categoria: Res Publica
Terapia per l’Italia in 15 punti, dalle grandi opere al lavoro di cittadinanza
Post di Guido Iodice e Daniela Palma, autori di Keynes blog –
Di cosa ha bisogno il nostro Paese per uscire dalla crisi ormai pluridecennale nella quale si ritrova? Non certo dell’assistenzialismo (il reddito di sudditanza) con spruzzatine di neoliberismo (la flat tax) del governo Lega-5Stelle. L’Italia è un paese economicamente malato, le cui difese immunitarie si sono da tempo indebolite. Per questo serve una vera cura, non buttare soldi nell’omeopatia economica, per poi magari scoprire che non ne sono rimasti per le medicine vere. Proviamo a delineare pochi ma essenziali punti dai quali un governo alternativo dovrebbe partire per innescare la ripresa. Alcune proposte saranno forse poco popolari, ma agli italiani va fatto un discorso di verità.
1. Per prima cosa bisogna togliere dall’orizzonte ogni sospetto di uscita dall’euro. Buona parte della recessione nell’ultima parte del 2018 (per non parlare dello spread pià che raddoppiato) è stata causata dall’incertezza generata su questo punto dalle forze euroscettiche al governo. Questo non significa accettare l’Europa così com’è (vedasi punto 11).
2. Il deficit è uno strumento indispensabile di gestione della domanda, che però va usato solo per fare investimenti. Questa è sempre stata la regola aurea keynesiana. Una ideale manovra keynesiana per gli anni a venire dovrebbe puntare al pareggio di bilancio per le spese correnti e ad un deficit – non piccolo – indirizzato esclusivamente agli investimenti: trasporti, infrastrutture tecnologiche, ricerca, scuola e università, riqualificazione dell’edilizia pubblica e privata, investimenti in sanità, una seria politica industriale (si vedano il punto 7 e seguenti).
3. Quota100 non è sostenibile, tanto più se fatta in deficit visto che ha un moltiplicatore risibile. Rischiamo di dover tagliare le pensioni delle generazioni che oggi hanno meno di 50 anni. Una riforma seria delle pensioni era stata proposta da Tito Boeri – critico verso l’innalzamento previsto dalla Fornero – e prevedeva l’età pensionabile a 65 anni.
4. Il reddito di cittadinanza va sostituito con un programma di “lavoro di cittadinanza” (come suggeriva Minsky). Non è né etico né economicamente sensato pagare qualcuno per non fare nulla, quando ci sono così tante cose da fare. L’attuale formulazione rischia di creare da un lato una massa di poveri ricattabili, costretti ad accettare un lavoro purché sia per non perdere il reddito, come accade in Germania con l’Hartz IV, e dall’altro di favorire evasori fiscali e “furbetti”.
5. È inutile e dannoso mettere paletti normativi alle diverse forme di precariato come si è fatto col decreto dignità, se poi, come sta accadendo, questo significa semplicemente che le imprese smettono di servirsi di lavoratori “marginali” senza assumerli a tempo indeterminato. Molto meglio operare con incentivi e disincentivi economici: il lavoro a tempo indeterminato deve costare all’impresa sensibilmente meno di quello precario; in cambio, le imprese devono accettare il ripristino della reintegra in caso di licenziamento ingiustificato.
6. È tempo di istituire un salario minimo legale orario che valga per tutti. I sindacati devono superare le resistenze a questa proposta perché oggi buona parte dei lavoratori non ha un contratto nazionale e non ha alcuna tutela contro lo sfruttamento.
7. Bisogna seriamente combattere la tara strutturale dell’economia italiana: lo sbilanciamento verso le piccole imprese e le produzioni “tradizionali” a basso contenuto di innovazione, che riescono a competere solo comprimendo i costi della manodopera. Senza peli sulla lingua, occorre smetterla di difendere il “piccolo è bello”, l’impresa artigiana “di famiglia”, la botteguccia. L’Italia ha ottime medie e grandi imprese, il problema è che sono poche. Una seria politica economica deve porsi la soluzione di questo problema come priorità per i prossimi 20 anni.
8. Le grandi opere non devono essere un tabù. Un paese moderno ne ha bisogno. Oggi i cantieri sono fermi perché ci sono solo no, che poi cadono di fronte alla realtà. Ma intanto si sono persi anni dietro le proteste di gruppi sparuti.
9. Le grandi imprese di stato sono state e devono tornare ad essere un volano, come lo sono oggi nelle economie emergenti. Serve una nuova IRI e un ampliamento del credito pubblico (non a pioggia ma strategicamente indirizzato) tramite la CDP.
10. Se in certi ambiti serve più stato, in altri serve più mercato. Non si può continuare a proteggere piccole ma rumorose categorie come i tassisti, gli ambulanti, i titolari dei lidi, ecc. La giusta preoccupazione sulle condizioni di lavoro nella “gig economy” va affrontata con un salario minimo legale, ma non si può usare la paura di Uber, Flixbus, Amazon, ecc. per proteggere delle corporazioni di poche migliaia di persone che costano ogni anno miliardi al paese.
11. L’Euro e l’Europa vanno riformati, non distrutti. Due le urgenze: a) la creazione di un asset privo di rischi che sostenga l’euro; b) l’introduzione della golden rule per gli investimenti pubblici, da scomputare dal deficit.
12. Bisogna dire chiaramente agli italiani che sull’immigrazione sono stati ingannati: non sono gli immigrati i responsabili della crisi, della disoccupazione, della povertà, del peggioramento delle condizioni di vita delle classi medio-basse. La retorica anti-immigrazione viene portata avanti da chi vuole dividere i lavoratori per poterli meglio sottomettere.
13. Le tasse devono tornare ad essere progressive, il che significa che bisogna aumentare il numero di aliquote ed elevare quelle più alte. Occorre inoltre una tassa patrimoniale progressiva, equa e strutturale che frutti 10 miliardi all’anno da ridistribuire attraverso il “lavoro di cittadinanza”.
14. Il federalismo ha fallito, moltiplicando i centri di spesa e le inefficienze. Il progetto di secessione fiscale di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna va fermato e il Titolo V della Costituzione rivisto per uniformare e ricentralizzare le funzioni essenziali. La priorità è la sanità, perché è scandaloso che in oltre la metà del paese la sanità pubblica sia diventata troppo costosa per i cittadini.
15. L’Italia è tremendamente indietro sull’auto elettrica. I piani di FCA su elettrico e ibrido sono solo una minuscola frazione di quelli degli altri grandi gruppi. Rischiamo di sparire dal settore auto che per il nostro paese è strategico.
Insomma, serve un programma in cui il ruolo dello stato sia centrale per le politiche industriali, socialista nei confronti dei deboli e liberista contro le corporazioni, i forti e i furbi. C’è qualcuno in grado di portare avanti queste proposte? Se non c’è, il populismo continuerà ad avere la meglio.
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