categoria: Draghi e gnomi
Draghi tra Canova e Thorvaldsen, una sfida tra Nord e Sud Europa
Anni fa l’economista di Morgan Stanley Joachim Fels raccontò la barzelletta preferita di Mario Draghi, raccontata dall’allora presidente della Banca Centrale Europea ad una cena al museo Senckenberg di Francoforte.
“Un uomo ha bisogno di un trapianto di cuore”.
Dice il dottore: “Posso darti il cuore di un bambino di cinque anni”.
“Troppo giovane”.
“Che ne dici di quello di un banchiere d’affari quarantenne?”.
“Non hanno cuore”.
“E un banchiere centrale settantenne?”.
“Lo prenderò”.
“Ma perché?”.
“Non è mai stato usato!”.
La visita alle Gallerie d’Italia in Piazza della Scala (già sede della sede centrale della Banca Commerciale Italiana, oggi Intesa Sanpaolo) della mostra “Canova e Thorvaldsen” mi ha fatto venire in mente questo lato umoristico e affabile – sconosciuto ai più – di Mario Draghi.
Volando altissimo, penso che la scultura di Antonio Canova (1757-1822) – sembra che le “Tre Grazie” esistano e si muovano lì davanti a te – rappresenti la cultura del sud Europa, calda, sensibile, estroversa. Bertel Thorvaldsen (danese, 1770-1844) – perfetto, levigato, inappuntabile – è la massima espressione del rigore nord-europeo.
Sul sito delle Gallerie d’Italia (formidabile spazio espositivo che dobbiamo alla tenace volontà di Giovanni Bazoli, a cui Andreatta e Ciampi nel 1982 diedero il mandato di risanare il Banco Ambrosiano) leggiamo: “La possibilità di radunare le loro statue più belle ci ha permesso di allestire un vero Olimpo di marmo, emblema di una civiltà che guardava all’antico, ma che aspirava nello stesso tempo alla modernità. Canova è stato l’artista rivoluzionario, capace di assegnare alla scultura il primato sulle altre arti, attraverso il confronto e il superamento degli antichi. Thorvaldsen, studiando l’opera e la strategia del rivale, si è ispirato a un’idea più austera e nostalgica della classicità, avviando una nuova epoca dell’arte nordica dominata dal fascino intramontabile del mondo mediterraneo”.
Mario Draghi, fervido europeista, nei suoi otto anni alla BCE è stato più vicino a Canova o a Thorvaldsen? Appena nominato governatore nel novembre 2011, il settimanale Bild decise di conferire a Draghi un elmetto prussiano del 1871, un Pickelhaube, poiché, secondo loro, impersonava perfettamente la mentalità prussiana, concentrato di autoritarismo, disciplina e rigore intransigente.
Tuttavia la politica espansiva dell’Eurotower, i tassi bassi e il ricorso ai diversi Quantitative Easing (QE) non sono tanto piaciuti in Germania, e hanno indotto il tabloid tedesco alla fine del mandato (novembre 2019) a chiedere la restituzione del dono poiché “Draghi oggi significa l’espropriazione per milioni di risparmiatori (tedeschi) attraverso la sua politica infinita di tassi d’interesse negativi. ‘Draghila’ ha svuotato i nostri conti: i risparmiatori tedeschi hanno perso sotto la guida Bce dell’elegante italiano 120 miliardi di euro di potere d’acquisto reale”.
La Bild ha titolato a caratteri cubitali: “Rivogliamo il nostro elmetto”. Ma Draghi, citando un proverbio tedesco, ha replicato in conferenza stampa al termine del suo ultimo consiglio direttivo: “Geschenkt is Geschenkt! (Un regalo è un regalo)”. E quindi ha aggiunto: “Credo che lo terrò”.
Negli anni Mario Draghi, proprio perché fedele al mandato della Bce, ha cercato in tutti i modi di far risalire l’inflazione, ben al di sotto del 2%, obiettivo fissato ai tempi della Bundesbank dai rigorosi banchieri tedeschi. Stabilità monetaria significa che i prezzi devono salire (non è per nulla facile per un banchiere centrale che ha sempre combattuto l’inflazione, doverla creare). Non troppo. Non certo come in Italia negli anni Ottanta. Il giusto. Se scendono significa che qualcosa nell’economia non funziona. Si rischia la deflazione (micidiale combinazione di disinflazione e recessione). E quindi Draghi ha cercato il consenso delle cancellerie e degli altri banchieri centrali europei. Ha agito con le sue qualità empatiche, come fosse Antonio Canova. Se fosse stato gelido come Thorvaldsen (o come un banchiere centrale tedesco come Tietmeyer, Weigel o Emminger) probabilmente l’euro e l’Unione Europea non esisterebbero più.
Il “Whatever it takes” londinese dell’estate 2012 è stato il frutto di un lungo lavorio sotterraneo. Solo una persona come SuperMario, competente e dotato di capacità relazionali – apprese al ministero del Tesoro fin dai tempi di Guido Carli, e affinate dal confronto con la mente raffinatissima di Paolo Cirino Pomicino, neurologo prestato al ministero del Bilancio – poteva raggiungere un compito così difficile. Il calore umano serve eccome. Draghi un cuore ce l’ha!
Vedremo come riuscirà a gestire la Bce la nuova arrivata Christine Lagarde. I tedeschi non sono malleabili. Hanno sotto la pelle la paura matta dell’inflazione. La vedono anche quando non c’è. La spiegazione c’è.
L’iperinflazione nella Repubblica di Weimar negli anni ’20 (che preparò il terreno per l’avvento di Hitler, eletto democraticamente nel 1933. Così raccontò Frederich Kessler, docente a Harvard University: “Fu orribile. Orribile! Colpì come un fulmine. Nessuno se l’aspettava. Gli scaffali dei negozi erano vuoti. Coi tuoi soldi di carta non potevi comprare nulla.” Keynes, nel descrivere il processo inflazionistico verificatosi in Austria dopo la prima guerra mondiale, racconta come la gente ordinasse due birre alla volta, perchè i prezzi crescevano più in fretta del tempo necessario a berle.
Elias Canetti in modo magistrale in Massa e Potere (Adelphi, 1981) spiega come l’iperinflazione abbia effetti sconvolgenti e i suoi effetti non sono limitati al momento stesso in cui si verifica. “Improvvisamente l’unità di denaro perde la sua personalità, e si trasforma in una massa crescente di unità che hanno sempre meno valore, quanto più grande è la massa. Si hanno d’improvviso in mano milioni che si sarebbero sempre posseduti così volentieri; ma essi non sono più tali, conservano soltanto il nome. E come è possibile contare fino a qualsiasi cifra, così il denaro può svalutarsi fino al più infimo grado… L’uomo che vi aveva riposto la sua fiducia non può fare a meno di sentire come proprio il suo svilimento. A causa dell’inflazione, tutte le cose esteriori sono coinvolte nell’oscillazione, nulla è sicuro, l’uomo stesso è sminuito. …La massa si sente svalutata poiché il milione è svalutato”. Canetti aggiunge che “difficilmente i tedeschi sarebbero giunti a tanto (nel trattamento degli ebrei, ndr) se pochi anni prima non avessero sperimentato un’inflazione a causa della quale il valore del marco calò nella misura di un bilione. Sugli ebrei essi scaricarono quella inflazione come fenomeno di massa”.
Uscendo dalla mostra si ha la sensazione di rinascere. Essere cittadini italiani è un lavoro. Si fa fatica anche a portare a termine i compiti facili. Può venire voglia di dire che il “futuro non è più quello di una volta”, o come ha sostenuto il grande attore Karl Valentin “Una volta il futuro era migliore”. Andate a vederla (è aperta fino al 15 marzo 2020), vedrete che vi verrà voglia di vivere.
Twitter @beniapiccone