categoria: Accademia dei pugni
Guida teorica e pratica per imprenditori a caccia di consulenza
L’autore di questo post è Andrea Elestici, co-fondatore e CMO di Garanteasy. È stato co-fondatore del Fast Prototyping Lab, vice-presidente di Value Partners per l’area e-business consulting; fondatore e CEO di IdeaUP (ebusiness creativity Lab); fondatore e CMO di Inferentia, di cui ha curato la quotazione nel 2000; CEO di Milano Finance Service del Gruppo Class. Fondatore di MuseoVivo, Art&Mass e di un’altra decina di iniziative imprenditoriali di cui una fallita e un’altra in liquidazione. Laureato in Scienze dell’Informazione –
Scrivo questo articolo con lo scopo di aiutare gli imprenditori ad orientarsi nella scelta del tipo di consulenza più adatta alle loro esigenze e lo faccio da ex consulente che, per un caso strano della vita, ha avuto la possibilità di ficcare il naso in diversissime realtà della consulenza, comprese quelle in cui si entra solo dal basso e se ne scoprono i meccanismi solo dopo parecchi anni di brillante carriera.
In generale esistono due tipi di consulenti: gli autodidatti (spesso anche improvvisati) e quelli strutturati (mai autodidatti) ovvero che sono stati formati e strutturati all’interno di un’organizzazione, tipicamente una delle rinomate società di consulenza, un grosso studio legale (modello anglosassone per intenderci) etc etc. La differenza può sembrare teorica, per non dire di peggio, ma non lo è affatto ed io appartengo ai primi. Solo per caso sono riuscito a far parte dei secondi e a scoprirne i segreti. Riprenderemo il senso di questa differenza più avanti, perché ora potrebbe risultare troppo astratta.
Tutti i consulenti (autodidatti e non) possono essere aggregati in tre ruoli:
1. operai di vario tipo, ordine e grado, dalla manovalanza alla super specializzazione. Rientrano in questo ruolo sia i livelli più bassi della consulenza strategica (consultant, senior consultant, project manager e specialist) che gran parte dei commercialisti, degli avvocati, dei softwaristi, dei riparatori di computer, dei creativi, dei pr, dei revisori come pure gli architetti e gli ingegneri. Sono professionisti che fanno qualcosa per i propri clienti. Lo fanno in prima persona. Usando le proprie competenze ed i soli strumenti del proprio mestiere, sia un computer o una fresa. Se ci pensi anche gli idraulici possono rientrare in questo tipo di consulenti. Sto estremizzando, ma penso renda l’idea che sono gli operai della consulenza quelli che fanno gran parte delle attività che vengono pagate.
2. commerciali che si assomigliano tutti ma che possono essere classificati in:
a. commerciali che vendono se stessi. Tutti gli operai free lance sono anche commerciali di se stessi ma hanno vita dura e breve se restano soli a lungo perché quando lavori non puoi fare new business e quando hai finito di lavorare hai perso molti dei contatti che ti servivano per fare new business…
b. commerciali che vendono team più o meno grossi di consulenti. In particolare gli engagement manager (vendono ai già clienti le continuation) ai Partner (procacciatori di nuove commesse tra i già clienti) fino a Director (procacciatori di nuovi clienti). A volte questi commerciali vendono insieme ai team anche delle soluzioni.
c. commerciali che vendono roba varia: contabilità, buste paga, campagne pubblicitarie, progetti, contratti, certificazioni etc etc
3. affabulatori, guru e visionari, detti anche evangelist. Spesso hanno solo il ruolo di “specchietti per le allodole” ad uso dei commerciali. In genere non sono bravi né come operai né come commerciali, ma imbattibili nel raccontare cosa andrebbe fatto o non fatto. Sono incantevoli o terrificanti a seconda della parte che conviene recitare per ingaggiare un potenziale cliente.
Lo ripeto, tutti i consulenti siano essi autodidatti o no giocano sempre e solo uno di questi tre macro ruoli. Il più delle volte sia i commerciali che gli affabulatori hanno già primeggiato come operai ma, specialmente tra i secondi, vi sono casi di inetti assurti a grande successo specialmente negli ultimi tempi grazie ai social. Spesso i commerciali, specialmente nella consulenza strutturata, sono stati degli eccellenti operai ed è grazie alle loro competenze che riescono ad essere efficaci nella vendita, ma non esiste che poi siano loro a completare il progetto appena commissionato. Al massimo ne verificano i risultati ed il livello qualitativo. Perciò quando ti trovi di fronte un consulente per prima cosa cerca di capire che ruolo sta giocando in quel momento. La sua età può esserti di aiuto. Difficilmente si trovano in giro commerciali che siano giovani e convincenti. Puoi forse trovare qualche affabulatore con ottima parlantina, ma il più delle volte si tratta di operai. Più sono avanti con l’età e più è probabile, per non dire necessario, che siano commerciali o affabulatori.
Ed ora introduco un’altra dimensione trasversale a tutti questi ruoli e non solo; consulenza Hard (sì/no e raccomandazioni) o Soft (cosa fare e come farlo, in alcuni casi la consulenza realizza ciò che propone di fare). Hanno le stesse differenze che passa tra l’hardware ed il software. Tra un computer ed il suo sistema operativo. Tra un’automobile e la benzina. Tra un binario ed un treno.
La consulenza hard si occupa di supportare il committente a prendere decisioni limitandosi a delle raccomandazioni ma senza mai impegnarsi in altro. È la cosiddetta consulenza strategica ovvero che riguarda temi che portano a decisioni costose, impegnative, di lungo o medio periodo e, spesso, irreversibili. Viene rivolta solo alla proprietà o ai top manager (i cosiddetti c-level ovvero i membri del Cda). Simile alla consulenza strategica ma effettuata ad un livello gerarchico inferiore è quella direzionale. I decisori in questo caso sono dei manager a capo di funzioni ed il consulente li supporta sia a prendere decisioni che a metterle in pratica. Esiste anche la consulenza progettuale ovvero quella che determina come fare un determinato intervento, soluzione, prodotto. Infine la consulenza operativa ovvero quella che gestisce direttamente alcuni processi del committente per un periodo più o meno lungo di tempo. Si rivolge a quelli che una volta erano chiamati i quadri intermedi.
La ragione per cui sono poche le società che fanno vera consulenza strategica (sono globali e nessun freelance può nemmeno sognarsi di farla) è che per fare strategia ci vogliono dati di mercato esclusivi o difficilmente reperibili. Dati che una volta erano patrimonio solo di queste società ed ora possono essere in mano ad altri soggetti, come ad esempio Google o Facebook, ma pur sempre non disponibili alla gran massa di consulenti che si autodefiniscono strategici. Il fatto che i dati di mercato più preziosi siano ora in gran parte in mano ad attori diversi dalle società di consulenza è anche una delle cause della loro crisi di ruolo e difficoltà ad innovare la propria offerta.
Quasi tutti i consulenti strategici fanno anche consulenza organizzativa pur se, quest’ultima, a mio parere, è un ambito più soft che hard ma ciò fa parte di quegli interventi tanto cari ai top manager (i CEO in particolare) da essere considerati addirittura strategici, seppur non sempre lo siano realmente. La consulenza di tipo hard è tale se, e solo se, non ha conflitti d’interesse con alcuna possibile implementazione. Consulenza hard e soft non possono né debbono essere effettuate dallo stesso consulente o società di consulenza, perché, in uno dei due ruoli potrebbe essere in conflitto d’interesse.
Da un consulente hard ti puoi aspettare che cerchi di allungare i tempi delle decisioni o di scoprire nuovi temi da affrontare ma non di voler implementare ciò che è stato deciso; al massimo può affiancarti nel processo di selezione dei consulenti soft e nel controllo del loro lavoro. Tanto per fare degli esempi, dai consulenti strategici non puoi aspettarti che ti realizzino una campagna di digital marketing o una piattaforma tecnologica. Delle due l’una: o non sono dei consulenti strategici o non sono dei bravi creativi o sviluppatori. Se ti pare che siano bravi sia a fare strategie che implementazioni è probabile che ti stiano spacciando per scelte strategiche soluzioni preconfezionate molto ben presentate. Diffida di tutti quelli che dicono di fare qualcosa di strategico, ma che in realtà non sono in grado di incidere sul destino della tua azienda bensì solo su alcuni processi o iniziative.
La consulenza soft, in cui rientrano la consulenza direzionale ed operativa, è orientata a realizzare qualcosa, ovvero soluzioni, campagne, software, riorganizzazioni etc. Questo tipo di consulenza mira a diventare pervasiva, al punto dal cercare di diventare insostituibile ed in questo modo mantenere la relazione ed il cliente a lungo.
Ricapitoliamo: ci sono consulenti autodidatti e strutturati, che agiscono come operai, commerciali o affabulatori al fine di fare o vendere consulenza hard o soft fornendo consulenza strategica (alla proprietà o al top manager), direzionale (ai direttori), progettuale (ai quadri) ed operativa.
Questi vari tipi di consulenti usano modelli di pricing molto diversi tra loro che mirano tutti a massimizzare i ricavi ed il profitto a fronte di costi che sono, per la maggior parte dei casi, prevalentemente di personale (i consulenti stessi). Esistono almeno 6 diversi modelli di pricing della consulenza con diversi ambiti di applicazione e modalità di trattativa nonché marginalità:
1. a tempo (time & materials) ovvero tempo e materiali
a. a ore/minuti. Tipico sia di consulenti super specializzati, come gli avvocati d’affari, che di consulenti operativi di basso livello che vengono retribuiti per svolgere piccoli task commissionati da svariati clienti, tipo call center, ma applicato ad ogni tipo di attività, come ad esempio creazione o gestione di micro campagne di web maketing.
b. a giornata/uomo (x diem). Il modello di pricing più usato in assoluto da chi vende team composti da molti consulenti o dai consulenti freelance indipendenti, che quindi non possono vendere il proprio lavoro a leva ovvero a team mese base. Ridurre il x diem è l’obiettivo degli uffici acquisti ed anche l’incubo delle società di consulenza non strategica. Nessun consulente strategico negozia mail le sue fees con gli uffici acquisti ma solo ed unicamente con i decisori. Se dovesse piegarsi a farlo non sarebbe più credibile e nessun decisore che voglia ingaggiare una vera società di consulenza strategica si sognerebbe mai di fare la figura di non avere il potere ed il budget di firmare il loro ingaggio. In questa categoria rientra il bodyrental.
c. a team mese base. Ovvero viene prezzato il costo di un team e non dei singoli consulenti. È il pricing usato per la consulenza strategica, in cui i team base sono formati da 2-5 persone al massimo, dedicate e che lavorano presso il committente.
2. a volumi
a. fatture, buste paga, cartelle etc. Usato soprattutto da consulenti amministrativi o comunque soggetti che effettuano outsourcing operativo per conto delle aziende.
b. licenze d’uso e royalty. Alcuni consulenti, specialmente informatici o creativi, possono usare questa forma di retribuzione.
3. a corpo/progetto. Croce e delizia delle società di consulenza che lavorano per commesse. Solo le società di consulenza molto strutturate riescono a non rimetterci con questo tipo di pricing. Per tutte le altre è quasi sempre un bagno di sangue, che in gergo si chiama “erosion” ovvero quella coda di fine progetto che si prolunga all’infinito spesso nella vana speranza di ottenere un nuovo incarico.
4. a performance, ovvero in base ai risultati commerciali o di altro tipo raggiunti dal consulente.
5. a success fee. È un premio vero e proprio che il consulente ottiene al raggiungimento di un determinato risultato. È tipico degli advisor che supportano le aziende nel fundraising.
6. in % del budget gestito. I pubblicitari ed i centri medi lavorano (soprattutto in passato) con queste logiche di pricing.
Tutti questi sistemi di pricing mirano sempre e solo a massimizzare il ritorno a parità di tempo/uomo impiegato per raggiungere un certo risultato o erogare un certo servizio. Tutti i commerciali della consulenza capaci ed efficaci vendono a valore, cioè in base al valore che una determinata proposta ha per il committente. Mi spiego meglio: se una soluzione porta un beneficio di 1 milione di euro allora il consulente cercherà di vendere la sua soluzione per almeno 200K. Nel caso porti valore per 10 milioni la stessa consulenza (allungata e allargata a dovere) sarà venduta a 2 milioni. E così via. Ed è anche per questo che la gran parte dei consulenti preferiscono lavorare per grosse aziende dove i valori in gioco sono maggiori piuttosto che per le PMI dove gli effetti sono sempre più limitati e, soprattutto, più facilmente misurabili.
La vendita a valore si articola in due fasi che sono la definizione della LOP (Letter of Proposal) e la LOF (Letter of fees). Nella prima si definiscono i contenuti dell’intervento ed i valori in gioco e solo dopo aver ottenuto il consenso del potenziale cliente viene sottoposta la LOF. Chi non segue questo schema non sa vendere a valore, quindi, non sa fare il mestiere di consulente.
Per chi non lo sapesse tutte le LOP sono e devono essere strutturate in questo modo:
– contesto (problema, possibile soluzione)
– obiettivi
– fasi di completamento dell’intervento
– per ciascuna fase
*sotto obiettivi di fase
*attività della fase
*prodotti finiti della fase
– tempi, team (effort, etc) e risorse necessarie
Se un imprenditore non capisce la proposta di un consulente vuol dire che il consulente non sa fare il suo mestiere. Non è, però, certo che saper fare una proposta comprensibile significhi saper fare il consulente.
I commerciali dei consulenti, per vendere di più e meglio (a valore), si inventano sigle sempre nuove con le quali identificano i prodotti che offrono (practice) come ad esempio: CRM, BPR, BP, budgeting, digital transformation, change management, problem solving, M&A, Growth Hacking, etc etc, fino alla nausea. Non bisogna farsi incantare. Per ciascuna di esse è sempre possibile fare una LOP e chi non te la fa in modo comprensibile vuol dire che non sa fare il consulente in modo strutturato.
Insomma, abbiamo visto che un consulente può essere autodidatta o strutturato, strategico e non, operativo, commerciale o affabulatore. Ma può, un consulente, essere innovativo?
Prima di rispondere credo sia il caso di metterci d’accordo su cosa si intenda per innovativo. Se consideriamo innovativo qualsiasi cosa il committente non conosca o sappia fare allora tutti o quasi i consulenti devono essere innovativi. Quelli che non lo sono sono dei cialtroni che non studiano e non si aggiornano. Giustamente la maggior parte dei consulenti sono dei riciclatori di innovazioni altrui. L’innovazione in consulenza, infatti, non è (quasi) mai assoluta ma solo relativa. Tutti i consulenti sono sia antiquati rispetto ai migliori operatori del mercato che portatori di innovazione rispetto ai followers dello stesso mercato.
Se per innovativo intendiamo qualcosa di veramente unico e fatto su misura allora, a mio parere, la stragrande maggioranza dei consulenti (veri e strutturati) non lo sono affatto e non lo possono essere per deformazione professionale; perché la roba troppo nuova, veramente innovativa e unica, non si vende. Nessuno la compra, specialmente in Italia. Di questi tempi (dal 2010 ad oggi) sono diventati quasi tutti consulenti innovativi perché l’innovazione è diventata una moda che si vende, ma si tratta di innovazione vecchia di almeno vent’anni: ecommerce, digital transformation, digital marketing, social, startup, intelligenza artificiale, etc, è tutta roba che era veramente innovativa nel millennio scorso e infatti pochissimi la compravano e non erano certo i consulenti strategici a proporla né a capirla. Io ero tra quei consulenti autodidatti del tutto non strutturati che non sapeva fare una LOP, ma che proponeva e realizzava progetti e-commerce negli anni ‘90. A rivedere le mie/nostre (eravamo più di 100) proposte di allora c’è da mettersi le mani nei capelli ma di sicuro erano innovative. Direi troppo innovative.
Questo apparente paradosso ti dice anche un’altra cosa importante: esistono dei consulenti veramente innovativi ma, il più delle volte, sono degli operai super specializzati che assomigliano più a degli inventori che a dei consulenti. Gente così la devi cercare tra gli outsider, non certo tra quelli che scrivono libri o manualetti di successo. Che fanno gli influencer e i guri. Non la senti ai convegni ma la devi cercare e trovare. A gente così non puoi proprio chiedere di farti una LOP ben fatta; ma se li metti a lavorare nel contesto giusto è possibile che realizzino qualcosa di realmente originale. Gente così non vuole fare il consulente, vuole sentirsi protagonista e artefice di un’invenzione e, infatti, preferisce lavorare per aziende super innovative (vedi Google, Facebook etc) e startup, piuttosto che fare il consulente (altro motivo per cui le grandi società di consulenza sono in crisi).
Quindi tu, tu che cerchi un consulente innovativo cosa hai da offrire a gente così? Sei disposto a metterti in gioco fino al punto di ritornare ad essere un operaio tra gli operai? O sei solo uno dei tanti imprenditori o manager che cerca un consulente per non correre rischi, per delegare un lavoro che non sa o vuole fare? Fatti queste domande prima di metterti alla ricerca di qualcosa realmente innovativo, altrimenti è solo tempo sprecato.
PS: se hai dei dubbi su cosa voglia dire rimettersi in gioco per innovare ti consiglio di guardare il docufilm dedicato a Luisa Spagnoli e fai caso a come lei ed i suoi figli dopo hanno risolto quasi tutti i momenti di crisi della Perugina. Operai bisogna essere per innovare, operai.