categoria: Distruzione creativa
Il futuro è sparito dall’orizzonte, ovunque in Occidente. In Italia ancor di più
L’autore di questo post è Tobia De Angelis, imprenditore tech, ex VC investor in Italia e all’estero.
Viviamo in un’era di incredibili innovazioni tecnologiche, il futuro è alle porte, la scarsità delle risorse è un’idea del passato.
Un noto politico italiano teorizzava che nel 2040 smetteremo proprio di lavorare, non ce ne sarà più bisogno. Il sogno comunista della “piena automazione” è davanti a noi a pochi passi, pronto ad essere traguardato.
Dobbiamo quindi sbrigarci a regolare l’innovazione tecnologica per evitare la distruzione di posti di lavoro e “gestire la complessità”.
Nulla di più falso: abbiamo il problema opposto. Il futuro è sparito dall’orizzonte, ovunque in tutto il mondo Occidentale, ed in Italia ancor di più.
[tesi sostenuta da più di un commentatore, tra cui Peter Thiel che l’ha elaborata nel bellissimo manifesto di Founders Fund]
La produttività è inchiodata al palo e abbiamo smesso di crescere.
La produttività è inchiodata al palo e abbiamo smesso di crescere. (per approfondimenti
Perché?
Più di una ipotesi, nessuna definitiva:
Il mondo occidentale sta invecchiando, gli italiani hanno iniziato prima di altri questo processo, questo, nel tempo, si riverbera nella società che inizia a rallentare.
– Ogni anno emigrano decine di migliaia di persone con un buon know-how mentre immigrano soggetti a bassa specializzazione (e con differenze culturali che rendono il processo di integrazione più conflittuale di quanto riusciamo ad ammettere).
– Il progresso scientifico sta approcciando velocemente il suo asintoto superiore naturale, scopriamo sempre meno cose in molto più tempo perché c’è sempre meno da scoprire per noi, e ci dobbiamo abituare a questo nuovo mondo con poca crescita.
– Il progresso scientifico c’è, ma non è ancora tradotto in progresso tecnologico, quindi lo “slump” attuale è spiegato come una fase di passaggio.
– Stiamo soffrendo un trasferimento di ricchezza near-zero-sum da paesi sviluppati a paesi in via di sviluppo (i beneficiari principali sono Cina fino ad oggi, India da domani).
Come possiamo recuperare il futuro perduto?
Dobbiamo definirlo, prima, questo futuro. Il futuro è progresso. Il futuro è il prossimo balzo tecno-economico.
Le cinque rivoluzioni tecno-economiche, Carlota Perez. Quale sarà la sesta?
È quel domani dove – se ci guardiamo intorno – vediamo individui, aziende ed organizzazioni produrre ed utilizzare prodotti e servizi nuovi, che ieri non esistevano.
È così che si definisce la capacità produttiva di un territorio – per quantità, qualità ed unicità di prodotti sempre più complessi che vengono prodotti in un determinato Paese.
Export Italia e Congo a confronto – l’Italia produce più prodotti, più complessi ed interconnessi. Fonte: Atlas of Economic Complexity, Harvard
Ricardo Hausmann utilizza una bella analogia per spiegare come le società progrediscono: immaginiamo la capacità produttiva e complessità economica di una società è come una partita a Scarabeo a cui giochiamo tutti insieme.
In Scarabeo l’obiettivo è pescare sempre lettere per costruire parole sempre più lunghe, complesse ed interconnesse.
In una società poco complessa e sviluppata gli individui che la compongono hanno a disposizione poche lettere, possono comporre parole necessariamente limitate, poco interconnesse, e tutti possono comporre tutte quelle poche parole (non c’è specializzazione).
Un esempio: un aratro in legno trainato da un animale è intrinsecamente meno complesso di un trattore – lo si può immaginare come un costrutto composto da meno lettere che quindi richiede meno specializzazione del lavoro e libera meno risorse.
Pochi soggetti poco specializzati possono collaborare creare un aratro a traino, ma servono decine di aziende per creare un trattore moderno per produrlo e mantenerlo funzionante.
Anche una semplice matita è in realtà prodotto di lavoro specializzato ed interconnesso.
Nessun uomo è in grado di produrre ogni singolo pezzo e costruire un trattore interamente da solo; il trattore è un prodotto complesso, frutto della cooperazione di una larga rete di soggetti, una enorme e distribuita filiera produttiva che è in grado di rinnovarsi e cambiare, mutate condizioni.
Il trattore, comparato all’aratro in legno, permette uno sfruttamento delle risorse molto più efficiente, che permette alle aziende agricole di soddisfare più clienti, con una gamma di prodotti più ampia, ad un costo minore.
Una società migliora e si evolve quando il progresso scientifico e tecnologico scopre nuove lettere dell’alfabeto, e con queste si creano nuove, complesse parole – prodotti e servizi – che soddisfano bisogni vecchi e nuovi, creati attraverso processi produttivi sempre più complessi ed interconnessi.
Gli individui ed i gruppi si specializzano sempre più, e questo aumenta l’interdipendenza tra I soggetti, favorisce la cooperazione e le reti produttive si fanno più complesse, e con loro la società tutta.
Nelle società primitive basate su caccia e pesca si possono contare qualche dozzina di ruoli sociali ed occupazioni, mentre in società più sviluppate ma preindustriali si contano 10, 20mila ruoli. Società industriali e post industriali possono contenere anche un milione di ruoli sociali differenti. (fonte, The Collapse of Complex Societies)
C’è quindi una diretta relazione tra la complessità della società, l’ampiezza delle reti produttive e la specializzazione ed il benessere totale generato.
Questo processo di progresso non è però un processo garantito: è compito di ognuno di sforzarsi e scoprire nuove lettere, costruire nuove parole, ed utilizzarle per scrivere testi nuovi, sempre più complessi.
Perché in Italia il processo è fermo?
Al netto di ragioni strutturali quali la demografia, è perché abbiamo smesso di inventare. Abbiamo smesso di scoprire. Abbiamo smesso di imparare. Abbiamo smesso di immaginare cose nuove.
Abbiamo iniziato a spremere a rendita il nostro capitale e abbiamo allocato risorse che non avevamo, prese a prestito nel futuro, in attività che non generano benessere ma in prebende a questo o quel gruppo di interesse.
La politica e i gruppi di interesse hanno ingessato il mercato, diluito gli incentivi al progresso, baronizzato la ricerca scientifica, rotto i meccanismi di trasmissione tra ricerca, progresso tecnologico e creazione di aziende, demonizzato il ruolo del mercato e il ruolo degli imprenditori e delle imprenditrici, burocratizzato l’inimmaginabile.
Abbiamo permesso ai politici di – impunemente – mettere 10 miliardi di euro in Alitalia. Abbiamo aumentato il debito pubblico. Abbiamo aumentato le tasse. Abbiamo speso più di quanto potessimo permetterci. Abbiamo garantito rendite di posizione. Abbiamo sussidiato aziende decotte.
Abbiamo ucciso di aiuti il Sud. Decine e decine miliardi di aiuti pubblici per non veder finita nemmeno la Salerno Reggio Calabria.
Come stupirsi quindi del mancato rinnovamento e mancata espansione del tessuto produttivo – che fatica a competere per tasse, burocrazia e mancanza di cross-contaminazione con settori all’avanguardia?
E come non vedere che il settore di frontiera per definizione degli ultimi 20 anni – ICT – è in Italia sottodimensionato, con un ruolo risibile rispetto a quello ricoperto in nazioni con progresso in precedenza paragonabile al nostro, e non abbiamo nessun o quasi “campione” nazionale.
Che fare ora? Siamo in ritardo strutturale e ormai siamo destinati all’obsolescenza e alla “messicanizzazione” ?
Forse no, ma per salvarci dobbiamo smettere di guardare alla politica come il luogo da dove possono venire soluzioni, pretendere di più da noi stessi, prendere l’aereo ed aumentare la nostra personale connessione a reti produttive globali, imparare cose nuove e ricominciare a correre, ed aiutare il prossimo – uno alla volta.
Adesso.
Twitter @tobdea
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