categoria: Vicolo corto
Ha ancora senso il profitto? Effetti collaterali della svolta etica a Wall Street
L’autore di questo post è Massimo Famularo, investment manager esperto in crediti in sofferenza (Npl) –
Il manifesto recentemente sottoscritto da 181 amministratori delegati delle più grandi imprese americane intitolato “Statement on the Purpose of a Corporation” ha messo in discussione uno dei principali capisaldi del capitalismo occidentale: ossia che la finalità principale di un’impresa sia quella di creare il massimo valore per i propri azionisti.
Nella dichiarazione d’intenti (poiché tale è da considerarsi il documento) si legge che accanto all’obbiettivo tradizionale di realizzare il proprio oggetto sociale, le imprese dovrebbero anche agire in modo da tenere conto degli interessi dei propri clienti, dipendenti, fornitori, delle comunità nelle quali operano, rispettare l’ambiente ed adottare pratiche sostenibili.
A questo tema l’Economist ha dedicato una copertina e l’editoriale di punta dello scorso numero, mentre alcuni commentatori italiani di orientamento liberale come Alessandro De Nicola, su Repubblica e Franco de Benedetti sul Sole24Ore hanno evidenziato le criticità e possibili contraddizioni afferenti questo epocale cambio di rotta.
Cosa può esserci di male se i capi delle più grandi aziende del mondo si impegnano a prendersi cura dei propri clienti e dipendenti e a rispettare l’ambiente? Anzi, non dovrebbe essere già un dato scontato? Cosa c’è sotto? Il diavolo, come si suol dire, si trova nei dettagli, posto che sulle dichiarazioni generali e di principio, ci si trova quasi tutti d’accordo.
Tre elementi di dettaglio su cui fare qualche riflessione possono essere:
1. Posto che esistono già le leggi a tutela dell’ambiente, dei consumatori etc quanto oltre possono spingersi le imprese nel perseguire finalità diverse dal profitto (e dunque a spese degli azionisti) e con quale legittimazione?
2. Cosa succede se dette finalità diverse dal profitto si pongono in aperto contrasto con quest’ultimo fino al punto da minacciare la sopravvivenza della stessa impresa? Come si risolve il contrasto tra i due interessi?
3. Il focus sulla ricerca del profitto è alla base del carattere dinamico del sistema e offre un indicatore oggettivo per misurare la performance delle imprese. Come si gestiscono questi due aspetti?
Con riferimento al punto 1 dovremmo considerare, per esempio, che esistono già leggi e regolamenti che disciplinano se e quanto un’impresa possa inquinare e istituzioni preposte alla verifica ed eventualmente alla sanzione dei comportamenti che infrangono leggi e regolamenti. Questo meccanismo è legittimato da un articolato quadro istituzionale democratico nel quale tutti gli interessi in causa vengono tenuti in considerazione. Su quale base dovremmo demandare all’arbitrio dei manager la possibilità di andare oltre quanto disciplinato da questo sistema e di farlo a spese degli azionisti? Quali garanzie avremmo contro gli abusi? Quali strumenti di controllo oggettivi?
Con riferimento al punto 2, va ricordato che oltre all’immagine delle aziende dal volto umano, che pensano a far del bene invece che a far profitto, dovremmo tenere presente anche quella delle aziende che falliscono, lasciando a casa i dipendenti e rovinando i fornitori, per non aver pensato a sufficienza a fare utili. Non è meglio tenere separate le due cose e lasciare che il bene lo perseguano le organizzazioni senza scopo di lucro?
Sul punto 3 va, come ho spiegato in questo post, va ricordato che il sistema capitalistico si basa su un meccanismo di distruzione creativa per il quale è essenziale che alcune aziende scompaiano perché altre ne possano nascere: se viene meno il meccanismo di riferimento della ricerca del profitto, l’intero sistema non funziona più in modo corretto.
È abbastanza plausibile che il Business Roundtable, la lobby delle grande aziende, abbia voluto lanciare un segnale di apertura al un gruppo ben definito di persone, una sorta di élite globale, tipicamente giovane, ben istruita e ideologicamente orientata in modo progressista, che sta diventando de facto la sua constituency di riferimento. Si tratta dei programmatori, dei manager, degli influencer, che orientano le scelte del resto della popolazione e che, potenzialmente, potrebbero trovare attraente l’idea di uno spostamento del focus oltre la semplice logica del profitto. C’è da augurarsi che questa minoranza illuminata disponga di spirito critico sufficiente per vedere la realtà delle possibili contraddizioni (molti grandi azionisti delle imprese sono fondi pensione e fondazioni) e rendersi contro delle criticità esistenti dietro il velo accattivante dell’ideologia.
Per concludere, suona bene che i capi delle grandi aziende vogliano fare del bene, invece di pensare solo agli utili, ma a ben guardare potrebbero esserci rilevanti controindicazioni ed effetti collaterali indesiderati. Inoltre, un canone elementare di trasparenza e semplicità, suggerisce che sia preferibile tenere separate le iniziative con scopo di lucro da quelle che non lo hanno, onde evitare di perdere efficacia nel perseguimento di entrambe.
Twitter @MassimoFamularo
RIFERIMENTI:
http://www.francodebenedetti.it/la-svolta-etica-allesame-delleconomia-della-conoscenza/
https://hbr.org/2019/08/181-top-ceos-have-realized-companies-need-a-purpose-beyond-profit
https://www.economist.com/leaders/2019/08/22/what-companies-are-for
https://www.economist.com/briefing/2019/08/22/big-business-is-beginning-to-accept-broader-social-responsibilities