categoria: Draghi e gnomi
Anche super Mario Draghi può sbagliare. Basterà il nuovo bazooka?
“Sulla base delle sue regolari analisi economiche e monetarie, il Consiglio ha deciso di innalzare i principali tassi d’interesse della BCE di 25 punti base. L’inflazione si è mantenuta ad un livello moderato ma è probabile che possa raggiungere in modo stabile un valore superiore al 2% per i mesi a venire. Allo stesso tempo, il percorso di espansione monetaria continuerà almeno fino alla primavera del 2020 attraverso il reinvestimento, in pieno, del capitale derivante dalla scadenza dei titoli acquisiti nell’ambito del programma di acquisti APP….”
Con queste parole immagino Mario Draghi avrebbe voluto iniziare una delle prossime due conferenze stampa, le ultime del suo mandato. E’ infatti passato poco più di un anno da quella del 26 luglio 2018, quando aveva introdotto nella consueta frase di guida (forward guidance) sul futuro andamento dei tassi d’interesse, che i tassi sarebbero rimasti al pari livello almeno fino all’estate 2019.
L’estate 2019 volge al termine ma molti osservatori si aspettano che nel meeting odierno invece che innalzare i tassi, la BCE debba nuovamente abbassarli, portando il tasso di deposito sotto quel -0,40% considerato negli anni scorsi il livello più basso raggiungibile (zero lower bound). Ma non è tutto. Ci si attende anche il riavvio del programma di acquisti di titoli pubblici e privati. Inoltre, come da programma, in questo mese inizierà il terzo round di operazioni mirate di rifinanziamento a lungo termine (TLTRO). Insomma, un nuovo bazooka. Cambio di rotta evidente rispetto a quanto veniva comunicato lo scorso anno. Cambio di rotta giustificato dai dati sull’inflazione che sono usciti negli ultimi mesi.
Sappiamo, come già ripetuto numerose volte, che l’obiettivo fondamentale dell’azione della BCE, il suo mandato principale, è quello di raggiungere la stabilità dei prezzi, definita nel 2003 come un livello di inflazione vicino ma sotto il 2%. Se depuriamo gli effetti delle componenti più volatili dell’inflazione ed andiamo a vedere il suo valore di fondo (core), nonostante le previsioni ottimistiche di volta in volta diffuse dall’ufficio studi, l’inflazione core della zona euro è inchiodata ad un valore intorno l’1% da numerosi anni. In questo contesto di inflazione non soddisfacente, così lontana dal mandato, con tassi d’interesse ormai prossimi al limite inferiore, le aspettative di inflazione sono state guidate attraverso le cosiddette misure straordinarie, in modo da render chiaro agli operatori la determinazione nel raggiungimento, in prospettiva, del 2%, o poco sotto.
Negli ultimi mesi però, anche le aspettative d’inflazione a lungo termine sono crollate, raggiungendo nel report di luglio 2019 il livello più basso da quando è iniziata la rilevazione. Un livello addirittura più basso di quello rilevato nel 2014, che giustificò l’avvio del primo quantitative easing (fig.1).
figura 1: Andamento delle aspettative di inflazione a lungo termine. Tratto da The ECB Survey of Professional Forecasters (SPF) – Third quarter of 2019
Il Governatore Draghi si avvia così ad annunciare una nuova serie di interventi della cosiddetta “cassetta degli attrezzi” che dal 2014 è utilizzata per condurre la politica monetaria: riduzione del tasso d’interesse sui depositi presso la BCE per incidere sui tassi a breve termine, allungamento della forward guidance e nuovo programma di acquisti per modificare le aspettative a lungo termine.
Una risposta che era ritenuta non convenzionale quattro anni fa e che adesso è invece diventata quella classica talmente classica che viene da chiedersi se sia davvero così efficace nel riportare l’inflazione al 2%, visto che non è riuscita a schiodare l’inflazione di fondo dal 1%. Allungare l’orizzonte temporale dei tassi ancor più negativi (con più forti pressioni sulla redditività delle banche) e degli acquisti di titoli (con maggiore scarsità di titoli ad elevato standing sul mercato) sarà veramente ciò che occorre in questo momento?
Dinanzi a questa domanda la risposta della Bce non può che essere affermativa.
Ma rimangono una serie di dubbi. Dubbi rafforzati dai continui errori di previsione che la Banca Centrale ha registrato in questi anni. Quanto sono affidabili le sue previsioni e quanto, di conseguenza, sono efficaci le misure prese sulla base di queste previsioni? La stessa Bce ha pubblicato di recente uno studio nel quale, tra le altre cose, si vede come il recente andamento dell’inflazione non sia più spiegabile sulla base delle varie versioni della curva di Phillips che anch’essa utilizza.
In mezzo a tutti questi interrogativi, disattendere le aspettative del mercato su una nuova espansione monetaria vorrebbe dire adottare una implicita restrizione di politica monetaria, al momento del tutto inappropriata.
Ma la dimensione della manovra dovrà essere tale da fugare ogni dubbio. Non basterà limitarsi all’ordinario cercando un compromesso tra le colombe ed i falchi del consiglio. Anni di bassa inflazione tendono a consolidarsi nelle aspettative e se non dovessero esserci risultati sostanziali in tempi rapidi, esaurite anche quest’ultime munizioni, l’eredità lasciata a Christine Lagarde potrebbe molto pesante.
Se anche queste misure falliranno, per soddisfare il mandato dovranno così rendersi necessarie altre tipologie di intervento, senza escludere a priori forme di intervento quasi-fiscali. La cosa che si va chiarendo di questi otto anni sotto la presidenza Draghi è che se per salvare l’euro son bastate tre semplici parole, per salvare il 2% di inflazione, il principale obiettivo che giustifica l’esistenza della Bce, quello che è stato fatto non è sicuramente bastato.
POST SCRIPTUM, dopo i commenti di Draghi al nuovo bazooka della Bce
Le decisioni della Bce prese oggi sono andate nel solco di quanto il mercato si aspettava. Il tasso d’interesse è stato ridotto poco meno delle attese, ma il programma di acquisti, per 20 miliardi di euro al mese, viene lasciato aperto, senza una scadenza predeterminata. Questi interventi dureranno fino a quando il tasso di inflazione non convergerà robustly verso il 2%, intendendo la completa determinazione verso il soddisfacimento del mandato. Ai livelli attuali però si stima che il limite di 1/3 delle emissioni dei titoli acquisibili possa esser raggiunto ben presto, intorno una decina di mesi. A breve potrebbe quindi esserci la necessità di rilassare tali limiti, allungando in modo indefinito l’orizzonte temporale del programma di acquisti.
In pratica, la cassetta degli attrezzi da utilizzare rimane quella di sempre, annunciata nel 2014. Ed i dubbi sulla capacità di questi strumenti di portare all’obbiettivo rimangono allo stesso modo. Mario Draghi ha ripetuto più volte la necessità che la politica fiscale, soprattutto dei Paesi che hanno spazio per maggiore spesa pubblica (si veda alla voce Germania), debba assumere un ruolo predominante. Come a dire che le munizioni si stanno ormai esaurendo (da riconsiderare forse nei prossimi anni l’impostazione teorica di monetary dominance?). La considerazione non è di poco conto provenendo da una banca centrale che più di altre si rifà alla tradizione monetarista. Il richiamo finale al fatto che “dare i soldi alle persone, in qualsiasi forma, è politica fiscale e non monetaria” sottolinea proprio il fatto che dovrebbe esser decisione dei Governi eletti e non della banca centrale quella di gettare i soldi dall’elicottero.
Ricordiamo però che anche per Friedman “… i prezzi si muoveranno nello stesso esatto modo dello stock nominale di moneta… (gettata dall’elicottero)” solo se si assume che vi sia assenza di indebitamento e piena utilizzazione dei fattori. Siamo sicuri che l’eurozona si trovi in questa condizione?
Twitter @francelenzi