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Prescrizione, abolirla è un po’ come togliere dal mercato la tachipirina
L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –
Con la riforma in vigore dal primo gennaio 2020, nessun reato potrà più cadere in prescrizione dopo la sentenza di primo grado, sia di assoluzione che di condanna.
La norma di riferimento del codice penale recita: «Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna».
È questo uno dei regali per il nuovo anno, portato in questo caso dal ministro Bonafede e dal Governo di cui fa parte.
Partiamo dall’esporre, brevemente, in cosa consiste la prescrizione e a cosa serve. Per poi comprendere, a quel punto, pur senza essere degli esperti di diritto, la portata negativa di una tale riforma.
La prescrizione ha a che fare con il principio della ragionevole durata del processo, costituendone un pilastro indispensabile e garantendo il prevalere del diritto di ogni uomo a non essere più perseguitato dalla macchina giudiziaria una volta che il procedimento a suo carico non si sia definitivamente esaurito nel lasso di tempo predeterminato per legge.
Sotto un profilo “funzionale”, poi, essa deve essere considerata come una sorta di “rimedio” per decongestionare il carico giudiziario. La prescrizione non è altro, quindi, che la conseguenza delle disfunzioni della giustizia penale, in un ordinamento come quello italiano connotato da un sistema processuale in cui vige il principio di obbligatorietà dell’azione penale, con indagini che si protraggono nel tempo, rinvii di udienze e una serie indefinibile di tempi morti e dispersioni che causano ineluttabilmente una posticipazione, a questo punto fisiologica, dell’approdo alla decisione definitiva su una questione.
Abolendo la prescrizione, dunque, abbiamo annullato il “rimedio”, pur persistendo il problema. Questo basta a far capire l’assurdità della misura. È come se, da un giorno all’altro, scoprissimo che i rimedi per combattere la febbre, tipo la tachipirina, fanno male e quindi la togliamo dal mercato. Così, senza criterio, senza trovare un’alternativa. La febbre, ovviamente, rimane. Il risultato qual è? Che chi ha la febbre se la tiene, e amen!
Abolendo la prescrizione, quindi, abbiamo abolito la tachipirina. Niente di più.
Per questo, nelle intenzioni della Lega, c’era stata una posticipazione dell’entrata in vigore della misura, proprio nell’ottica di accompagnarla con una riforma organica del processo penale. Un po’ come a dire, prima di togliere dal mercato la tachipirina, cerchiamo un’alternativa alla stessa. Ma niente. La caduta del governo gialloverde, accompagnata dalla successiva nascita di quello giallorosso, si è portata dietro, quasi in silenzio, questo enorme fardello di cui oggi ci troviamo a pagare il conto.
Con l’abolizione della prescrizione, poi, c’è il rischio di vedere processi che non termineranno mai: la prescrizione, infatti, funge anche da incentivo per i giudici a essere più celeri nel trattare le controversie, proprio per evitare che un lungo processo termini con un nulla di fatto a causa della prescrizione.
Con l’abolizione della prescrizione, invece, i giudici potranno prendersela comoda: non ci sarà più alcuna fretta a fissare l’udienza d’appello, visto che il reato non si prescriverà mai. Tutto ciò, con evidente danno non solo per l’imputato, ma anche per la parte civile che attende la risposta definitiva della giustizia.
È questo un ulteriore aspetto negativo della riforma: con l’abolizione della prescrizione e l’inevitabile dilatarsi dei tempi processuali la giustizia sarà ancora più lenta di quanto lo è ora, con la conseguenza che l’imputato rimarrà tale a tempo indeterminato (in barba al principio di ragionevole durata del processo) e la vittima non vedrà mai riconosciute le proprie ragioni.
Si rischia, in definitiva, di far saltare i più comuni principi garantistici della Costituzione e dell’intero ordinamento giuridico italiano.
È certamente necessario intervenire sui tempi del processo rendendo certo il tempo dell’indagine e rafforzando le garanzie di difesa. E nulla di tutto ciò passa attraverso l’abolizione della prescrizione.
Le perplessità appena sollevate, è bene dirlo, non sono frutto dell’isolata opinione dello scrivente. Basti considerare, a titolo di esempio, quella che i penalisti definiscono “la battaglia contro l’abolizione della prescrizione”. Così in una nota l’Unione delle Camere Penali Italiane, entrate in stato di agitazione”. Lo strumento scelto è un “ricorso giurisdizionale per ottenere una semplice verità statistica sulla prescrizione che demolirebbe il castello di menzogne sulle quali è stata costruita una delle più sgangherate e pericolose riforme della storia repubblicana”. È stata annunciata la costituzione di un Comitato Promotore del referendum abrogativo della riforma Bonafede.
Del resto, i penalisti italiani avevano partecipato alle consultazioni del tavolo ministeriale sul tema della ragionevole durata del processo facendosi promotori di proposte condivise con l’Associazione Nazionale Magistrati su diverse, possibili aree di intervento: rafforzare la funzione di filtro dell’udienza preliminare; rilanciare il patteggiamento estendendone casi e premialità; indicare diversi parametri per l’ammissione della prova in sede di giudizio abbreviato condizionato; intervenire con una nuova depenalizzazione in materia contravvenzionale.
Lo stesso scrivente ha più volte avanzato proposte capaci di incidere direttamente sulla durata dei processi, garantendo dei termini ben precisi entro cui trattare le cause. In estrema semplificazione, propongo “provocatoriamente” tre articoli: art. 1- i processi penali vanno definiti in primo grado entro tre anni dalla notitia criminis; art. 2- i processi civili vanno definiti entro due anni dalla citazione; art. 3- i giudici che non ottemperano ai suddetti articoli sono sottoposti a procedimenti di controllo volti all’accertamento di eventuali responsabilità.
Invece no.
Nulla di tutto questo. La soluzione scelta è quella di togliere la tachipirina dal mercato. E allora, buona febbre a tutti.