categoria: Res Publica
Migranti: con The Lancet e i dati sfatiamo quattro leggende sul tema
Il tema migranti continua a essere al centro di cronache e polemiche; il nuovo Governo, ed in particolare il ministro Salvini, hanno impostato su di esso una parte rilevante della loro politica ed in generale tendono, anche nella narrativa e nella comunicazione social, a ricondurre ai temi dell’immigrazione gran parte delle più ampie problematiche relative alla sicurezza ed all’ordine pubblico.
Già nell’estate scorsa ci eravamo intrattenuti su integrazione e migrazione, analizzando uno studio della Fondazione Hume: il fenomeno migratorio, argomentavamo, è da gestire all’interno di percorsi di riforma strutturale di molte delle nostre organizzazioni sociali ed istituzionali; concludevamo infatti ipotizzando che “…sfumata la “luna di miele” con gli elettori, anche Matteo Salvini debba fare i conti con questa realtà; lavorare maggiormente ai temi dell’integrazione di coloro che sono sul nostro territorio; raccogliere la sfida della riduzione dell’incidenza dei reati per coloro che GIÀ sono in Italia, più che lottare perché qualche ulteriore migliaio di essi eviti di sbarcare”.
A sei mesi di distanza, con il discusso Decreto Sicurezza approvato ed in fase di implementazione, sono ancora molti i dubbi degli osservatori; il tema “sbarchi” è quasi quotidianamente agli onori della cronaca, quasi fosse il primario problema di sicurezza degli italiani, nonostante riguardi poche decine o centinaia di persone.
Vedremo gli sviluppi, ma di certo anche le tesi più spiccatamente anti-immigrazione non mettono in dubbio (speriamo sinceramente) che “integrare” sia la strada da seguire.
Per contro, chiunque parli di “immigrazione” come elemento positivo viene aspramente criticato ed anzi additato ed esposto alla berlina: ricordiamo perfettamente il tormentone delle “risorse boldriniane” con l’allora presidente della Camera additata (troppo spesso con toni anche violenti ed intimidatori) al pubblico ludibrio per aver semplicemente detto l’ovvio: e cioè che, se gestita correttamente, l’immigrazione è senza dubbio una risorsa positiva per una comunità.
Anche il presidente dell’INPS, Tito Boeri, si è spesso espresso in questo senso, enunciando peraltro una realtà semplicissima e lapalissiana: in un Paese con la dinamica demografica come la nostra, l’immigrazione è l’unico mezzo per riequilibrare il sistema pensionistico, almeno finché non cambierà il nostro saldo demografico (ne ha parlato recentemente anche Vitalba Azzollini su queste colonne).
Ebbene, anche The Lancet si è occupato del tema, con uno studio di una delle sue Commissioni su Migration and Health: the Health of a World on the Move, pubblicato on line lo scorso 4 dicembre e commentato anche da Giuseppe Remuzzi su Corriere La Lettura n. 372 del 13 gennaio.
Ovviamente lo studio vuole approfondire tematiche relative alla salute, ma ne approfitta per dare importanti informazioni sui fenomeni migratori in generale, inquadrandoli in una prospettiva globale; la Commissione di Lancet, in altre parole, parte da una dato inoppugnabile: la gente si sposta, lo ha sempre fatto e continuerà a farlo. Può valere la pena riportare le prime parole dello studio, che fornisce una chiave di lettura molto chiara: “With one billion people on the move, or having moved in 2018, migration is a global reality, which has also become a political lightning rod”.
Non abbiamo qui la presunzione di analizzare le parti dello studio che riguardano gli aspetti prettamente sanitari, ma ci interessa capire perché la questione migratoria sia divenuta un “parafulmine politico”; The Lancet ce lo spiega dapprima analizzando i vari tipi di migrazione e il cosiddetto “migration cycle”.
Diverso infatti è migrare all’interno dello stesso paese, rispetto allo spostarsi di migliaia di chilometri; altro ancora è ipotizzare transiti di breve periodo in vista di spostare l’intera famiglia; e possono intervenire rientri nel proprio paese di origine con le relative conseguenze in termini di rischi o benefici per le comunità di partenza o di arrivo.
La Commissione del Lancet prosegue poi elencando una serie di luoghi comuni utilizzati comunemente da molti governi populisti, incluso certamente quello italiano, in riferimento ai fenomeni migratori e qui siamo al cuore del tema che vorremmo qui indagare: infatti, invece di porsi la domanda di come “chiudersi” The Lancet sembra dirci: guardate che se per caso volete una società “chiusa”, beh, attenzione! potreste avere questa convinzione sulla base di informazioni sbagliate, fuorvianti o addirittura false!
“We respond to common myths by offering data driven facts”, afferma The Lancet. E vediamo alcuni di questi miti, allora.
“I migranti sono un onere per i servizi”
The Lancet cita uno studio del 2018 di Science Advances per affermare proprio il contrario del “comune sentire”: i migranti hanno un effetto positivo sull’economia dei paesi ospitanti ad alto reddito (High Income Countries), lo vedremo, e soprattutto nel settore dei servizi: assistenza, cura della persona, insegnamento. Il 37% dei medici in UK, ad esempio, si sono qualificati in altri paesi (sono immigrati, in altre parole) e molta parte del personale di case di cura, asili, società di pulizia consiste in popolazione immigrata.
“Il tasso di fertilità fra i migranti è più alto rispetto a quello delle comunità ospitanti”
Questa affermazione viene smentita citando uno studio del 2015 di Families And Societies su Francia, Germania, Spagna, Svezia, Svizzera e Stati Uniti, che mostra come il “first birth rate” sia più alto fra le madri indigene rispetto a quelle immigrate (con eccezione delle donne turche); inoltre, il tasso di fertilità fra i migranti è a malapena al livello di “population replacement” anche fra i migranti; sembra di sentire, in lontananza, il brusio di fantomatici “piani di sostituzione” o piani Kalergi che naturalmente sono destituiti con pochi dati di ogni fondamento.
“I migranti danneggiano l’economia”
Qui la Commissione di Lancet prende una posizione netta, che tra l’altra ha fatto titolare il Corriere la Lettura in modo altrettanto netto:
Corriere La Lettura n. 372, 13 gennaio 2019
ogni incremento del 1% dei migranti adulti incrementa il PIL pro capite del 2%; la fonte sono due studi, di OECD e IMF. Va precisato, naturalmente, che il paper di IMF si pone in una logica di medio lungo periodo, e non tralascia di segnalare “societal and political strains” nei processi di integrazione, ma allo stesso tempo proietta sicuri benefici in una maggiore e più diffusa ricchezza a seguito di processi migratori ben gestiti.
Un altro dato interessante citato da Lancet (da World Bank) riguarda un tema spesso trascurato nel dibattito, riconducibile in qualche maniera al famoso “aiutiamoli a casa loro”; nel valutare l’impatto sulle economia, in questo caso dei paesi d’origine, non va trascurato il dato delle rimesse dei migranti (sul quale fra l’altro anche il nostro paese ha potuto far conto nel secolo scorso, quando i migranti eravamo noi): 613 milioni di dollari è il valore stimato nel 2017 da World Bank, ovviamente quasi tutto concentrato (75%) nei paesi a reddito medio basso: si tratta di un dato pari a tre volte il dato ufficiale dei programmi ufficiali di assistenza in loco, a dimostrazione che anche l’integrazione dei migranti nella società ospite è un modo concreto di “aiutarli a casa loro”.
“I migranti sono portatori di malattie, pongono rischi in capo alla popolazione residente”
Qui lasciamo la parola a Giuseppe Remuzzi, direttore del Centro Farmacologico Mario Negri, che nel suo pezzo su La Lettura afferma: “L’idea che i migranti portino infezioni non è sostenuta dalle evidenze disponibili in letteratura. Pochi sembrano preoccuparsi del fatto che batteri e virus oggi viaggiano soprattutto in aereo e che le infezioni che importiamo dall’estero vengono dai viaggi intercontinentali, dal turismo di massa e dalle attività commerciali più che dai migranti”.
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L’idea che emerge dalla lettura di questi studi è di processi vasti, articolati, difficili da misurare nella loro complessità; ma sicuramente, questo è certo, non riducibili a slogan e semplificazioni che invece troppo spesso connotano il dibattito quotidiano su mezzi di informazione e social network; come sempre, non è certo con ricette semplicistiche basate su analisi errate che si risolveranno i problemi.
Twitter @dorinileonardo