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Lo strano caso Di Maio del rischio reputazionale di Atlantia
Le recenti dichiarazioni del vice-premier Di Maio, durante la sua ultima partecipazione al salotto di Vespa, a proposito della società Autostrade, meritano una riflessione e qui la faremo in ottica di risk management.
In generale, possiamo affermare che il successo di un investimento risiede nell’approccio adottato per gestirne il rischio, l’alternativa è affidarci alla dea bendata.
Proprio per questo, sia nei convegni in cui intervengo sia nelle analisi su queste colonne, sottolineo l’importanza di sviluppare e diffondere una sempre maggiore “cultura del rischio” a tutti i livelli aziendali.
La non comprensione o la sottovalutazione della gestione del rischio nell’attività economica, sia di investimento finanziario sia dell’attività di impresa, espone a rischi reputazionali potenzialmente devastanti in termini di impatto.
Gli ultimi anni hanno visto diversi casi, a partire dai due casi eclatanti di cui si è discusso molto: Uber e Ryanair, trattati in una mia precedente analisi su Econopoly. Fino agli ultimi due casi recenti, quello connesso al tragico incidente del Boeing e del Fondo di investimento di Natixis finito nel caos per la vicenda connessa alla componente illiquida del portafoglio del fondo H20 Allegro.
Di Maio ha definito Atlantia un gruppo “decotto”. Sicuramente emblematico che il ministro per lo Sviluppo Economico adoperi tali valutazioni per segnalare al mercato lo stato di solvenza del gruppo Autostrade.
In questo ambito, il caso di Autostrade è diverso e stupisce alquanto. Vediamo perché.
Approccio di Risk Management
L’approccio del risk manager è quello di identificare, misurare e gestire i rischi di un’attività di investimento, sia essa di tipo finanziario sia di tipo “reale” come gli investimenti delle imprese per aumentare la propria capacità produttiva. Questa attività è fondamentale sia nella fase precedente all’ investimento sia in quella del suo monitoraggio.
Oltre ai rischi finanziari[1] è fondamentale, in questi contesti, valutare anche i rischi operativi che attengono principalmente ai rischi di “fallimento” delle procedure e delle normative interne (aziendali) di compliance. In questa ampia categoria possiamo annoverare anche i rischi reputazionali[2].
Il rischio reputazionale è generato originariamente da fattori di rischio quali quello di compliance, strategico, di outsourcing sia da altre variabili specifiche quali l’ambiente pubblico, la significatività del marchio e dell’immagine, l’esposizione ai processi di comunicazione.
Più in generale ci riferiamo ai rischi derivanti da un determinato evento legato alla gestione della relazione con il cliente oppure ancora alle scelte messe in atto e connesse alle politiche aziendali adottate che potrebbero alterare negativamente la credibilità e l’immagine della società.
Il rischio reputazionale è tuttavia difficile da misurare in quanto impatta diverse dimensioni. Può aumentare, ad esempio, il rischio di credito attribuibile alla società in oggetto, oppure ancora alla fiducia dei consumatori ed al rischio strategico connesso al valore del brand aziendale.
Il punto fondamentale risiede nel fatto che il rischio reputazionale tipicamente ha una natura endogena all’azienda alla quale si riferisce, mentre i rischi di natura esterna (non finanziaria) attengono tipicamente all’assetto regolamentare del settore di riferimento, infatti a tale aspetto ci si riferisce, in generale, con la valutazione del rischio regolamentare.
Il caso Autostrade è invece emblematico.
Una frase pronunciata da un policy maker, peraltro titolato a rappresentare gli orientamenti politici del Governo attualmente in carica, nei riguardi di un gruppo il cui il business è fortemente connesso a concessioni statali, evidentemente comporta il rischio di una reazione sugli andamenti dei corsi azionari. Così come sulle valutazioni delle obbligazioni quotate ed emesse dal gruppo Autostrade. E ancora dal rapporto fiduciario tra il gruppo ed il ceto bancario, in relazione alla capacità di indebitamento.
Si tratta insomma di un “evento” di rischio reputazionale generato “esternamente”, non derivante da uno specifico comportamento puntuale dell’azienda ma da giudizi di una classe dirigente che trasforma una valutazione politica in valutazione economico-finanziaria con conseguenti effetti dirompenti.
Ci vogliono vent’anni per costruirsi una reputazione e cinque minuti per perderla. Se lo tieni a mente agirai in maniera diversa
[Warren Buffett]
Twitter: @pasqualemerella
[1] Intendiamo i rischi di mercato, di credito, di controparte e di liquidità
[2] Per la precisione, va detto, con Basilea II (2004) si è chiarito che il rischio operativo (introdotto per la prima volta) include il rischio legale, ma non quello strategico e quello reputazionale, pertanto non valutato nell’ambito dello schema di regolamentazione relativo all’adeguatezza patrimoniale degli intermediari finanziari.