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Procedura d’infrazione o no il vero problema è la crescita che non c’è
Co-autrice del post è Valentina Soncini, laureanda presso l’università Liuc-Carlo Cattaneo di Castellanza –
Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto a difesa del governo, sostenendo che la procedura di infrazione “non s’ha da fare”. Ma di cosa si tratta? L’infrazione per debito eccessivo è prevista dal Patto di stabilità e crescita (evoluzione del Trattato di Maastricht). Secondo l’articolo 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, il disavanzo di bilancio dei paesi europei non deve superare il 3% del Pil e il debito pubblico non deve superare il 60% del Pil (con la nota eccezione scritta dall’allora ministro del Tesoro Guido Carli che prevedeva un percorso di “convergenza” per i Paesi non adempienti, come l’Italia). Nel caso in cui non vengano soddisfatti i due requisiti, l’Unione Europea può aprire la procedura di infrazione, al fine di spingere il paese non in regola a redigere un piano correttivo. Qualora il paese continui a risultare non conforme alle norme, ignorando così le disposizioni comunitarie, potrebbe essere sanzionato. Nel caso italiano, le possibili sanzioni vanno da una multa che può arrivare fino a 9 miliardi di euro al congelamento dei fondi strutturali (l’Italia è uno dei paesi che beneficia maggiormente dei fondi, il loro congelamento comporterebbe una grosso problema).
L’Italia è il primo Stato che rischia la procedura per debito eccessivo, in precedenza sono state attuate solo procedure per aver superato il limite massimo del rapporto deficit/Pil. In un anno di governo giallo-verde il debito pubblico italiano è ulteriormente aumentato (dal 131% al 132% del Pil, per un totale di 2.358,5 miliardi di euro). Il debito in sé non è un problema. Per noi lo è per due motivi: è già alto e finanzia spese improduttive.
La spesa pubblica viene finanziata attraverso le entrate e il debito. A causa dell’elevato debito pubblico, ogni anno l’Italia paga lauti interessi ai detentori: per il 2019 è prevista una spesa di circa 65 miliardi di euro, che arriverà a 73,7 miliardi nel 2022.
Il leader della Lega Matteo Salvini spinge ogni giorno a favore della flat tax. Un provvedimento che favorirebbe le classi agiate a scapito della riduzione dei servizi pubblici (che non sarebbero più forniti visto il calo del gettito). La riduzione del carico fiscale in sé avrebbe senso ma andrebbe fatta al servizio dei lavoratori delle imprese, via riduzione del cuneo fiscale. La riforma solleva peraltro dubbi riguardo la sua legittimità costituzionale (l’art. 53 della Costituzione prevede che il sistema tributario sia basato su criteri di progressività). Il rischio vero è vedere un calo delle entrati fiscali e al contempo un aumento del debito. Un esito possibile nefasto.
Ma come si può pensare una cosa del genere se rischiamo di pagare una multa perché abbiamo un debito troppo alto? Ma soprattutto, ha senso?
All’inizio degli anni Ottanta, Carlo Azeglio Ciampi affermava che “la correzione deve affrontare il problema della spesa, modificandone l’angolo di rotta. I progressi nel campo della funzione sociale potranno essere salvaguardati e resi duraturi solo se saranno posti in una vera cornice di giustizia distributiva, di stabilità monetaria, di efficienza”. Nonostante le parole di Ciampi, vengono del tutto ignorate le politiche di bilancio, e all’inizio degli anni Novanta il debito pubblico arriva al 100% del Pil. Nel 1994 il rapporto debito/Pil raggiunge il 124%. Da allora non siamo riusciti a farlo scendere, al contrario è salito fino al 130%, ma di crescita economica neanche l’ombra.
Ci si deve poi interrogare su un’altra cosa: è proprio vero che l’aumento della spesa pubblica stimoli la crescita economica del paese? Prendendo in mano un qualsiasi manuale di macroeconomia, è possibile capire gli effetti di questa politica economica espansiva: il Pil aumenta, ma aumenta anche l’interferenza dello Stato e questo causa lo spiazzamento degli investimenti; diminuisce infatti la competitività delle imprese.
L’evasione fiscale? Non se ne parla più, scomparsa dall’agenda politica. Stiamo parlando di oltre 130 miliardi di euro di tasse evase.
Il commissario europeo Moscovici e il ministro Tria
Nonostante la procedura di infrazione sia stata congelata per effetto di quella che nei fatti è stata una manovra correttiva (ma se ne riparlerà in occasione della prossima legge di Bilancio, in autunno), il problema della crescita anemica rimane sul tavolo, come un elefante nella cristalleria. L’Italia cresce poco, a causa di quattro principali problemi strutturali, individuati da un’analisi del Financial Times, non di certo per colpa dell’Europa e della moneta unica.
In primis, la dimensione ridotta (alias, nanismo) delle imprese presenti sul nostro territorio comporta un basso livello di investimenti in ricerca e sviluppo e in formazione del personale, dunque un basso livello di competitività sui mercati internazionali. La mancanza di un’adeguata istruzione non aiuta: i 15enni italiani hanno capacità di lettura e competenze in campo scientifico più basse rispetto ai coetanei degli altri paesi europei, dei giovani compresi tra i 15 e i 34 anni circa 1 su 4 non lavora o non studia, abbiamo una bassa percentuale di laureati (meno di un italiano su tre, la media dei paesi Ocse è invece pari a 44%). Il terzo problema riguarda l’inefficienza dello Stato e del sistema legislativo: risulta piuttosto difficile avviare o sviluppare un’attività imprenditoriale nel nostro paese, ciò si traduce in un elevato costo per le imprese e una scarsa attrattività per gli investitori esteri. Da ultimo, non di certo per importanza, l’enorme debito pubblico: il suo costo determina una perdita di risorse che altrimenti potrebbero essere investite per esempio in infrastrutture.
Tale analisi dovrebbe evidenziare la necessità di riforme strutturali, senza le quali diventa difficile crescere economicamente e ridurre il debito pubblico.
Ci si è chiesti perché il Portogallo non rischia una procedura di infrazione nonostante il suo debito pubblico superi il 120%. Semplicemente perché a seguito dell’intervento della Troika (avvenuto nel 2011) sono state introdotte alcune riforme strutturali che hanno permesso al paese di raggiungere tassi di crescita elevati. Purtroppo il governo populista votato dagli italiani parla molto ma realizza poco, per cui la crescita langue.
Twitter @beniapiccone