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Partite Iva, un errore cancellare la flat tax ma restano delle distorsioni
L’articolo pubblicato da Econopoly sulla cosiddetta flat tax per gli autonomi, a firma del professor Dario Stevanato, è molto interessante. Anche coraggioso, perché solitamente non è facile auspicare una marcia indietro legislativa che aumenterebbe il carico fiscale per un’importante fascia di contribuenti.
Come noto, la legge di bilancio 2019 ha introdotto un regime forfettario agevolato, con un’aliquota del 15% sui redditi fino a 65.000 euro. Dal 2020, è prevista un’aliquota del 20% fino 100.000 euro.
Le distorsioni evidenziate da Stevanato sono condivisibili, abbastanza evidenti sin dal principio. La tassazione agevolata sulle piccole partite IVA era un tempo limitata perlopiù a giovani professionisti con ricavi fino a 30.000 euro (“il regime dei minimi”). Ed anche in quel caso la “trappola” intrinseca era (ed è) sempre uguale: se aumento di poco i ricavi rispetto alla soglia ed esco dal regime, ricevo una sberla fiscale da ricordare. Ciò avviene allo stesso modo con il nuovo regime forfettario, sia alla soglia dei 65.000 euro sia a quella eventuale dei 100.000.
In genere, disincentivare l’aumento dei ricavi non è mai una grande idea. Ciò può favorire, oltre alla tentazione di evadere in prossimità della soglia, anche il proseguimento di attività improduttive, che senza il vantaggio economico probabilmente chiuderebbero bottega. Quest’ultimo fenomeno riguarda maggiormente le piccole imprese piuttosto che i professionisti, ma resta comunque rilevante.
Il regime forfettario avrebbe dovuto essere l’antipasto di una flat tax per tutti i contribuenti, ma si sapeva che il progetto leghista si scontrava non solo con le diverse opinioni del M5S, bensì soprattutto con la realtà dei conti pubblici. Adesso che il capitolo flat tax è stato definitivamente archiviato dal nuovo Esecutivo, anche il regime forfettario sembrava a rischio. Le parole del presidente del Consiglio però, dovrebbero significare il mantenimento della misura.
Ma lo stop di Conte induce ad alcune riflessioni sulle politiche economiche dei vari Governi. Una volta che si adottano delle misure che favoriscono una parte di contribuenti, tornare indietro diventa molto difficile. Un esempio riguarda il “bonus 80 euro”, criticato da tutti ma mai cancellato. Lo stesso accadrà per il reddito di cittadinanza e, a quanto pare, per il regime forfettario. Da un lato ciò può incrementare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni (stabilità delle misure), ma dall’altro impedisce riforme strutturali che inevitabilmente danneggerebbero qualcuno. Ecco perché occorrerebbe non sbagliare inizialmente.
Nonostante le parole dell’inquilino di Palazzo Chigi, il dibattito sul regime forfettario non si placherà. Le critiche sono tante, alcune condivisibili, altre meno.
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Una critica ricorrente riguarda l’accusa di generare disuguaglianze tra i contribuenti. Ma non vi è affatto una piena uguaglianza tra lavori subordinati e lavoratori autonomi. Pensate ad esempio alla sfera dei diritti, appannaggio quasi esclusivo dei primi. Pensate ai contributi previdenziali ed alla storia contributiva che determinerà un giorno il calcolo della pensione. Pensate alla precarietà dei ricavi. Pensate alle ferie, alle malattie, agli infortuni. La verità è che si tratta di profili troppo diversi. Non vi è quindi alcuna necessità di equipararli in tutto e per tutto in materia fiscale. Anzi, le ragioni di una differenziazione sono più che sostenibili.
Un’altra critica più fondata invece, concerne il fenomeno delle finte partite IVA, ma ciò ha veramente poco a che fare con la misura in oggetto. Se è vero in teoria che il regime forfettario possa aver favorito la transizione dal lavoro dipendente a quello di autonomo (da verificare con i dati a consuntivo), si tratta di un fenomeno che era già ben presente, soprattutto nel campo delle professioni. È utopistico credere che si possa tornare indietro eliminando il regime forfettario. Passare da un lavoro subordinato all’apertura di una partita IVA è piuttosto semplice, fare il percorso inverso no. In secondo luogo, il problema delle finte partite IVA è sul lato datoriale, non dell’offerta. Non si può pensare che penalizzando fiscalmente i lavoratori autonomi si possa attenuare il fenomeno.
Sicuramente condivisibili, invece, le obiezioni relative ad altre agevolazioni, come il mancato assoggettamento all’IVA e agli obblighi di fatturazione elettronica. Francamente prive di giustificazioni.
Tornare sic et simpliciter al regime previgente per le partite IVA con ricavi al di sotto dei 65.000 euro non appare una grande soluzione. Non sarebbe accettabile per un Paese civile cambiare violentemente rotta in materia di tassazione, sconfessando interamente quanto fatto pochi mesi prima. Ma ben venga una riflessione complessiva sulla misura, per eliminare alcune distorsioni.
Twitter @frabruno88