categoria: Vicolo corto
Ex Ilva, per le scelte coraggiose meglio pesci in barile o libere sardine?
L’autore di questo post è Eraclito, pseudonimo che un “umile servitore dello Stato”, esperto di economia e finanza, soprattutto in ambito internazionale, ha scelto per scrivere con maggior libertà –
Non facciamo confusione con questo post: non si tratta di una riedizione del precedente articolo di Eraclito su queste colonne ma bensì della seconda puntata di una storia che se non fosse tragica sarebbe comica. I pesci in barile sono rappresentati dalla classe politica e dalla classe dirigente italiana, sordi a qualsiasi metodo aperto e trasparente per risolvere una crisi aziendale come quella di ILVA; le libere sardine sono quelle che nelle parole di Francesca Irpinia, coordinatrice di Taranto, non accettano di confrontarsi con la scelta binaria e alternativa tra diritto alla salute e dignità del lavoratore; esigono una soluzione netta che persegua entrambi i valori e, se mi posso permettere, in caso di scelta tra i due valori, a me pare che il diritto alla salute debba prevalere sulla continuità di un’azienda che inquina.
Dunque, ribadisco: conosco bene i miei compatrioti della Magna Grecia e so bene che non sono né bravi fabbri né bravi spadaccini; in altre parole, il ferro e la siderurgia non sono il loro mestiere.
Pertanto, il consiglio di un filosofo di Efeso della Grecia antica ai propri compatrioti continua ad essere questo: non lasciatevi ingannare dalle sirene della politica italiana; ascoltate quelle sirene ma, come Ulisse, fatevi legare all’albero della nave non già perché rischiate di farvi ammaliare come Ulisse ma perché rischiate di “mettergli le mani addosso”, passando dalla parte del torto.
Quindi, poniamo alcune domande alla classe politica e dirigente italiana:
– Avendo 100 euro di tasse bellissime a disposizione e solo quelle (chiamasi vincolo di bilancio!), come le impieghiamo? Bonifichiamo il sito ILVA? Sovvenzioniamo l’azienda siderurgica che inquina? Curiamo chi ha già contratto una malattia? Oppure magari li usiamo per completare il Mose salvando così Venezia, patrimonio dell’Unesco?
– È più importante la politica industriale o il diritto alla salute? Nel caso fosse più importante la politica industriale, la siderurgia è una priorità per l’economia italiana? Oppure magari il vantaggio comparato degli imprenditori italiani risiede in altro rispetto alla siderurgia? Se fosse più importante il diritto alla salute, che lavoro e dignità possiamo dare ai lavoratori ILVA?
– Infine, essendo l’Italia una Repubblica fondata sul lavoro, i lavoratori dell’ILVA avranno diritto ad un lavoro o no? Ma la domanda per uno dei più noti sindacalisti italiani incontrato per caso per strada è la seguente: va bene lo stesso se ai lavoratori dell’ILVA offriamo un altro lavoro altrettanto dignitoso, chiudendo gli altiforni che inquinano Taranto? In altre parole, occorre difendere il lavoratore oppure il suo posto di lavoro?
Come già ricordato in precedenza, nel caso della Magna Grecia alle prese con la siderurgia e l’abbandono da parte della multinazionale Arcelor-Mittal, il messaggio di un Adam Smith filosofo ed economista moderno dovrebbe essere chiaro: lo Stato stabilisca le regole del gioco anche e soprattutto al fine di tutelare alcuni fondamentali beni pubblici (la salute e l’ambiente sopra ogni altra cosa), ma poi ognuno sia libero di agire liberamente nel rispetto di quelle regole.
Dunque, il mio appello su queste colonne va ancora una volta ai miei una volta saggi compatrioti della Magna Grecia ed è questo: riprendete in mano le vostre sorti! È già tanto tempo che attendete e ora basta così. Come disse una volta un grande presidente degli Stati Uniti, non chiedetevi cosa lo Stato può fare per voi ma chiedetevi cosa voi potete fare per lo Stato e, soprattutto, per la vostra comunità, ossia per voi stessi!
Da parte mia, la risposta da compatriota dei buoni cittadini della Magna Grecia me la sono già data: liberiamoci del ferro e degli impianti siderurgici (non sono più competitivi e non abbiamo bisogno di cattedrali in riva al mare); bonifichiamo quelle aree perché lo dobbiamo innanzitutto a coloro che rischiano la salute (o l’hanno già compromessa) bevendo acqua impregnata di sostanze cancerogene oppure respirando aria satura di polveri sottili; infine, fatta tabula rasa, costruiamo qualcosa in quelle aree che sia in sintonia con i valori e le tradizioni della grande civiltà della Magna Grecia e, soprattutto, che sia portatrice di benessere materiale oltre che culturale per gli abitanti di quel luogo.
Un progetto imprenditoriale di questo genere potrebbe essere facilmente formulato; è sufficiente superare la fuorviante e stucchevole dialettica politica del “salviamo l’ILVA a tutti i costi”, come dicono alcuni, oppure del “salvaguardiamo lo stabilimento industriale ma senza piegarci ai diktat di una multinazionale anglo-indiana”. Il dibattito politico in corso merita di essere stigmatizzato come fuorviante perché fa credere all’opinione pubblica che l’opzione tabula rasa non sia all’ordine del giorno e non sia un’opzione percorribile.
Ho sentito formulare in TV un commento sul movimento delle (libere) sardine secondo cui, per il momento, queste reclamano la politica del cosa (ad esempio, il diritto alla salute e la dignità del lavoratore) ma non riescono a completare il loro messaggio con la politica del come (in che maniera si raggiungono quelle cose?). Allora, il mio suggerimento alle sardine è questo: esigete dalla attuale classe politica italiana un metodo diverso dagli accordi sottobanco perseguiti sinora (cfr. Alitalia e banche varie)! Esigete che sia avviata una gara aperta e competitiva per raccogliere idee imprenditoriali che in un arco di tempo ragionevole diano lavoro agli addetti dell’ILVA tutelando allo stesso tempo la salute di tutti i tarantini! Sarebbe un metodo ottimo e, peraltro, in linea con l’impostazione dei principali partiti di maggioranza, tutti molto attenti agli umori degli elettori in democrazia diretta.
Si rammenti che se fosse lanciata una gara del genere, la prima responsabilità, ai sensi della nostra Costituzione, ha a che vedere con la salute delle comunità che vivono a Taranto; dopo di che, viene il benessere di quelle stesse comunità che hanno diritto alla dignità di un lavoro (l’Italia è pur sempre una Repubblica fondata sul lavoro) e, da ultimo ma non meno importante, viene la responsabilità verso il contribuente medio italiano (come me ad esempio che sono un umile dipendente pubblico) che ha il diritto di sapere come i propri denari vengono impiegati e per quali fini, conducendo a risultati concreti senza sprechi. La politica industriale è l’ultima cosa! O almeno, a mio modesto avviso, l’Italia non ha (più) bisogno di impianti siderurgici in riva al mare per sviluppare la propria economia, bensì di un modello di sviluppo sostenibile, in linea con i propri valori e le proprie tradizioni e amico dell’ambiente.
Mettiamo alla prova gli imprenditori italiani con una gara competitiva avente come primo premio un finanziamento pubblico a fondo perduto e soprattutto procedure burocratiche efficaci per consentire l’implementazione del progetto imprenditoriale che risulterà vincente.
Con la massima cordialità
Vostro Eraclito
Παντα ρει