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Lotta alla evasione fiscale, la trivella posizionata dove il petrolio scarseggia
L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, già giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –
In Italia, la lotta alla evasione fiscale è come una trivella che viene posizionata continuamente laddove il petrolio scarseggia. E quel che rimane è solo il buco.
Mantra di ogni Governo, specialmente in tempi di manovra finanziaria, la vituperata ed abusata lotta all’ evasione fiscale è argomento assai interessante, poiché consente allo stesso tempo di gonfiare i dati del bilancio dello Stato con previsioni super ottimistiche (spesso disattese) e di fare bella figura nei confronti degli elettori.
Quel che appare a chi scrive, tuttavia, è una situazione di disallineamento tra le misure che vengono intraprese e la situazione reale: si concentrano gli interventi sui piccoli contribuenti, mentre la grande evasione rimane impregiudicata. Ciò non appaia come una mera opinione o, quantomeno, essa è basata su dati e di misure effettive che si possono facilmente elencare.
Quali sono stati i cavalli di battaglia delle recenti misure contro l’evasione? Gli ISA, la riduzione delle soglie penali, la fatturazione elettronica, la lotta al contante. Cos’hanno in comune queste misure? Semplice: sono tutte misure rivolte essenzialmente nei confronti dei “piccoli”, lavoratori autonomi, micro imprese, commercianti al dettaglio.
Non si tratta di un’opinione, sono fatti.
Partiamo dagli ISA, i famosi indicatori dell’affidabilità fiscale attraverso cui i contribuenti vengono “misurati”, esprimendo un voto finale che va ad indirizzare i verificatori su chi e come indirizzare meglio i controlli. Senza addentrarci troppo, basta considerare una sola cosa: le imprese con fatturato superiore a 5 milioni di euro sono escluse dagli ISA. Non li devono compilare e non possono essere controllate in base ad essi. Cosa significa, in termini pratici? Facile, che gli ISA sono una misura che riguarda esclusivamente i “piccoli”, perché chi produce più di 5 milioni di euro ne è automaticamente fuori.
Arriviamo, allora, ad un altro pilastro recente della lotta all’evasione, ovvero l’inasprimento delle conseguenza penali previste per i reati tributari. Si può discutere sull’inasprimento delle pene previste. Ma quel che maggiormente interessa, nell’ottica della nostra analisi, è l’abbassamento delle soglie monetarie a partire dalle quali scatta la rilevanza penale.
Per il reato di infedele dichiarazione, ad esempio, si abbassa a 100mila euro (dall’originario importo di 150mila) la soglia dell’imposta evasa, su base annuale, di rilevanza penale per imposte dirette sui redditi e per l’IVA nonché la soglia degli elementi attivi sottratti all’imposizione di inevitabile rilevanza penale ex art. 4, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 74/2000, fissata ora a 2 milioni di euro (da quella originaria di 3 milioni di euro). Al sotto di quest’ultimo importo, resta ferma la necessitò che sia integrata la percentuale di rilevanza penale di almeno il 10 per cento tra elementi non dichiarati e quelli indicati in dichiarazione.
Ulteriore e gravoso inasprimento è previsto per i casi di omesso versamento delle ritenute certificate e dell’IVA: per le ritenute la soglia scende da euro 150mila a 100mila euro, per l’IVA flette da euro duecentocinquantamila a 150mila euro.
Cosa significa, questo? Abbassare la soglia di rilevanza vuol dire due cose: da un lato ingolfare nuovamente i Tribunali con il moltiplicarsi di cause (aumentano quelle di minore entità), dall’altro è sintomo di rivolgere l’attenzione ancora sui “piccoli” (abbasso le soglie = colpisco quelli più piccoli). E, si badi bene, è corretto contrastare l’evasione sia piccola, che grande. Ma 150mila euro di Iva non versata, o 100mila euro di maggiore imposta accertata, significa guardare alle piccole imprese, è evidente per ogni addetto ai lavori che abbia un minimo di dimestichezza con l’accertamento e la riscossione dei tributi.
Per i contribuenti più grandi, dunque, sia gli ISA, sia l’abbassamento delle soglie penali, sono misure che non contano nulla, non hanno effetti su di loro. Ergo, sono misure per i “piccoli”.
Proseguiamo la disamina. Lotta al contante e fatturazione elettronica? Anch’esse sono misure che riguardano il dettagliante e il professionista/lavoratore autonomo. Del pari, tali misure non toccano minimamente la grande impresa. Tutto questo quadro può essere ben compreso, se rapportato con un dato altrettanto oggettivo (un altro fatto, dunque, non un’opinione).
L’entità dell’ evasione fiscale contestata alle grandi imprese nel 2018 è stata 16 volte superiore a quella delle piccole aziende e dei lavoratori autonomi. Lo rileva la Cgia di Mestre: dall’attività di accertamento svolta dall’Agenzia delle Entrate lo scorso anno sulle attività economiche emerge come la maggiore imposta media accertata per ogni singola grande azienda sia pari a poco più di 1 milione di euro, per la media impresa di 365.111 euro e per la piccola di 63.606 euro.
“Questi dati ci dicono che la potenziale dimensione dell’infedeltà fiscale delle grandi aziende è enormemente superiore a quella delle piccole”, sottolinea il coordinatore dell’Ufficio studi degli Artigiani di Mestre, Paolo Zabeo. Non c’è modo di dargli torto, è oggettivo.
Tirando una linea sotto le precedenti constatazioni, è parere dello scrivente che si aggiusti il tiro, riposizionando il mirino della lotta all’evasione su ben altri obiettivi rispetto agli attuali, con relativi interventi normativi e misure ad hoc. Anche perché, diciamocelo chiaramente, i “piccoli” sono stanchi, esausti e, paradosso, nemmeno troppo appetibili per le casse erariali.
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