categoria: Draghi e gnomi
L’ export è un horror solo per i media. L’Italia che produce ed esporta c’è
“Export novembre -4,2%, dato peggiore dal 2011”
“Istat, -3,2% annuo, rimbalzo negativo per cantieristica navale”
“Commercio estero italiano: l’export a novembre -4,2%, il peggior risultato dal 2011”
“Commercio estero, a novembre export giù del 4,2%: mai così male dal 2011”
“Commercio estero. A novembre crollo delle esportazioni”
Sarà forse colpa della guerra commerciale, o il conseguente calo della domanda globale, o forse la scarsa competitività all’estero delle aziende italiane, ma secondo gran parte dei media, ripresi poi da telegiornali e trasmissioni di approfondimento, per quello di novembre 2019 siamo dinanzi al peggior dato sul commercio estero dal 2011. E se il commercio estero ci abbandona, l’economia italiana, con la sua domanda privata anemica e il contributo nullo della domanda pubblica, è destinata al collasso.
Tempi bui si avvicinano. Dopo anni di annunci che faremo una brutta fine, ecco che ci siamo.
E con la curiosità che le cose stiano effettivamente precipitando il lettore, l’ascoltatore, il cliente, è stimolato a leggere la pagina, a sentire l’approfondimento, a seguire il profeta di sventure del momento.
La regola delle tre esse: sesso, soldi, sangue per vendere una notizia.
Ok, la notizia, ma il dato? Il commercio estero sta davvero precipitando come hanno riportato tutti i grandi media venerdì? Siamo davvero tornati al 2011, quando lo spread impazzava su tutti i giornali ed una nuova recessione colpiva il portafoglio di tutti gli italiani?
Un minimo di dimestichezza con i dati sul commercio estero ci dovrebbe innanzitutto aiutare a riconoscere che il dato sul mese precedente, quel -4,2%, ha veramente scarsa rilevanza per identificare una tendenza. Scarsa rilevanza che ha anche il dato grezzo, -3,2% riferito allo stesso mese dell’anno precedente.
Solo depurando il dato dalla volatilità delle singole rilevazioni è possibile avere un’idea più chiara sulla tendenza di fondo. Per valutare quella del commercio estero è sempre consigliato riferirsi almeno ai dati calcolati sul trimestre o sull’anno.
Se lo calcoliamo sui dati dei dodici mesi chiusi a novembre 2019, l’andamento del commercio estero, in termini di esportazioni e di saldo commerciale (la differenza tra quanto esportiamo ed importiamo), è il seguente:
Nel 2011 le esportazioni annuali viaggiavano intorno i 360 miliardi, con un saldo commerciale negativo per oltre 30 miliardi. A novembre 2019, le esportazioni sui dodici mesi sono state superiori ai 476 miliardi di euro, il valore più alto di sempre. Anche il saldo commerciale ha raggiunto il suo massimo storico, superando i 51 miliardi.
Quello che i media riportano come “il peggior dato dal 2011” è la semplice variazione mensile delle esportazioni, destagionalizzate. Peggior dato dal 2011 perché influenzato dal fatto che le esportazioni, nel mese di ottobre 2019, hanno raggiunto il valore mensile più alto, non dal 2011, ma di sempre.
Tranquilli, c’è ancora un’Italia che produce, compete, innova e vende i propri prodotti all’estero.
La vera tendenza che si rileva dal 2011 è stata quella di appoggiarsi su questa Italia che esporta, facendo in modo che i continui avanzi negli scambi commerciali riequilibrassero la posizione patrimoniale sull’estero, che era stata lasciata andare in passivo durante i primi anni di adesione alla moneta unica.
Perché, detto con le parole dell’ex governatore Antonio Fazio (sempre autorevolissimo in materia di politica monetaria, pur se criticabile per le scelte più recenti della sua carriera e per le sue amicizie politiche, che lo hanno portato alle dimissioni nel 2005 e alla condanna definitiva nel 2012 per la vicenda della scalata della Popolare di Lodi ad Antonveneta – quella dei “furbetti del quartierino“…): “Un paese che importa ed esporta capitali è come un’azienda, che ha debiti e crediti (la posizione patrimoniale nasce dal risultato annuo, che è la bilancia dei pagamenti correnti) … Siamo quindi sostanzialmente in equilibrio: è questa la solidità di un’economia. È come la forza dell’azione di un’impresa, quando un’impresa comincia ad avere le attività che valgono più delle passività (l’analogia è un po’ forzata, ma rende l’idea). Come si accresce il capitale? Con gli avanzi, con i profitti. Lo stesso vale per un Paese che abbia avanzi di parte corrente: un grande paese industriale come l’Italia deve avere una posizione attiva”.
Nel valutare le politiche che i cosiddetti Paesi periferici hanno seguito dal 2011 in poi, dovremmo sempre tener presente che l’Italia, a costo di una stagnazione o di una crescita più bassa, è stata l’unica economia che è riuscita, grazie ai continui avanzi sull’estero, a riportare in equilibrio la propria posizione.
Anche il dato di novembre continua a confermare questa tendenza. Ma è abbastanza chiaro che la notizia, se fosse data così, non avrebbe suscitato lo stesso interesse.
Twitter @francelenzi