categoria: Distruzione creativa
Casaleggio e il futuro senza lavoro: ma che fare prima del 2054?
L’autore di questo post è Nicolò Andreula, economista, consulente e visiting lecturer alla Chinese University di Hong Kong –
In un video rilasciato dalla Casaleggio Associati (corredato da intervista al Corriere della Sera), l’omonimo presidente immagina il mondo nel 2054, descrivendo uno scenario dove macchine sempre più intelligenti svolgeranno gran parte dei lavori di oggi. Per Davide Casaleggio ci sarà sempre meno da fare per gli umani, che potranno sopravvivere tranquillamente grazie ad un reddito universale incondizionato e finanziato da un’alta tassazione sul capitale tecnologico. Si potrebbe semplificare dicendo: tranquilli, in futuro basterà far lavorare e tassare i robot per vivere felici e contenti. Ma la situazione è un po’ più complessa, per dirla alla Andreotti.
Casaleggio ha il merito di sollevare questioni molto importanti per il futuro dell’economia mondiale, suggerendo che la competitività di un paese dipenderà sempre più dal progresso tecnologico piuttosto che dal livello dei salari, sottolineando l’importanza della formazione e delle “soft skills” sul posto di lavoro – per esempio saper gestire situazioni imprevedibili e mostrare empatia -, riflettendo su come e quanto tassare la tecnologia. Parla giustamente anche di reshoring, supporto alle PMI ed omogeneità delle politiche fiscali europee.
Tuttavia, ci sono tre problemi fondamentali con il fatto che colui che molti vedono come il “deus ex machina” del partito più suffragato alle ultime elezioni affronti questi temi sic et nunc:
1) L’incertezza della previsione
Uno degli aggettivi più diffusi tra gli economisti per descrivere la realtà attuale è un acronimo coniato dagli esperti militari americani all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica: VUCA. Cioè Volatile, Imprevedibile (Unpredictable), Complesso ed Ambiguo. L’anno scorso, il Segretario Generale dell’OCSE ha definito l’imprevedibilità di questo periodo “senza precedenti”. La rivoluzione digitale avanza a ritmo esponenziale: una dozzina di anni fa non sapevamo nemmeno cosa fosse uno smartphone…e nel duemilacinquantaquattro?
Mentre possiamo essere sicuri che alcune tecnologie come l’intelligenza artificiale domineranno le nostre vite e le nostre aziende, e dobbiamo prepararci a saperle gestire ed utilizzare, come facciamo a sapere con certezza che lavoreremo di meno?
Non si è ancora riusciti a stabilire una relazione univoca tra progresso tecnologico ed occupazione. Moltissime ricerche sostengono che l’automazione cambi più la maniera in cui lavoriamo che i mestieri che facciamo, e moltissimi esempi dimostrano come l’innovazione distrugga posti di lavoro ma ne crei anche tanti altri.
L’unica cosa che possiamo dire con certezza è che chi saprà lavorare con le nuove tecnologie ed essere più produttivo guadagnerà di più e (probabilmente) deciderà di lavorare meno in termini di ore settimanali. Le persone senza le competenze necessarie per affrontare il cambiamento, invece, dovranno accettare salari relativamente più bassi. Non si sa se lavoreranno di più per compensare il deficit di produttività o non lavoreranno affatto
2) Priorità d’azione
Qualche giorno fa, mentre il ministro del Lavoro ipotizzava un nuovo boom economico, l’Istat rilasciava gli ultimi dati sulla produzione industriale nel nostro paese, diminuita del 2,6%. Sicuramente quando vivremo in un mondo in cui la tecnologia sarà in grado di portare avanti l’economia con un bisogno di manodopera drasticamente ridotto, dovremo ripensare la tassazione del capitale. Ma adesso occorrerebbe concentrarsi su attrazione di investimenti nel nostro paese, formazione di giovani e meno giovani (ne parla anche Casaleggio, ma l’allocazione delle risorse nell’ultima manovra finanziaria sembra andare nella direzione opposta), e provare a giocare di squadra con gli altri paesi europei per fare massa critica in settori strategici. Nell’economia digitale vale infatti il principio “The Winner Takes It All”, cioè il player più grande finisce per prendersi tutto il mercato: non possiamo pensare di combattere lo strapotere dei colossi americani e cinesi solamente con strategie nazionali.
3) Percezione del messaggio
La discussione su reddito di cittadinanza e impatto delle tecnologie sul mondo del lavoro è cosa buona e giusta, se fatta (come prova a fare Casaleggio), con dati alla mano e con un livello sufficiente di preparazione su principi economici di base. Il problema è che, in questo clima di perenne campagna elettorale, spesso questi temi vengono semplificati all’osso e tradotti o percepiti dall’elettorato come un ritorno all’assistenzialismo anni ’80. In pratica: vi pagheremo per non lavorare. In un paese e soprattutto in un meridione già contraddistinto da avversione a rischio e bassa propensione all’imprenditoria, l’effetto di questo messaggio (distorto) può essere devastante – mentre almeno ad elezioni concluse si potrebbe investire una parte maggiore di comunicazione per sottolineare l’importanza di istruzione, innovazione ed iniziative individuali.
Accanto a, e forse prima di, discussioni intellettualmente stimolanti sull’evoluzione del mondo nei prossimi trentacinque anni, sarebbe bene spiegare ai cittadini che il nostro paese sta perdendo terreno ma le ripresa dipende essenzialmente da noi: certo, il progresso nei prossimi cinque anni sconvolgerà ulteriormente il mondo del lavoro, ma ci sono moltissime opportunità per chi ha voglia di rimboccarsi le maniche e prepararsi all’innovazione mettendosi a studiare su libri e tablet, a qualsiasi età. Se lo iniziamo a dire e fare oggi queste piccole cose, nel 2054 staremo sicuramente meglio, indipendentemente dal reddito di cittadinanza.
Twitter @NicoloAndreula