categoria: Vicolo corto
Latte artificiale, il grande affare e il rischio di dimenticare la fame
L’autore di questo post è Andrea Ciucci, PhD in filosofia contemporanea, prete cattolico, ufficiale della Pontificia Accademia per la Vita. Lavora sui nessi tra antropologia, etica ed esperienza religiosa, con particolare riferimento alle nuove tecnologie, alla comunicazione, alla condizione giovanile e familiare, al cibo. I suoi libri migliori sono per bambini –
La recentissima proposta di inserire nella legge di bilancio 2020 un bonus latte per coprire i costi dell’acquisto del così detto latte artificiale per i neonati ha rilanciato, per l’ennesimo volta, il dibattito ormai pluridecennale intorno al commercio dei prodotti sostitutivi il latte materno. Se recentemente il tema ha avuto ulteriore visibilità grazie ai tweet di Trump e a un post della Ferragni (subito ritirato per le polemiche che aveva suscitato), chi ha qualche anno ricorderà certamente il famoso boicottaggio della Nestlè promosso a livello planetario negli anni ’80, epoca in cui appaiono i primi documenti ufficiali delle diverse agenzie internazionali coinvolte sul tema, prima fra tutte l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che proclamava la necessità di considerare il latte materno l’alimento esclusivo per i primi sei mesi di vita del neonato e l’opportunità di tale alimentazione anche fino ai due anni e oltre. La longevità del dibattito non ne ha attenuato la vis polemica; piuttosto questa si è rafforzata e precisata, soprattutto per lo sviluppo esponenziale del mercato dei prodotti sostitutivi del latte materno.
Il giro di affari prodotto è infatti quintuplicato negli ultimi vent’anni (una crescita superiore di otto volte rispetto all’incremento della popolazione), con un volume di vendita mondiale nel 2016 di 45 miliardi di dollari, stimato per il 2019 in 70 miliardi di dollari (dati UNICEF 2016). Il medesimo documento afferma che solo il 46% dei nuovi nati è oggi allattato al seno fino al sesto mese, con grandi differenze tra paesi ad alto reddito (dove il 21% dei neonati non ha mai assaggiato il latte materno) e quelli a basso reddito (4%). In alcune nazioni come la Svezia la variazione ha preso la forma di un crollo verticale: se nel 1944 l’88% dei neonati riceveva latte materno nei primi sei mesi di vita, già alla fine degli anni ’70 la percentuale era solo del 30%. Secondo Euromonitor (cfr. diagramma sotto), la sola Cina importerà 333.000 tonnellate di latte di formula (questo il nome tecnico dei prodotti che sostituiscono il latte materno) per neonati, 20 volte la quantità del 2005, con una previsione di spesa di 32 miliardi di dollari nel 2023 (+ 21% rispetto al 2018).
Lo sviluppo del mercato ha, come sempre accade, arricchito la proposta commerciale fino a comprendere, a oggi, almeno tre tipologie di sostituti del latte materno: latte di tipo 1 (dedicato ai neonati fino al 6° mese), latte di tipo 2 (6-12 mesi) e la new entry “latte di crescita” (1-3 anni). Quest’ultimo prodotto (naturalmente non imparentato con il latte materno né con quello vaccino, assumibile per altro da un bambino di un anno di età), pur non sostituendo il latte materno (così l’OMS nel 2013), nasce precisamente quale risposta artificiale all’indicazione della medesima agenzia di continuare l’allattamento (che tecnicamente è sempre al seno) anche oltre i due anni, con un successo commerciale che ha superato gli altri due prodotti:
Il mondo scientifico e sanitario internazionale ha accompagnato questo sviluppo con una ricerca scientifica di alto profilo (famosa è la serie sul tema promossa da The Lancet, una delle più autorevoli riviste mediche del mondo), una regolamentazione delle pratiche puntuale (OMS, UNICEF), una promozione della cultura dell’allattamento (Save The Children, Ministero per la Salute italiano). La riflessione non ha mai messo in discussione l’esistenza in sé di un sostituto del latte materno (che in alcuni casi davvero costituisce l’opzione migliore per la nutrizione dei neonati e dei bambini più piccoli) quanto l’estrema diffusione che appare scientificamente ingiustificata, addirittura inopportuna e pericolosa per la salute dei piccoli e delle loro mamme. L’allattamento riduce infatti il rischio di infezioni, favorisce lo sviluppo neurologico, contribuisce a prevenire malattie quali diarrea, polmonite, diabete tipo 2; The Lancet stima che ogni anno muoiano quasi 800.000 bambini e 20.000 madri per malattie connesse al mancato allattamento.
Per questo motivo, già tra il 1979 e il 1981, è stato elaborato il Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno, approvato dall’Assemblea Mondiale della Salute (AMS) con voto favorevole anche dell’Italia (che lo ha recepito con la legge 2009/82. Il documento, recepito a oggi con modalità diverse nella legislazione di 134 paesi (cfr mappa sottostante) fa riferimento a tutti i prodotti connessi all’allattamento infantile, non ostacolandone la produzione, la vendita e l’uso, bensì limitandone solamente il marketing in tutte le sue formule, per proteggere e aiutare i genitori a prendere scelte consapevoli sul tema, in modo indipendente da interessi commerciali.
Questa attenzione specifica al tema pubblicitario, attenta cioè alla narrazione della pratica dell’allattamento o dell’uso dei suoi surrogati, mostra che la questione è anzitutto culturale, giocata in buona parte sulle modalità con cui si rappresenta il ruolo materno e il suo rapportarsi con i figli appena nati.
È però possibile individuare una radice più ampia che permetta di comprendere culturalmente il fenomeno, le sue opportunità e le sue problematicità. Molti studi evidenziano che uno dei limiti maggiori dell’allattamento artificiale dei neonati è il venire meno dell’atto stesso dell’allattamento, con il conseguente impoverimento del decisivo rapporto fisico che lega madre e figlio nei primi mesi di vita, evoluzione di quel rapporto costruitosi in modo simbiotico nei mesi della gravidanza. Il latte materno non è la scelta migliore solo per la sua composizione chimica ma proprio perché materno, di una madre che è presente fisicamente.
Il consumo non necessario di latte di formula è, in radice, la conquista non gradita dell’ultimo miglio (o meglio del primo, quello dei primi mesi della vita di un essere umano) da parte del così detto processed food, ovvero di una nutrizione in cui il cibo somministrato è pesantemente trattato industrialmente fino a risultare quasi completamente sganciato dalla terra e dalle persone che lo producono e lo servono. Questo è il punto decisivo, per i neonati come per gli adulti: in nome di una presunta (o parziale) efficacia si separano i fondamentali della vita (nutrizione in primis) dalle relazioni in cui essi si attuano.
Il rischio serio è quello di perdere quella che può essere definita la benedizione della fame: questa ha la forma di un desiderio fondamentale, vitale, violento, che riconduce ogni essere vivente al suo non bastare a sé stesso (nessuno possiede in sé stesso tutti gli elementi che lo fanno sopravvivere, ha bisogno di ingurgitare qualcos’altro), al suo essere radicato alla terra (che fornisce, seppur in modo sempre culturalmente mediato, le materie prime dell’esistenza) e all’umanità che la abita (a partire da una madre, primo altro con cui ogni nuovo essere umano impara a fare i conti).
La tettarella, il biberon, per quanto progettati secondo forme anatomiche, risultano sempre imitazioni. In realtà esse eludono il corpo materno e illudono quello del neonato, segnato, sin dal primo vagito, da un’estraneità che dovrebbe essere permessa sono in casi gravi ed eccezionali. È interessante: l’epoca che ha riscoperto e liberato finalmente il corpo, dopo secoli di pruriginoso sospetto cui anche una certa tradizione cattolica ha purtroppo contribuito, risulta alla fine incapace di abitarlo pienamente, spaventata dai rischi e dalle responsabilità che, certo, impone.
Recentemente hanno fatto il giro del mondo le immagini di una eurodeputata che allattava il suo bambino durante una sessione parlamentare; anche l’invito ad allattare durante la celebrazione di un battesimo rivolto da Papa Francesco alle mamme presenti ha generato clamore mediatico. Alla fine, a suscitare scalpore, a fare notizia, sono la normalità dei corpi, la naturalezza dei desideri, la fecondità delle relazioni.
Twitter @donciucci