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C’era una volta Alitalia ma con un turismo rifondato può tornare a volare
L’autore di questo post è Marco Gallone, investment manager attivo nel campo della finanza e delle valutazioni d’impresa dal 1989 –
Che amarezza! Nel “Paese più bello del mondo”, nel Paese in cui il turismo dovrebbe rappresentare una risorsa-chiave per la crescita, la compagnia o ex compagnia di bandiera continua ad accumulare perdite da capogiro. “Con i 350 milioni di nuovi aiuti previsti dal decreto fiscale – leggiamo dal Sole 24 Ore del 18 ottobre 2019 – sale a 9,1 miliardi il conto per lo Stato e gli italiani delle perdite di Alitalia in 45 anni”. Più o meno 18 mila miliardi delle vecchie lire, una cifra abnorme.
La sua vicenda ha spiazzato sia i fanatici delle privatizzazioni e del dio mercato, sia i sostenitori delle nazionalizzazioni e rinazionalizzazioni. Eh sì, perché Alitalia è stata tutto quello che poteva essere: azienda pubblica, semi-pubblica, semi-privata, privata e financo commissariata ma niente da fare. Nessuno è riuscito a risollevarla: né i potenti boiardi di Stato della Prima Repubblica, né gli osannati (e superpagati) manager privati, nostrani e internazionali, e neppure, a quanto pare, i supertecnici governativi di adesso.
Due, com’è noto, gli errori più clamorosi, che le sono stati fatali:
1. non aver tenuto conto degli effetti dell’Alta Velocità, che ha drasticamente ridotto il numero dei passeggeri sulla rotta più redditizia (la Roma/Milano);
2. l’aver sottovalutato l’assalto delle compagnie low-cost.
Se a questi errori aggiungiamo la progressiva riduzione degli investimenti per esigenze di budget, il taglio delle rotte a lungo raggio, gli eclatanti esuberi di personale e i trattamenti faraonici un tempo ad essi riservati, le consulenze d’oro a zero valore aggiunto, ecc., è facile comprendere come si sia arrivati allo stato comatoso attuale.
Ma di analisi su errori e responsabilità del passato ne sono state fatte troppe. Cosa si dovrebbe fare adesso, se vogliamo evitare che il nostro Paese, dopo non aver più neppure una grande azienda nei settori a tecnologia avanzata (Stet-Telecom, Montedison, Olivetti-Omnitel, ecc.) e dopo aver ceduto a mani straniere innumerevoli marchi storici (Pirelli, Italcementi, Bulgari, Gucci, Valentino, Fendi, Ducati, Lamborghini, ecc.), perda pure l’Alitalia? perda cioè l’ennesima azienda che è stata un fiore all’occhiello della nostra imprenditoria, la terza compagnia europea fino a tutti gli anni ottanta!
A mio parere, c’è da fare una cosa soltanto: serve un nuovo approccio al turismo in Italia, per accrescerne la capacità di attrazione internazionale. Nell’ambito di questo nuovo approccio, Alitalia deve diventare il driver di riferimento di un settore che, per il nostro Paese, può rappresentare una vera e propria miniera d’oro.
Tutto qui? La solita tiritera del puntare su paesaggio, arte, cultura, artigianato, cibi e vino? Ad avercele, tutte quante insieme, le risorse che abbiamo noi! Ma, a parte questo, il discorso sul turismo in realtà è molto più complicato di quanto potrebbe sembrare.
Negli ultimi vent’anni, anche il settore turistico ha cambiato fisionomia: la riduzione dei costi di trasporto, la rivoluzione digitale, la crescita dei livelli di reddito anche nei paesi emergenti, ha portato all’affermazione di nuove destinazioni, innescando una competizione globale in cui le posizioni di privilegio come la nostra – se non sostenute da adeguate politiche – rischiano di essere scalzate rapidamente.
Diamo un’occhiata ai dati (tratti dall’ultimo rapporto sul turismo di Banca d’Italia, dicembre 2018):
– negli anni settanta, l’Italia era la prima destinazione turistica al mondo, la seconda dopo gli Stati Uniti negli anni ottanta, oggi siamo all’ottavo posto;
– siamo al 23° posto per sistema di trasporto passeggeri, preceduti da un cospicuo numero di concorrenti europei, tra cui Spagna e Francia;
– occupiamo la 67a posizione, la più bassa tra i paesi europei a più elevata attrattività turistica, nella graduatoria riferita alla professionalità del personale;
– in materia di spesa pubblica sostenuta per il settore, siamo al 61° posto;
– ci collochiamo al 104° posto nelle politiche di marketing per il settore, contro il 93° di 10 anni prima;
– a conferma del ritardo dell’Italia riguardo a tutta una serie di attività concernenti il “governo” del turismo e la promozione dell’immagine del nostro paese nel mondo, spicca una bella 75a posizione (60a nel 2007), a fronte del 5° posto della Spagna e del 27° della Francia.
Questi dati sono lo specchio dell’attenzione che è stata riservata a un settore così tanto importante per il nostro Paese. Figuriamoci se non lo fosse stato! E ce l’abbiamo messa proprio tutta: abbiamo perfino abolito, negli anni novanta, il Ministero del Turismo, le cui competenze sono andate a finire prima nel Ministero dei beni artistici e delle attività culturali, poi addirittura in quello delle Politiche agricole per poi tornare nel primo, con l’attuale governo. Per non dire del rimpallo di ruoli e responsabilità tra governo centrale e regioni.
Adesso però, finalmente, c’è un Piano organico per il settore: il Piano strategico 2017-22, varato dal governo Gentiloni. Sembra anche una cosa seria, stando agli obiettivi che esso si prefigge, tra cui:
– la creazione di nuove infrastrutture “mirate”, soprattutto al sud,
– la valorizzazione e la diffusione dell’immagine dell’Italia nel mondo,
– l’ampliamento dell’offerta di servizi digitali sia per i viaggiatori sia per gli operatori del settore,
– il governo dei flussi per promuovere il turismo anche nelle aree meno conosciute,
– l’implementazione di politiche trasversali in grado di incidere sull’attrattività turistica (trasporti, pulizia, sicurezza, gestione del patrimonio artistico e culturale, ecc.),
– accordi di negoziazione con i grandi tour operator.
Ebbene, abbiamo bisogno come del pane che il nostro Governo dia immediata attuazione a un Piano di questa portata. Un’azione di coordinamento a livello centrale e di riconduzione a sistema delle attività di tutti gli operatori si rivelerebbe infatti fondamentale per un settore nel quale – come in altri – predominano le piccole imprese, spesso a gestione familiare, che non hanno la capacità di raccordarsi e coordinarsi per offrire servizi competitivi in linea con i migliori standard internazionali.
Ed è appunto in un Piano così concepito che si deve ricercare la via per risanare e rilanciare Alitalia, rivedendo il piano aeroporti, riducendo l’attuale frammentazione dell’offerta, attirando passeggeri anche dalle tratte a lungo raggio, ecc.
Urge che tutto questo si traduca in realtà e azione! Il turismo deve diventare una competenza centrale del Governo e – come qualcuno ha proposto – il Presidente del Consiglio in primis dovrebbe diventarne lo sponsor principale, con esplicite responsabilità. Questo, presidente Conte, significa – come dice Lei – “guardare al futuro”.
Twitter @MarcoGallone_