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Macron, il franco CFA e le (ex) colonie: parliamone con un certo brio
Qualche giorno fa i leader del Movimento 5 Stelle hanno, con enfasi, affermato che la politica monetaria francese in Africa, legata al franco CFA (acronimo di acronimo di Comunità Finanziaria Africana), è la causa della migrazione e delle altre sciagure che affliggono il Continente. Una posizione un po’ forte, che riecheggia, vagamente, un mix di complottismo e leggende pan-africane post colonialiste. Tuttavia, come in tutte le leggende, esiste una serie di curiose coincidenze che potrebbero indurre un lettore, distratto o malizioso s’intende, a intravedere uno scenario un poco scomodo per la Francia.
Partiamo da alcune casualità storiche per arrivare ai giorni nostri.
Gli ex imperi coloniali europei di un certo peso (i principali, Francia e Regno Unito) nell’abbandonare le loro colonie (o nell’esser cacciati), si assicurarono di lasciare dei proxy fedeli. Il metodo classico prevedeva di seminare, nelle élite domestiche, una sorta di tradizione culturale coloniale. In pratica la cosa potrebbe essere riassunta così: “tu ex colonia ricordati che la tua élite, la tua cultura (imposta magari), la qualità della vita di cui hai goduto deriva da noi colonialisti. Quindi se vuoi mantenerla, post indipendenza, ricordati di noi”. Il Regno Unito si lasciò alle spalle una sorta di tela di ragno, usando la leva finanziaria per avere una rete di Paesi dal fisco allegro, dove imbucare i soldi neri è come comprare le caramelle. Il video documentario di Spider’s web, basato sulle analisi di Nicholas Shaxson “L’isola del tesoro”, rende molto bene l’idea.
La Francia pre e post seconda guerra mondiale (come vedremo tra poco anche le date sono importanti) non era così avanzata finanziariamente. L’indole francese per il commercio e la finanza “alta” non era paragonabile a quella inglese. Quindi si dovettero trovare soluzioni più alla buona.
La prima “franco zona” venne creata nel 1939 come area monetaria con il franco francese come principale moneta. Nel 1945 videro la luce la Franc des Colonies Françaises d’Afrique (CFA franc) e la Franc des Colonies Françaises du Pacifique (CFP franc). Arriviamo alle due unioni africane. Il Central African Economic and Monetary Union (CEMAC) e il West African Economic and Monetary Community (WAEMU) sono le due aree africane che fanno parte della zona CFA. WAEMU ha 8 membri: Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau (una ex colonia portoghese che ha deciso di entrare nel gruppo nel 1997), Mali, Niger, Senegal e Togo. La loro moneta comune è il “franc de la Communauté Financière de l’Afrique (CFA)”, emessa dalla Central Bank of the West African States (BCEAO) locata a Dakar, Senegal. Il CEMAC ha sei membri: Camerun, La Repubblica del Centro Africa, Ciad, Congo, Guinea Equatoriale (una ex colonia spagnola che ha aderito nel 1985) e il Gabon. La loro moneta comune è il “franc de la Cooperation Financiere Africaine”, emesso dalla Bank of the Central African States (BEAC) locata a Yaoundé, Camerun.
Vale la pena di ricordare che sia la BCEAO che la BEAC hanno il loro quartier generale a Parigi sin dal 1970. Il 50% delle riserve monetarie delle nazioni delle due Unioni CFA sono “ospitate” in Francia.
Dal 1948 i due CFA sono ancorati con un rateo di cambio 50 CFA per 1 franco francese. Nel 1994 i CFA hanno subito una svalutazione del 50%. Dopo la svalutazione del 1994 i due CFA furono ancorati ad un nuovo cambio: 100 CFA per 1 franco francese. L’operazione fu giustificata ai tempi da un crollo della competitività del franco francese rispetto ad altri mercati.
Semplificando molto, la Francia (che vendeva, almeno in parte, prodotti finiti, creati con materie prime importate dalle Unioni CFA) andò a scaricare la sua scarsa competitività, sul mercato internazionale, sulle spalle delle nazioni delle unioni CFA, scontando il costo delle materie prime provenienti dalle unioni, prezzate in franchi CFA. Per semplificare molto il concetto si potrebbe tradurre stile: “Ehi ragazzi africani, il nostro franco francese è meno competitivo, riusciamo a vendere meno le nostre cose prodotte grazie alle materie prime che voi africani ci vendete. Allora adesso vi svalutiamo la vostra submoneta così, le materie prime che ci date ci costeranno meno e potremo essere più competitivi”.
Ovviamente questa è una ricostruzione semplificata. Allo stato attuale l’accordo di Parigi vede le due unioni/CFA ancorate all’euro con una convertibilità garantita dal tesoro francese e da una serie di aspetti legali, istituzionali e politici. Il CFA ha un cambio fisso di 655.957 per euro. Le due unioni hanno le loro banche centrali indipendenti tra loro. I franchi CFA possono essere convertiti in euro ma non convertiti tra loro. La Francia ha rappresentanti nazionali in entrambi i board delle due banche delle unioni africane. I prestiti che possono essere autorizzati alle due unioni sono ampli, tuttavia sono soggetti a una serie di limitazioni. Ci sono una serie di “trucchi” che permettono alla banca centrale francese di mantenere un rapporto di dominazione sulle due banche delle unioni (dove è forte la presenza di cittadini francesi).
Una analisi molto utile e approfondita sull’“Operations Account” che gestisce le relazioni bancarie e finanziare tra la banca francese e le banche delle due unioni la trovate qui, se preferite un’analisi più francese, questa della università Sorbonne (in francese ovvio) è ancora più completa. È piuttosto complessa ma la sua lettura può offrire una serie di spunti sui sistemi intelligenti che son stati creati dalla banca centrale francese per “sostenere o contenere” le banche delle due unioni CFA.
Tra tutti il più interessante è il ratissage, in pratica l’obbligo di depositare asset privati o pubblici in cambio di emissioni di CFA. Un obbligo che appare, dai vari documenti letti, (chiedo correzioni se ho letto male) essere deciso in modo univoco dalla Francia; tale obbligo rende infelici i cittadini delle Unioni africane (sopra foto di cittadina infelice), come dimostra questo servizio della BBC.
Brutalmente si potrebbe definire un’imposizione per limitare la libertà di azione o di decisione (ovviamente è solo un’interpretazione). È importante considerare che la Francia ha una massiccia presenza, con i suoi esperti, in tutta una serie di realtà istituzionali e aziende a partecipazione pubblica, delle due unioni: difesa, banca centrale, tesoro, budget, finanze etc.. Specialmente dopo che le due unioni CFA si sono dovute ammodernare con soluzioni informatiche evolute (che, nemmeno a dirlo, mancavano nel mercato locale, ed è stato necessario importare dalla ex-madrepatria, con tanto di esperti e consulenti francesi pronti a implementare i software).
Si suggerisce nelle affermazioni di Di Maio e DI Battista che le nazioni delle Unioni sono state obbligate a siglare vari accordi. Nulla di più falso.
L’accordo di Cooperazione siglato dagli allora rappresentanti/politici degli stati delle due unioni CFA fu volontario. I politici di allora, come oggi salvo eccezioni (politici che avevano una visione pan-africana, poi caduti casualmente in disgrazia), videro in questa opportunità di indipendenza formale un metodo per mantenere il controllo sui propri concittadini africani, supportato dalla ex madre patria. Questo supporto alle élite africane è dato da un ulteriore accordo, chiamato “Accords speciaux de defence”, che autorizzava operazioni militari, con truppe francesi sul suolo dei firmatari dell’accordo, in modo da difendere i politici locali che difendevano gli interessi francesi. Tra i documenti firmati era inclusa una serie di accordi piuttosto stringenti, per l’esportazione di materie prime dalle due Unioni verso la Francia.
In vero l’interesse per la Francia di mantenere una area stabile per le Unioni CFA si estende anche al di fuori dell’area delle unioni. Datava 2011 una serie di cablo americani tra l’ambasciatore americano in Libia e Hillary Clinton (allora segretario di Stato Usa sotto Obama). Nelle mail, ben analizzata da Foreign Policy, ma visualizzabili direttamente qui (foto sotto), potete leggere una frase per la serie “Noi Francesi facciamo il bello e il cattivo tempo in Africa”.
Dice testualmente (tradotto) “Questo oro (valore stimato 7 miliardi, essendo a rischio venne spostato da Gheddafi verso il confine Niger e Ciad, nazioni delle Unioni CFA) accumulato precedentemente alla ribellione era inteso per essere utilizzato (si suppone come asset, nota personale) per creare la base di una moneta pan-africana legata al Dinaro libico. Questo piano era mirato a fornire una alternativa alle Unioni CFA rispetto ai franchi CFA.”
Nello stesso cablo si legge “(…) Gli ufficiali della intelligence francese hanno scoperto questo piano (di Gheddafi, ndr) e questa è stata una delle ragioni che hanno influenzato le decisioni di Sarkozy di attaccare la Libia (…). I piani di Sarkozy erano influenzati dai seguenti temi:
- Avere maggior accesso alla produzione di petrolio Libico (a discapito degli interessi dell’Italia e della nazionale ENI, come pare si legga qui)?
- Aumentare l’influenza francese in Nord Africa,
- Migliorare la situazione dei problemi interni francesi (teoria classica pan-germanica di Carl Schmitt di “trovare un nemico esterno per rinsaldare la nazione”, teoria adottata anche da Hitler)
- Offrire all’esercito francese una maggior visibilità (e credibilità? ndr) nel mondo
- Gestire la preoccupazione dei consiglieri di Sarkozy in merito ai piani di lungo periodo di Gheddafi di sostituirsi al potere francese nelle Unioni Francofone (le famose due Unioni CFA)”
Una nota di colore per capire se il piano del raìs supportato dal suo oro (7 miliardi di USD di allora) avesse una base logica. Il totale delle riserve delle due unioni CFA depositate in Francia è superiore ai 10 miliardi di USD (più ulteriori asset). Come dire, forse Gheddafi non avrebbe sostituito la Francia come potere finanziario nelle due unioni CFA, ma di certo poteva dare molto fastidio.
Nota: l’eliminazione di Gheddafi diede il via a una serie di eventi, tra cui lo “sbloccare” il tappo che impediva flussi di migranti dall’Africa all’Europa (un tappo simile è stato creato per i migranti economici in Turchia, grazie ad oltre 6 miliardi che la UE ha dato a Erdogan)
Colpi di stato e multinazionali: c’è spazio per tutti
Come riporta Al Jazeera, dei 67 colpi di stato in 26 nazioni africane negli ultimi 50 anni (grosso modo dalla fine della seconda guerra mondiale in poi) il 61% hanno avuto luogo in ex colonie francesi (qualcuno ricorda il sopra menzionato “Accords speciaux de defence”?). Per una lista di eventi di “mantenimento dell’ordine costituito” (dicasi pace francese, il menzionato Gheddafi vi ricorda qualcosa?). Questo link offre alcune raccolte interessanti. Uno dei tanti conflitti dimenticati (dimenticare un conflitto in Africa, si fa in fretta) è quello del Mali, dove i francesi, generosamente, mandarono un po’ di truppe per riportare l’ordine. Ricordiamoci che il Mali è vicino al Niger, una nazione a cui la Francia è molto affezionata, come vedremo dopo. Un conflitto, quello del Mali, che va avanti dal 2013 ma che ancora nel 2018 attira le attenzioni dei francesi: di tanto in tanto paracadutano unità speciali laggiù, per mantenere un occhio sulla situazione.
La presenza di forze militari francesi ufficiali (il conteggio esclude eventuali mercenari o altre forze militari irregolari) lo offre direttamente la infografica del sito della difesa francese.
Se parliamo di investimenti francesi la Francia, da molti decenni, fa grandi prestiti alle ex colonie, come ci ricorda Quartz. Quando le nazioni delle unioni CFA hanno problemi a ripagare il debito, capita che arrivino degli aggiustamenti opportuni (qualcuno ricorda il ratissage?)
Per osservare i volumi di esportazione dei paesi CFA ci aiuta il ITC. Una serie di tabelle (prende un po’ di tempo familiarizzarsi) possono aiutare ma per riassumere, alcune tra le maggiori esportazioni verso la Francia: uranio, petrolio, cacao, frutta, legname, pesce e minerali.
La presenza di aziende francesi estrattive nelle nazioni CFA è importante e, in alcuni casi, vitale: Areva ha posizioni forti in Niger, dove estrae uranio. Il gruppo mina in Niger da oltre 50 anni ed è posseduto per oltre l’80%, dal governo francese. L’uranio del Niger è quasi il 20% del totale dell’uranio usato dalla Francia per i suoi reattori nucleari. Ricordiamo che circa il 75% dell’energia francese prodotta deriva dalle centrali nucleari. L’esportazione di uranio è una voce importante nelle esportazioni del Niger: oltre il 25%. Si comprende che una materia prima del genere raccoglie gli interessi delle élite locali (che non vogliono perdere questo, relativo, potere di trattativa con la ex-madrepatria) e della Francia.
Nel 2009, sempre per parlare di casualità, l’allora presidente Tandja fece un colpo di stato (a volte succede, in Africa). Tra le sue ambizioni, una volta riconfermato, c’era il supporto a una serie di progetti minerari di uranio portati avanti da Areva. Alcuni (maliziosi) suggeriscono che il colpo di stato e l’informale avvallo diplomatico delle autorità francesi fu positivo per gli interessi di Areva in Niger. Il successore Mahamadou Issoufou,un ex consulente di Areva, divenuto presidente decise, come riporta Dw, di dare un’esenzione fiscale ad Areva Niger. Tanto è caldo il tema uranio e Niger che un giornale locale ha coniato il termine Uraniumgate.
Total è una delle più grandi compagnie petrolifere del mondo. Partecipata dal governo. Per il gruppo francese l’Africa rappresenta il 49% del petrolio estratto (dati 2014). Gli Interessi di Total nelle nazioni delle Unioni sono rilevanti.
Ma parliamo di porti e logistica, con un “amico” dell’Italia (Mediaset, qualcuno ricorda): Bolloré Logistics ha costruito porti, ferrovie, strade e altre soluzioni di logistica in Africa. Sembrerebbe che il suo metodo di fare affari in Africa sia stato un poco leggero. Lo stesso signor Bolloré, come riporta France24, è stato arrestato nell’aprile 2018 per accuse riguardo a corruzioni in varie nazioni africane. Vincent Bolloré appare essere amico di tutti i politici francesi, a partire dai presidenti (tra le tanti nazioni dove è presente il gruppo c’era anche la Libia, liberata da Sarkozy).
È una lista di “casualità” piuttosto veloce, lo ammetto. Coprire 60 anni di storia di emancipazione delle Unioni africane dalla Francia sarebbe un poco sfidante. Nei link che ho indicato tuttavia vi sono ulteriori casi storici che vedono la Francia interessarsi degli affari africani delle ex colonie. Se qualcuno comunque dovesse dubitare del magnanimo interesse che anche il nuovo presidente ha nei confronti dell’Africa basta leggere anche questa recente analisi di France24.
Il problema, o meglio dire il conflitto d’interessi, tra l’abbraccio benevolo di Macron e le ex colonie a volte si manifesta in modi imprevisti. Come il discorso del presidente del Ghana (2017), un poco indigesto al giovine dell’Eliseo.
Quindi, per riassumere brevemente.
Le due unioni CFA sono oggetto di sfruttamento da parte della Francia? No. I cittadini africani sono felici e gioiosi di contribuire alla crescita economica delle loro nazioni e ancor di più della ex madrepatria.
La Francia ha interessi nelle unioni monetarie CFA che implichino azioni militari chirurgiche e/o mirate? No. I militari francesi (spesso la Legione straniera, gente notoriamente pacifica) si trovano in varie nazioni come il Niger perché in Francia si annoiavano.
La migrazione verso l’Europa è causata dall’influenza francese? No. Ma nel caso i cittadini delle Unioni CFA volessero venire in Francia si sentirebbero accolti con calore e fraternità, specialmente se decidessero di vivere nelle banlieue.
(Foto di copertina di libro che parla dell’amore dei francesi per le banlieue)
I francesi sono in guerra economica con i cinesi e questo crea scenari di tensione sociali ed economici in molte aree dell’africa francofona? No, stanno solo giocando. La Cina, al pari della Francia, ha a cuore solo il bene dell’Africa.
È importante comprendere, per fugare qualunque dubbio, che La Francia è una nazione pacifica, che adora i migranti ed è sempre disponibile ad accogliere chiunque ed aiutare chiunque (i casi delle navi ONG che hanno chiesto e ovviamente ottenuto porti sicuri in Francia si sprecano).
Mi si permetta una nota di colore.
Mentre raccoglievo su word questi eventi casuali, tra loro non collegati, guardavo un film: Blood Diamond. Ok, un film scandalo e tutti sono scioccati. C’è una scena in cui il trafficante di diamanti, Archer (Di Caprio), spiega alla giornalista (parlando della multinazionale fittizia Van De Kaap che gestisce il traffico di diamanti insanguinati) “tecnicamente parlando loro non finanziano la guerra … ma creano la situazione dove è utile che la guerra continui…”.
Che frase curiosa. Non so perché continua a rimbalzarmi in testa.
Auguro una piacevole giornata a tutti. E se avete fame, non mangiate il pane, ci sono le brioches.
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