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Spiagge a prezzo di saldo, il prezzo del trionfo delle lobby sullo Stato
L’autore di questo post è Corrado Griffa, manager bancario ed industriale (CFO, CEO), consulente aziendale in Italia e all’estero –
Agosto, milioni di italiani sono in vacanza, alla ricerca del mare pulito, della spiaggia disponibile, del lettino e dell’ombrellone in prima fila, della facile abbronzatura. Senza pensieri, o quasi. Sono i numeri che danno pensieri … eccone alcuni in rapida sequenza (per riferimento, si veda anche il Rapporto Spiagge 2019 di Legambiente).
In Italia ci sono 7.412,4 km di coste, tutti rigorosamente facente parte del Demanio, patrimonio indisponibile dello Stato, che può concederle in uso tramite l’istituto della concessione: oggi le concessioni demaniali marittime sono 52.619, di cui 11.104 per stabilimenti balneari e 1.231 per circoli, campeggi, resort ed alberghi; il giro d’affari stimato degli stabilimenti balneari che occupano e gestiscono le spiagge italiane è di 15 miliardi di euro annui; a fronte di questi numeri, lo Stato incassa (dato 2016) 103 milioni dalle concessioni, meno dello 0,7% del fatturato degli stabilimenti balneari.
La prima considerazione è ovvia: lo Stato è un pessimo amministratore delle sue proprietà (questo già lo sapevamo, valendo per quasi tutte le iniziative che riportano il bollino “amministrato dallo Stato”); … anche i bagnanti distratti e sudaticci amabilmente sdraiati sui lettini lungo l’arenile si chiederanno: … e che cosa fa lo Stato per migliorare questa situazione? La risposta è disarmante: fa di tutto per peggiorare la sua situazione (quindi, la nostra, essendo noi i contribuenti che manteniamo in vita questo baraccone).
Ed ecco perché e come.
Lo Stato italiano da un lato non è in grado di applicare canoni corretti e “di mercato” (da cui rifugge come la peste, essendo lo Stato italiano, per definizione, onnivoro, “socialisteggiante” nonché fortemente, visceralmente pervaso di un animo corporativo), dall’altro è incapace di dare applicazione ad una direttiva europea, la “direttiva Bolkestein”, che contiene le regole che garantiscono la parità tra imprese e professionisti europei nel mercato comunitario. La direttiva Bolkestein stabilisce che i servizi e le concessioni pubbliche vengano lasciati alla libera concorrenza tra privati tramite gare con regole e criteri d’assegnazione trasparenti, che diano la possibilità a tutti gli operatori, a prescindere dal Paese europeo nel quale abbiano sede, di partecipare. E potenzialmente di aggiudicarsi la gara offrendo servizi e canoni più competitivi. Applicare la direttiva al settore del turismo balneare italiano vorrebbe dire rimettere in discussione il business sul quale si regge l’intero comparto degli stabilimenti e dall’altro mettere in chiaro la dabbenaggine dello Stato come amministratore.
(Qualcuno si chiederà: “sì, l’Italia … ma che cosa avviene in Francia, Spagna, Portogallo, Grecia?”; nello spazio ristretto concesso a questo articolo possiamo solo fare riferimento allo studio comparativo fatto sulla materia dal nostro Parlamento ; i volenterosi scopriranno che i governi stranieri sono molto più efficienti avendo ottenuto deroghe pluridecennali, cosa che gli incompetenti governanti italiani, da anni, nemmeno sono in grado di comprendere, figurarsi copiare).
Riassumendo:
– nel 2006 la direttiva Bolkenstein ha decretato l’apertura del mercato e messo a rischio-asta le concessioni demaniali marittime sino allora, ed ancora oggi, ottenute in via diretta;
– nel 2012 il governo italiano, con un atto ben definibile come “d’imperio”, ha prorogato, senza discussione ed in modo automatico, le concessioni in essere sino al 2034, così contravvenendo a quanto disposto dalla direttiva in oggetto; ovviamente, è stata aperta una procedura di infrazione contro l’Italia e fra pochi mesi è attesa la sentenza della Corte di Giustizia europea che, con tutta probabilità, boccerà la proroga delle concessioni fatta dal Governo nel 2012 con l’assunzione dell’impegno a riordinare la materia: riordino che ovviamente non c’è mai stato;
– se non bastasse, con la legge di bilancio approvata lo scorso inverno, il Governo in carica (pro-tempore…) ha aperto la strada a una proroga di ulteriori 15 anni a beneficio degli attuali stabilimenti balneari, titolari di concessioni delle aree demaniali. Un provvedimento preso nonostante una sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue di luglio 2016 avesse criticato la negligenza italiana nell’applicazione delle regole europee e chiesto di aprire le concessioni alla concorrenza internazionale tramite gare pubbliche.
A nostro avviso, esiste un legame stretto fra i 2 corni del problema, l’applicazione della direttiva Bolkestein e l’incapacità dello Stato di mettere a reddito il suo patrimonio balneare; infatti, se si aprisse alla Bolkestein ci sarebbe un prevedibile, forte aumento delle offerte per il rilascio delle concessioni, sino ad un valore reputato conveniente dall’offerente; di conseguenza, lo Stato avrebbe un aumento (riteniamo considerevole, sino a 10 volte il livello attuale) delle entrate da concessioni balneari; ed anche il problema della tutela degli attuali concessionari potrebbe essere agevolmente superato dando loro l’opzione di “pareggiare” la migliore offerta, con un adeguato “sconto” (ad esempio, pari al 10% in meno della migliore offerta).
Se una soluzione non è stata ancora trovata, dopo oltre un decennio dalla entrata in vigore della direttiva Bolkestein, forse è perché non la si vuole trovare, schiavi e prigionieri di lobby ben riconoscibili e dei relativi voti che ne derivano, al fine di perpetuare il sistema-paese in voga; sistema-paese che, a ben guardarlo, è il viatico verso il disastro annunciato.
Ma è agosto, il mare chiama e la spiaggia si fa rovente: un bel tutto e passa tutto. O forse no.
Twitter @CorradoGriffa