Chi vuole uscire dall’Euro? Italexit: serve un dibattito (serio)

scritto da il 11 Febbraio 2019

Tra pochi mesi le elezioni europee vedranno contrapposte le forze euroscettiche contro quelle europeiste. In molti pensano che questa tornata elettorale possa rappresentare uno spartiacque capace di determinare il futuro dell’integrazione o della disintegrazione europea. I giallo-verdi, forse spinti dalla responsabilità di governo, sembrano aver deposto le mire riguardo a un’uscita dalla moneta unica (Italexit), lasciando comunque trasparire la volontà di frenare il processo di integrazione dall’interno delle istituzioni comunitarie. Il fronte europeista pare invece diviso e impantanato, incapace di trovare la quadra per fornire risposte efficaci ai nuovi grandi problemi del tessuto sociale

In questo contesto fa eco un dubbio latente: esiste un’alternativa, una “exit option” all’integrazione europea? Sono queste le domande che Tortuga si è posta, in collaborazione con la Fondazione Ottimisti e Razionali, all’interno del report “Scenari di un’Italia senza Euro: il post Italexit”. Il lavoro verrà presentato all’Università Bocconi il 13 febbraio 2019 alle ore 18. Al nostro fianco ci sarà il professor Carlo Altomonte che modererà il dibattito tra Oscar Giannino, conduttore di Radio24, Andrea Roventini, professore associato di economia al Sant’Anna di Pisa, e Claudio Velardi.

Quali sarebbero gli effetti di una Italexit?

Lo scenario ipotizzato è il cigno nero paventato dal ministro Paolo Savona e inizialmente citato anche nella prima bozza del contratto di governo. Questo piano prevede un’uscita disordinata e improvvisa dalla moneta unica, da effettuare nel giro di una notte. I primi effetti sarebbero una fuga di capitali dal nostro paese e la ridenominazione del debito pubblico con conseguente forte svalutazione della “nuova lira”. Ma cosa accadrebbe alla bilancia commerciale, al mercato del lavoro, alle disuguaglianze e ai conti pubblici? Sono questi i quesiti a cui abbiamo tentato di dare risposta nel report, e le cui risposte anticipiamo brevemente di seguito.

Una prima domanda da porsi è se l’effetto positivo della svalutazione sulle esportazioni sarebbe in grado di compensare l’aggravio dei costi delle importazioni. Vivendo oggi in una società globalizzata con scambi commerciali cosi intensificati, che impatto avrebbe dunque una svalutazione competitiva sulla nostra bilancia commerciale? Nel report introduciamo il concetto di global value chains (GVCs), letteralmente “catene globali del valore aggiunto”, schematizzate dall’immagine 1.

Immagine 1

cattura

Fonte: Altomonte, Sonno (2014).

Al giorno d’oggi, varie componenti delle stesse merci varcano numerose volte i medesimi confini, prima scambiate come beni intermedi e poi assemblate e rivendute come prodotti finali. Chiaramente questo complica notevolmente una valutazione sugli effetti reali delle svalutazioni competitive. Inoltre, come accennato precedentemente, i costi di produzione della nostra economia domestica salirebbero considerevolmente, considerata la grande quantità di beni intermedi che a nostra volta importiamo da paesi terzi (ad esempio, l’Italia importa circa il 90% del suo fabbisogno energetico).

A livello occupazionale, I proponenti dell’uscita dall’Euro prevedono una conseguente riduzione della disoccupazione. Il lavoro è senza dubbio uno dei temi più cari agli italiani e nel report identifichiamo le risposte che la letteratura accademica ha fornito riguardo all’effetto delle svalutazioni sul livello occupazione. Bisogna considerare, infatti, che una svalutazione deve essere spesso seguita da politiche di moderazione salariale atte a contenere la domanda interna. Così si intende evitare di innescare una pressione inflazionistica, dovuta al maggior costo dei beni di importazione. Inoltre, come spiegato da Paul Krugman, se le esportazioni nette crescono, ciò determina un aumento generalizzato dei prezzi domestici, attraverso l’aumento della domanda aggregata, con una perdita di competitività che determina un ritorno all’equilibrio precedente. Allo stesso tempo però è anche vero che stimolare la domanda può, a condizioni favorevoli, avere effetti positivi sull’occupazione.

L’elevato livello del nostro stock di debito pubblico comporterebbe un immediato scetticismo da parte dei mercati, che presterebbero denaro a maggiori tassi di interesse, mettendo a serio rischio il finanziamento della spesa corrente. Inoltre, dal 2013, l’Italia ha introdotto la Collective action clause (CaC), che consente un cambio di denominazione del debito solo con il consenso dei tre quarti dei titoli in circolazione. Quest’ultimi non sarebbero probabilmente favorevoli a un rimborso tramite la nuova moneta svalutata e, conseguentemente, l’ammontare di debito di circa 1000 miliardi di euro detenuto all’estero (circa la metà del totale) dovrebbe essere necessariamente restituita nella medesima moneta, l’Euro. Tuttavia, uscire dall’Euro ci consentirebbe di superare i parametri europei sul deficit, attraverso la monetizzazione. Però, come vedremo, questa scelta comporterebbe ugualmente un prezzo da pagare.

Infatti, bisogna chiedersi quali sarebbero i veri beneficiari degli eventuali vantaggi dell’uscita dalla moneta unica. Stampare più moneta, alla lunga, aumenta l’inflazione. Serve quindi considerare che un livello dei prezzi più elevato andrebbe a erodere il potere di acquisto di alcune tipologie di redditi più di altre (nell’ordine, redditi da lavoro dipendente, pensioni, redditi da lavoro autonomo, redditi da capitale). Questo verosimilmente impatterebbe maggiormente le fasce meno abbienti della popolazione, ma provocherebbe una redistribuzione di ricchezza dai creditori ai debitori non trascurabile. Inoltre, la svalutazione della nuova moneta favorirebbe quelle imprese che già esportano, che sono generalmente più produttive e localizzate al Nord, esacerbando la diseguaglianza territoriale tra Italia settentrionale e meridionale. Ecco i motivi per cui l’effetto netto sulle disuguaglianze sarebbe probabilmente un incremento, risultando in un’esacerbazione più che moderazione.

Discutere a proposito della moneta unica è di fondamentale importanza, e in particolar modo farlo a ragione veduta. Non servono schieramenti precostituiti che si insultano a vicenda, né al dibattito pubblico né all’Eurozona. In particolar modo è importante affrontare il confronto senza rifugiarsi nell’approccio del “there is no alternative”, per chi è contrario a una Italexit: anche la moneta è un tema di cui si può e si deve democraticamente dibattere. Con il maggior grado di informazioni possibili, sui possibili scenari e conseguenze di cui bisogna essere consapevoli.

L’evento del 13 febbraio ha proprio questo scopo: stimolare un dibattito serio su un tema che interessa i cittadini e su cui tutti gli elettori dovranno farsi un’idea prima delle elezioni europee. Metteremo in luce le dinamiche economiche potenzialmente innescate da un’eventuale uscita dalla moneta unica e spiegheremo in maniera semplice e chiara l’impatto che questa potrebbe avere sulla vita di tutti i giorni dei cittadini italiani. Vi aspettiamo numerosi all’Università Bocconi!

Twitter @Tortugaecon

Partecipa: l’evento Facebook del dibattito.