Codice appalti e Sblocca cantieri: il difficile equilibrio tra efficienza e legalità

scritto da il 26 Aprile 2019

Dopo tre anni dalla sua entrata in vigore, il codice appalti sembra non trovare pace. Con l’approvazione del cosiddetto “Sblocca cantieri”, il Governo ha deciso di intervenire pesantemente sul testo. La vita del codice è stata travagliata sin dal parto. Nel 2016 è entrato in vigore con una certa fretta, dato che era in scadenza il termine di due anni per recepire le direttive europee. La fretta ha causato anche una serie di errori, tant’è che nel 2017 si è dovuti intervenire con un massiccio primo decreto correttivo.

Nel corso del tempo ci sono state anche altre modifiche, come nell’ultima legge di bilancio. E adesso si arriva ad un passaggio importante, preannunciato da tempo, al quale seguirà innanzitutto la conversione in legge del decreto. Di seguito verrà anche emanato un regolamento che sostituirà le linee guida ANAC.

Le reazioni al provvedimento rientrano in due categorie. Da un lato c’è chi vede nello stesso un favore alle cricche, alle mafie, al malaffare. Dall’altro c’è chi lo ritiene insufficiente rispetto allo scopo di consentire un effettivo sblocco degli investimenti pubblici.

Il decreto, invero, si pone nel mezzo di tutto ciò. Cerchiamo di capire le novità più importanti, evidenziandone pregi e difetti.

Dubbi su legalità e concorrenza

I lati negativi si ravvisano nelle modalità di scelta della procedura. Viene confermata nella sostanza ma modificata nella forma la disposizione transitoria (legge di bilancio 2019) che prevedeva la possibilità di affidamento diretto per lavori fino a 150 mila euro. Con la nuova modifica, per l’affidamento di lavori di importo compreso tra i 40 e i 200 mila euro, si dovrà procedere tramite procedura negoziata, senza pubblicazione di un bando, sempre previa consultazione di almeno tre operatori economici per i lavori e di cinque per servizi e forniture.

In precedenza, si dovevano coinvolgere almeno dieci operatori per i lavori. Si tratta di una modifica che sarebbe stato meglio evitare, perché riduce la concorrenza. Tre operatori non sono difficili da trovare ed è facile che il tutto si risolva in una sorta di allargamento dell’affidamento diretto previsto fino a 40 mila euro. E questo sì, è un rischio per la legalità, che trova miglior alleato nelle procedure aperte e competitive. La soglia da 200 mila euro non è affatto banale.

L’offerta anormalmente bassa: un istituto da ripensare

Un altro elemento non molto condivisibile riguarda una modifica relativa alla disciplina delle offerte anormalmente basse. In poche parole, per un numero notevolissimo di gare e procedure, le stazioni appaltanti saranno tenute ad inserire nei bandi l’esclusione automatica in caso di offerta anormalmente bassa. Attualmente l’indicazione è facoltativa. Un istituto già di per sé controverso, perché il calcolo dell’anomalia dipende anche dalle offerte presentate da altri partecipanti. Può accadere infatti che, nell’impostare la strategia di gara, si ritenga che i concorrenti siano aggressivi e, di conseguenza, si proceda con un’offerta molto aggressiva. O si pensi al caso di chi si affaccia in un mercato per la prima volta. Perché prevedere l’esclusione? Tutto ciò danneggia la libera concorrenza.

Si potrebbe ad esempio, in caso di accertamento aritmetico dell’anomalia, chiedere una fideiussione diversa e superiore rispetto a quelle già previste dal codice. La fideiussione garantirebbe l’adempimento delle obbligazioni, mentre i furbetti verrebbero scoperti subito. E per chi si preoccupa dei subappaltatori, sussiste comunque il vincolo di non procedere a ribassi nei confronti degli stessi superiori al 20% dei prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione.

Finisce la demonizzazione del minor prezzo

Meno pericoloso il ritorno in auge del criterio del minor prezzo. Si tratta di un elemento di novità, che sconfessa la logica della formulazione originaria del codice, mirante alla prevalenza dell’offerta economicamente più vantaggiosa (“OEV”). Il minor prezzo era stato eccessivamente demonizzato, mentre -in ogni caso- rappresenta il criterio più concorrenziale. E, soprattutto, previene il rischio dei bandi costruiti ad hoc per favorire determinate imprese. Si sa, il minor prezzo potrebbe poi comportare rischi in sede di esecuzione, ma sussistono altri strumenti per evitare ciò.

Subappalti: l’eccessiva rigidità non paga

Sembra giusta la direzione sulla disciplina dei subappalti. Si tratta di una modifica aspramente criticata, soprattutto dalle parti sociali. Ma non si può evitare di evidenziare l’eccessiva rigidità della previgente normativa. Il limite del 30% della quota subappaltabile era già stato oggetto di critiche da parte dell’Unione europea. Ed anche l’indicazione della terna di subappaltatori appariva inutilmente restrittiva. Chiaramente si temono ricadute sulle possibili infiltrazioni nelle ditte subappaltatrici. Ma vi sono altri tipi di verifiche che si possono esperire e che nulla c’entrano con il limite della quota subappaltabile.

Bisogna infatti tener conto di cosa significhi al giorno d’oggi l’organizzazione di un’impresa, molto più complessa rispetto al passato. Le imprese tendono ad esternalizzare una serie di servizi e di attività non solo per operare mere riduzioni di personale, ma anche per meglio concentrarsi sul core business dell’azienda e non su attività ancillari. È una modifica che agevola il favor partecipationis.

Più biasimabile un’altra modifica alla disciplina del subappalto, che consentirà a chi risulta non aggiudicatario di una procedura, di poter essere subappaltatore dell’aggiudicataria. Una modifica che pone seri interrogativi dal punto di vista antitrust e di cui si auspica la cancellazione.

Dalle linee guida ANAC al Regolamento

Vi è un ritorno al passato, con il regolamento che supererà l’infelice esperienza delle linee guida ANAC. (e con esse la sfida della soft law)

Sia le stazioni appaltanti sia le imprese lavorano meglio al cospetto di norme, sempreché siano quantomeno leggibili. Le linee guida, di contro, lasciavano sempre un’alea di incertezza e di discrezionalità. Inoltre, è bene che l’ANAC si concentri sulla sua mission originaria, senza sconfinamenti in un potere paralegislativo. Tuttavia, i contorni del regolamento restano molto vaghi e indefiniti al momento.

Conclusioni

Ci sono degli elementi positivi per le imprese, ma anche alcune ombre e dei lati controversi. (che però potrebbero essere superati in sede di conversione)

Nel complesso, sembra tuttavia mancare una logica complessiva. Il rischio è quello di innescare un continuo ininterrotto di modifiche e interventi correttivi. Una possibilità che non fa bene alla certezza del quadro normativo di riferimento. A tutte le parti in gioco viene richiesto un aggiornamento perenne, formazione, revisione delle procedure. La politica deve rendersi conto di cosa significhi anche un piccolo cambiamento per milioni di individui.

Si spera che questa materia così nevralgica anche per la crescita del Paese possa trovare una sua stabilità per almeno un decennio. Ma al momento appare difficile.

Twitter @frabruno88