categoria: Draghi e gnomi
La paradossale corsa alle europee in Gran Bretagna ai tempi della Brexit
L’autrice del post, Costanza de Toma, si occupa di cooperazione allo sviluppo, relazioni internazionali e Unione Europea. Milanese di nascita, ha vissuto gli ultimi 27 anni all’estero, tra il Regno Unito e il Belgio. Negli ultimi due anni ha coordinato e condotto la lobby verso l’Unione europea della campagna per la tutela dei diritti dei cittadini dell’Ue che vivono nel Regno Unito. Questo l’ha portata a seguire da vicino i negoziati sulla Brexit. Costanza ha deciso di tornare in Italia, a Torino, con la famiglia nell’agosto del 2018 dove continua a occuparsi di Brexit e relazioni internazionali e collabora con NuoveRadici.World –
Immaginate un Paese che tre anni fa ha votato, seppur con un margine esiguo, di lasciare l’Unione europea. Un Paese dove da allora l’opinione pubblica è sempre più polarizzata e dove una crisi costituzionale ha portato il governo in rotta di collisione con il parlamento in una vera e propria pantomima politica. E il mondo intero, incredulo, guarda affascinato questo teatro dell’assurdo così come nostro malgrado si è attratti a guardare un incidente in autostrada.
Stiamo ovviamente parlando della Gran Bretagna dove in seguito ad un ultimo, paradossale colpo di scena – o a “un’anomalia storica” come l’ha definita Jean-Claude Juncker – a ben tre anni dallo storico ‘no’ dei britannici all’Ue, è scattata la corsa alle elezioni europee. Theresa May aveva giudicato inconcepibile che la Gran Bretagna partecipasse alle elezioni ma ha dovuto fare un’inversione di marcia per ottenere un’estensione dell’articolo 50. Così, a meno che l’accordo di recesso non venga ratificato da Westminster prima del 23 maggio, i britannici saranno chiamati alle urne il mese prossimo e rimarranno nell’Ue fino al 31 ottobre 2019.
Questo rischia di minare gli equilibri democratici e politici a Bruxelles ed ha creato forti tensioni tra i leader europei, con Macron in testa a quelli che vedono la partecipazione della Gran Bretagna alle elezioni europee di cattivo occhio. Infatti, l’elezione di settantatré nuovi deputati britannici al parlamento europeo sconvolgerebbe la decisione presa nel 2018 di ridurre il numero degli eurodeputati da 750 a 705 dopo la Brexit, e di ridistribuire i rimanenti ventisette seggi a quattordici Paesi membri sottorappresentati nel sistema attuale. Ciò creerebbe un paradosso elettorale. Significherebbe che Paesi come la Francia o l’Irlanda, per esempio – che guadagnerebbero cinque e due poltrone rispettivamente – dovrebbero mettere ‘in attesa’ alcuni dei neodeputati dopo essere stati eletti aspettando che i britannici liberino le loro poltrone.
Ma lo sconvolgimento più significativo potrebbe avvenire nelle dinamiche politiche al Parlamento europeo. I conservatori del Partito Popolare Europeo (PPE) sono il primo gruppo per numero di seggi al Parlamento e, con Antonio Tajani, ne detengono anche la presidenza. Ma il dominio del PPE si estende ben al di là del Parlamento europeo. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk sono infatti ambedue affiliati al PPE. La partecipazione della Gran Bretagna alle elezioni europee non gioverebbe al PPE, che dopo la rottura con i conservatori di David Cameron nel 2014 non ha più membri britannici, ma invece al gruppo socialdemocratico che conta così di mantenere, e possibilmente aumentare, il numero dei propri deputati. Potrebbe anche giovare ai liberali dell’ALDE se i liberaldemocratici britannici riuscissero a fare meglio del 2014 quando persero ben dieci dei loro undici deputati.
La preoccupazione maggiore riguarda la scelta dei vertici della Commissione e del Consiglio europeo. La prima in particolare è direttamente legata alle elezioni europee secondo la procedura, varata nel 2014, degli ‘Spitzenkandidaten’. Questi sono candidati sovrannazionali alla presidenza della Commissione europea, nominati dai gruppi politici europei. Se la partecipazione della Gran Bretagna alle elezioni europee risultasse in un capovolgimento di potere al Parlamento europeo a favore del gruppo socialdemocratico, questo potrebbe portare alla conferma del loro candidato, Frans Timmermans, alla presidenza della Commissione europea.
E non dimentichiamo che il nuovo parlamento europeo dovrà votare il nuovo quadro finanziario pluriennale dell’Unione nell’autunno di quest’anno. Come possono i deputati di un Paese uscente votare per il bilancio futuro dell’Unione? Come ci si può fidare dei deputati di un Paese dove alcuni Brexiteers stanno già facendo della loro disubbidienza una bandiera, affermando che la Gran Bretagna si dovrebbe comportare come una “perfidious Albion on steroids” se fosse costretta a rimanere nell’Ue?
La partecipazione alle europee si profila molto interessante anche dall’altra parte della Manica. La prospettiva della Brexit ha infatti generato un nuovo, incredibile movimento europeista in Gran Bretagna. In quale altro Paese europeo oggi si può immaginare che quasi un milione di manifestanti possa scendere in piazza o che oltre sei milioni di persone possano firmare una petizione per rimanere nell’Unione europea?
Sta di fatto che dopo l’annuncio ufficiale dell’estensione all’articolo 50 in seguito al Consiglio europeo, è cominciata in Gran Bretagna una corsa rocambolesca per prepararsi alle elezioni europee. Alcuni prevedono addirittura un possibile incremento nell’affluenza alle urne, che è sempre stata tra le più basse in Europa (35% nel 2014). Tutti i partiti stanno preparando le liste elettorali e la campagna si profila interessante. Nigel Farage ha lanciato un nuovo ‘Brexit Party’. Questo si contrappone all’UK Independence Party che, dopo aver vinto ben 24 seggi al Parlamento europeo nel 2014, è ora in caduta libera. Il partito conservatore e quello laburista sono ambedue minati da crescenti divisioni interne ed è difficile pensare che potranno presentare dei programmi elettorali coerenti e convincenti. Dalle loro fila è nato The Independent Group/Change UK, il partito dei secessionisti anti-Brexit che annovera astri nascenti quali il giovane Chuka Umunna (Labour) e personalità come Anna Soubry (Conservatives). Altri partiti quali i Liberal Democrats e i verdi, invece non sono finora riusciti a convertire la loro posizione anti-Brexit in consensi elettorali.
In un Paese in preda ai sussulti della Brexit, è da prevedere che il voto verrà visto come un surrogato di un secondo referendum, che finora è stato negato al popolo britannico. L’eccitazione è reale. Tra i miei amici, ben più d’uno sta considerando la possibilità di presentarsi alle elezioni e la società civile si sta muovendo per incitare la gente al voto. Nonostante la retorica aggressiva di Nigel Farage, c’è chi prevede che alle urne andranno in prevalenza i cosiddetti Remainers per dare un altro messaggio, oltre alle manifestazioni e le petizioni, al governo. Per provare una volta per tutte che il Regno Unito ha cambiato idea sulla Brexit, secondo loro. È vero che se l’affluenza aumentasse in modo significativo e se venissero eletti prevalentemente deputati di partiti politici contro la Brexit, queste elezioni europee potrebbero causare un ulteriore mal di testa al governo britannico.
In realtà, i sondaggi mostrano un possibile testa a testa tra laburisti e conservatori lasciando poco spazio ai partiti minori. Queste ovviamente sono tutte illazioni. Di una cosa però si può esser certi: se mai si faranno, queste elezioni non passeranno inosservate.
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