 100% i meccanismi di autenticazione della clientela agli standard PSD2, dalla survey realizzata su 77 istituti di credito europei emerge che il 70% ha adottato la PSD2 senza sviluppare un’ottica strategica a riguardo, ma solo per compliance agli obblighi normativi.

Le cause sono chiare: negli scorsi decenni le dinamiche di competizione di mercato e innovazione tecnologica nel settore finanziario sono state molto lente, disincentivando le banche a costruire infrastrutture tecnologiche flessibili, ad adottare processi interni user centered e a considerare il rischio come un’opportunità.

Oggi la PSD2 cambia tutto imprimendo un’accelerazione inarrestabile al settore. La sfida odierna per le banche è proprio quella sulla mentalità, da evolvere non solo in senso “open” ma, ancor di più, “inventive”.

Serve creatività per smontare lo stereotipo dei “due grami miseri semplici penny” di Mary Poppins, anche alla luce dei crack degli ultimi anni. Serve creatività nel valorizzare i propri punti di eccellenza (es: la conoscenza delle transazioni dei clienti) migliorando il portafoglio dell’offerta e integrandolo in esperienze digitali friendly e agili che accompagnano la quotidianità dei clienti.

Serve creatività, e anche un pizzico di coraggio, per entrare nella Platform Economy selezionando in maniera strategica le partnership, sia di business che tecnologiche: queste ultime sono abilitatori chiave perché apportano rapidamente innovazione alla banca grazie a tecnologie come intelliigenza artificiale e Blockchain.

Non resta che attendere: chi “sbancherà” l’Open Banking?

RIFERIMENTI
[1] Business Insider Intelligence Report: “The Monetization of Open Banking”
[2] IFC global SME Banking survey 2019 (pag.16)
[3] Financial Times “Amazon seeks to revive its faltering loans business