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I tre insegnamenti sulla povertà dai tre premi Nobel per l’Economia
Curiosità confesso. In questo particolare momento storico, caratterizzato da numerose sfide economiche a livello globale, si veda a titolo di esempio l’ultimo rapporto sui Global Risks, mi sono domandato più volte a chi sarebbe stato assegnato il premio Nobel per l’economia del 2019. Oltre alla curiosità dei nomi, da economista – o meglio da practitioner – mi domandavo su quale modello economico o su quale formula “magica”, come quella di Black e Scholes premiata nel 1997 per calcolare il valore di un derivato finanziario (opzione call e put), si potesse concentrare l’Accademia Reale Svedese delle Scienze.
Ecco che il premio Nobel 2019 per l’economia è stato assegnato a tre economisti, Abhijit Banerjee, Esther Duflo, Michael Kremer non per aver scoperto le formule segrete di Warren Buffett, ma per aver contribuito, tramite un approccio sperimentale, al tremendo dibattito che non ha mai trovato una vera soluzione: la povertà.
Quest’ultimo rappresenta un tema spinoso già al centro del dibattito a fine secolo scorso, con il riconoscimento ad Amartya Sen del premio Nobel per l’economia nel 1998 per aver accostato l’etica all’economia.
Ma ahimè parlare di povertà globale, in generale, potrebbe imbarazzare perché le persone non vogliono sentire dei grandi problemi del mondo ma vogliono sentire soluzioni riferite alle proprie incertezze quotidiane. D’altronde, piuttosto che di povertà, sovente, si preferisce parlare dell’altra faccia della medaglia: di ricchezza e di crescita economica.
I tre economisti premiati riaccendono i riflettori non tanto sui problemi, in generale, della teoria economica, definita da molti come scienza (sociale) inesatta, che non riesce a dare risposte soddisfacenti se applicata alla vita umana, ma piuttosto ponendo l’attenzione su una sua particolare branca: l’economia dello sviluppo, e nel fare ciò puntano il dito sul vero problema: migliorare il benessere degli individui, certamente aumentandone la ricchezza come fine ultimo, ma prima di tutto eliminandone la povertà appunto.
Quali sono i tre insegnamenti di questi tre premi Nobel?
L’approccio seguito dai tre professori è caratterizzato da un’analisi svolta con forte rigore scientifico. Un metodo basato sull’osservazione dei dati e sull’indipendenza dei fattori di scelta economica da ideologie e credenze a priori. Questa impostazione appare la più idonea per affrontare problematiche globali quali la povertà senza essere accostati a particolari dottrine politiche.
1. La teoria dell’uomo forte (unico) che può risolvere i problemi di tutta la nazione appare alquanto miope.
Si diceva che gli individui non vogliono sentire problemi ma vogliono sentire soluzioni. Tuttavia, il problema della povertà richiede un approccio meticoloso, come si accennava prima. Non si può pretendere di risolverlo adottando un’ottica olistica, come sovente avveniva in passato. Possiamo certamente guardare alla redistribuzione del reddito di una nazione, ma se trascuriamo di considerare gli aspetti specifici, come diversamente ci invitano a fare i tre ultimi premi Nobel, non riusciremo a trovare una misura di politica economica efficace. L’idea di affidarsi ad una bandiera portata da un “deus ex machina” che ci risolva tutto mentre noi stiamo comodamente a casa nostra è quantomeno ipocrita. Per questo, ad esempio, risulta necessario sviluppare in primis le istituzioni locali (delle nazioni in via di sviluppo) in modo da rafforzare quel tessuto che crea le precondizioni per una evoluzione ed un’uscita dalla trappola della povertà.
2. Seguire nuovi approcci: innovazione culturale prima ancora che tecnologica.
Sappiamo che l’innovazione rappresenta il fattore “esponenziale” per la classica funzione di produzione di un Paese. Viene immediato pensare alle nuove tecnologie, a tal proposito – ad esempio – si è parlato molto della blockchain, ma quello che sottolineano i tre economisti premiati riguarda l’attenzione agli aspetti specifici della popolazione di riferimento, il livello culturale, di alfabetizzazione e l’esistenza di radici profonde al problema della povertà che, peraltro, difficilmente sono comprese da chi si propone di aiutare queste popolazioni. Il primo passo suggerito è quello di un approccio puntuale, scomponendo il problema globale della povertà in tanti piccoli sotto-problemi, più piccoli e quindi più semplici da gestire. A tal proposito, le tecnologie possono fornire un utile supporto nell’implementazione di programmi ad impatto sociale. Si pensi per un momento al ruolo svolto, nel nostro Paese, dalla televisione italiana dal 1954 in poi: suoni e immagini in movimento consentivano anche agli analfabeti un livello di comprensione simile a quello delle persone istruite; oltretutto la RAI predispose un programma televisivo per l’insegnamento diretto dell’italiano. Certamente è un tema di classe dirigente, ma purtroppo quest’ultima tende ad essere specchio della popolazione di riferimento, ecco perché l’innovazione culturale appare necessaria prima ancora che desiderabile.
3. Promuovere la cooperazione e collaborazione.
Questo punto, che può appare in prima approssimazione vagamente generico, è stato invece sviluppato matematicamente, o come si usa dire “formalmente”, da Kremer che nel 1993 propose la teoria dell’O-ring[i] nell’ambito dell’economia dello sviluppo. Il suo modello studia i livelli di produzione ed il mix dei fattori utilizzati nei paesi sviluppati rispetto a quelli in via di sviluppo. Il principale risultato risiede nel fatto che la creazione di valore (livello di produzione) è tanto maggiore quanto maggiore è la capacità di assortire opportunamente diverse competenze. Insomma lavoratori con livelli simili di skills che collaborano in maniera efficiente ed efficace – essendo complementari – e che consentono di pervenire al completamento di differenti singoli “task” di produzione, producendo infine maggiore ricchezza.
Certo, ancora molto rimane da fare, ma intanto possiamo dire che questi tre premi Nobel hanno fatto la loro parte.
Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita.
Proverbio cinese
Twitter: @pasqualemerella
[i] Si veda wikipedia. La teoria O-ring prende il nome dalla tragedia aerea del ’86 causata da un banale guasto ad un singolo o-ring.