La vera ragione alla base del tonfo di Apple? La sua strategia

scritto da il 11 Gennaio 2019

Provate a tornare indietro al 2007. Sono successe diverse cose quell’anno: scoppia la crisi dei mutui subprime, esce la nuova Fiat 500, il Milan vince la champions league. Succede pure che Steve Jobs presenta il primo iPhone, rivoluzionando il mondo della telefonia mobile e non solo. Ora provate a ricordare chi è stata – se non voi – la prima persona di vostra conoscenza a mostravi con orgoglio l’acquisto di un iPhone. Molto probabilmente vi è venuto in mente un appassionato di tecnologia, un ‘pionere’, colui o colei che più di tutti ama esploratore e sperimentare le novità prima degli altri. Un nerd, o un classico secchione. Non necessariamente l’amante del brand, della marca esclusiva, quello che veste sempre firmato.

Questo dettaglio è rivelatore nell’interpretare le cause alla base del recente tonfo di Apple, partendo dal presupposto che – a mio avviso – manchi qualcosa di importante nelle analisi circolate in questi giorni.

Premessa: il Fatto

Il 2 gennaio 2019 Apple conosce la peggior giornata della sua storia recente: a seguito di un significativo ribasso delle vendite di iPhone previste in Cina (da 93 ad 84 miliardi di dollari per il primo trimestre del 2019), il titolo crolla in un sol giorno del 10% circa, scendendo a 144 dollari, quando solo ad ottobre 2018 ne valeva 233. Ciò significa perdere ben 452 miliardi di capitalizzazione: più di quanto vale Facebook, tre volte Mc Donalds. In un solo mese Apple passa dal primo al quarto posto delle imprese americane più capitalizzate (dopo Microsoft, Amazon, Google). Apple non è solo iPhone e non è solo Cina, ma si parla di un prodotto che da solo rappresenta il 63% del fatturato totale, nonché del mercato con più potenziale di crescita, ossia ciò che interessa davvero agli investitori.[1]

Non è un bel momento per Tim Cook, ceo di Apple

Non è un bel momento per Tim Cook, ceo di Apple

Le analisi circolate fino ad ora: ragionevoli, ma manca qualcosa

Ma perché un tonfo così roboante? Cosa succederà ora? Mi sono preso la briga di leggere tutte le principali analisi pubblicate sul tema. Fra le cause più citate vi sono anzitutto quelle di contesto, dove Apple c’entra poco, ovvero il rallentamento nei consumi dell’economia cinese, da leggere congiuntamente alle tensioni generate dalle politiche di dazi del governo Trump.

In secondo luogo, vi è chi considera discutibili le strategie di adattamento al mercato asiatico di Apple: ad esempio, è molto diffusa la critica ai prezzi stellari del melafonino, giudicati troppo alti, congiuntamente alla decisione di eliminare in Cina i modelli SE, quelli più economici. Il tutto mentre le imprese concorrenti locali – come Huawei e Xiaomi – ormai offrono prodotti con performance paragonabili a prezzi ben più competitivi. In un mercato, quello cinese, che sta diventando sempre più attento a cosa e quanto acquista. Non solo: l’ecosistema Apple è notoriamente chiuso, e ciò mal si coniuga con il dominio cinese di WeChat. Questa piattaforma non è solo messaggistica, è un sistema che integra svariati servizi, compreso l’e-payment (da notare che i taxisti di New York oggi rifiutano come sistema di pagamento ApplePay, ma accettano WeChat).

Una terza classe di considerazioni piuttosto diffusa prescinde dal mercato cinese: Apple avrebbe esaurito la sua vena innovativa e dipende troppo dal solo prodotto iPhone (come detto sopra, 63% del fatturato), in un settore ormai alla piena maturità (smartphone). Infine, c’è chi ritiene che la decisione di lasciar sostituire la batteria a basso prezzo abbia convinto molti a rinviare l’acquisto di un nuovo device, oltre a rappresentare una sorta di ammissione di colpa che ha indispettito non pochi consumatori.

È questo un quadro esaustivo? A mio avviso no, non lo è. In primo luogo ci si sta focalizzando un po’ troppo sulla pagliuzza nell’occhio della mela morsicata e troppo poco sulla trave conficcata sul futuro dell’economia globale. I dati ufficiali ci dicono che la Cina è cresciuta nell’ultimo anno del 6.5%: meno del solito, ma comunque un livello di crescita invidiabile. Tuttavia c’è chi sostiene – come Bloomberg – che le statistiche sul PIL cinese non siano affidabili, che la situazione del dragone sia ben peggiore. Ne consegue che i dati di Apple potrebbero essere una proxy più credibile di quanto stia effettivamente avvenendo in tale mercato.

Altri dati confermano questa sensazione. Si consideri il ‘Single Day’, il giorno per eccellenza dello shopping cinese (11 novembre) che vale tre volte il volume d’affari di Black Friday e Cyber Monday insieme nel resto del mondo. Quest’anno le vendite del Single Day sono cresciute del 24%: un rallentamento pazzesco rispetto al +80% degli anni passati (fonte: Mc Kinsey 2019). In sintesi e come afferma anche Alberto Forchielli, il tonfo di Apple potrebbe essere una brutta notizia non tanto per Apple, quanto piuttosto per l’economia globale.[2]

Questo a livello di contesto generale. Tuttavia, vorrei focalizzare la mia analisi sulla vicenda specifica di Apple e su cosa potrebbe significare per il futuro dell’economia digitale. Parliamo di un’azienda che rappresenta un caso straordinario di strategia di differenziazione, ossia il tentativo di offrire qualcosa di unico (o percepito come tale), così da convincere il consumatore a pagare prezzi elevati. Basti pensare che Apple sa farsi pagare mille euro e più per uno smartphone che ha un costo di produzione, secondo alcune stime credibili, pari a circa 150 euro.

La trasformazione di Apple nel tempo: da strategia d’innovazione a strategia di brand

Fin qui tutti d’accordo. Diventa però molto importante ricordare che vi sono svariati modi per perseguire una strategia di differenziazione, mica uno solo. Apple in passato ha scelto di concepire la differenziazione come ‘Innovazione’. Si pensi al noto slogan “Think Different”, oppure al più recente e un po’ snob: “If you don’t have an iPhone well… you don’t have an iPhone”.

Quello che non emerge con chiarezza nelle analisi sopra richiamate è che Apple nell’ultimo decennio ha virato in modo deciso – volutamente o forse forzatamente – verso un differente concetto di diversificazione, oggi basato soprattutto su brand e immagine. Nel 2008 il brand Apple era il n.24 al mondo e valeva 13 milioni di dollari (al primo posto vi era Coca Cola). Dopo una scalata pazzesca, nel 2013 arriva al primo posto e mantiene il comando fino ad oggi quando il solo asset marchio vale 214 milioni, contro i 155 milioni di quello al secondo posto, ossia Google (per curiosità, Coca Cola è ora al quinto posto).[3]

Certo, vi sono punti di contatto rilevanti fra la strategia basata sul brand e quella basata sull’innovazione, ma non sono la stessa cosa.[4] Si torni all’esempio usato in apertura: oggi l’acquirente tipo di un iPhone, in prevalenza, non è più il pioniere che vuole essere sorpreso. È quello che intende rimarcare il proprio status o accedere ad una cerchia sociale che ammira, quello a cui piace che gli altri notino il morso sulla sua mela. In breve, Apple è diventata una sorta di Louis Vuitton dell’hi-tech. Al tempo stesso, il vostro amico nerd che nel 2007 faceva la fila davanti all’Apple Store ora probabilmente ha un Huawei o un OnePlus (peraltro prodotti da aziende cinesi), i quali incarnano meglio il paradigma moderno di innovazione che coniuga alte prestazioni, effetto “wow”, ma anche prezzi accettabili.

Pertanto, non è vero che il problema dell’iPhone è il fatto di essere troppo caro, tutt’altro. È una questione di target commerciale (come mi piace quando le buone vecchie basi di marketing spiegano fenomeni complessi…). Apple si è nei fatti posizionata quale riferimento per chi vuole il prodotto firmato. Paradossalmente, quindi abbassare i prezzi potrebbe significare ottenere l’effetto opposto: cosa credete succeda ad Hermes o Gucci se cominciassero a vendere borse a 99 euro? Il problema è che mentre Apple nell’ultimo decennio compiva questa trasformazione, il mondo è cambiato e le nuove generazioni ora sono attente a valori differenti, fra l’altro prestano sempre meno attenzione alla marca, specie in ambito tecnologico.

Ancora: la strategia basata sull’immagine vive di fidelizzazione, di consumatori che continuano ad acquistare dalla stessa azienda. L’Asia è un mercato con cultura e stili di consumo diversi. In Cina il livello di fidelizzazione medio è pari al 60% Cina, contro il 90% in USA [5].

Queste dinamiche non possono essere ignorate se si vuole comprendere a fondo quel che sta avvenendo. In sintesi, io non so se Apple abbia esaurito o meno la sua vena innovativa, ma di certo ha virato verso una strategia differente di cui ora è rimasta prigioniera, dove abbassare i prezzi potrebbe essere considerato illegale da qualche giudice troppo zelante in quanto assimilabile ad un vero e proprio suicido assistito. Così come sarebbe pericoloso aprire ad integrazioni con WeChat o altre amenità del genere, perché significherebbe diventare “come tutti gli altri” e “mescolarsi con gli altri”. Tipo una capsule collection di Louis Vuitton realizzata con H&M: ve la immaginate? Io no.

Cosa attenderci per il prossimo futuro: Servizi firmati e Digital Healthcare Wearables

Alla luce di queste considerazioni, come potrebbe ora muoversi Apple e quali i possibili trend futuri da tenere sott’occhio? Tim Cook deve decidere: continuare su questa strada – differenziazione intesa quale brand esclusivo – o tornare ad essere un punto di riferimento per i brufolosi.

Un’opzione in linea con la strategia attuale sarebbe quella di puntare sul business del servizi. Nel 2018, i servizi di Apple hanno fruttato 37 miliardi di dollari: lontano dai 166 di iPhone ma comunque non male considerando i 19 di iPad o i 24 dei Mac. È credibile vi sia un potenziale inespresso molto rilevante. Dai servizi Apple introita meno di 30 dollari all’anno per utente, quando il dato medio per Amazon è 99 dollari e 120 per Netflix. Se Apple riuscisse a raggiungere lo standard di 100 dollari per utente, questo business passerebbe dal contare il 14% al 50% del fatturato complessivo: una svolta. Secondo Morgan Stanley nei prossimi cinque anni i servizi rappresenteranno oltre il 50% dell’incremento di fatturato per questa azienda, mentre, iPhone conterà per 22% di tale incremento (quando negli ultimi 5 anni ha pesato per l’86%).

Ma quali servizi? Sul cloud i concorrenti sono molto agguerriti, specie Microsoft che grazie al nuovo CEO Nadella si è rilanciata proprio grazie a questa tecnologia. Fonti accreditate dicono che Apple vuole insistere (ancora) su AppleTv, stavolta ripercorrendo le orme di Amazon e Netflix ossia producendo contenuti originali. Queste strade comunque incarnano in buona parte la logica di valorizzazione del brand, quindi in continuità con la strategia sopra descritta.

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Vi è però una gustosa eccezione, la quale potrebbe fare da apripista ad un rinnovamento epocale di settore, come Apple ci ha già abituati in passato. Personalmente non sottovaluterei un progetto di Cupertino spesso bistrattato ma che potrebbe riservare delle sorprese: l’Apple Watch, quale grimaldello per introdurre linfa innovativa nel comparto della salute, verso una vera e propria ‘Digital Health’. Un prodotto ad oggi marginale in quanto conta solo l’1% del fatturato complessivo, con però tassi di crescita fra i più elevati in Apple (+50% all’anno).

Difficilmente le vendite del device Watch potranno mai pareggiare quelle degli smartphone, tuttavia ritengo vi sia un enorme potenziale a livello di introiti provenienti da servizi e dalla valorizzazione dei dati legati alla salute. Vero che Apple sta investendo molto su diverse piattaforme tecnologiche, come intelligenza artificiale, cloud e 5G; però ad oggi sono altre le imprese di riferimento in questi ambiti. Mentre Apple è l’unica azienda ad avere un device approvato dall’FDA [6], per l’appunto Watch. Un dettaglio non da poco, che potrebbe rappresentare il punto di partenza per ambire a diventare leader mondale dei Digital Health Wearables (non solo orologi…), un business enorme dove le potenzialità principali sono appunto in tema di servizi e di valorizzazione dei dati.

Una sfida senza dubbio molto complicata, ma non impossibile per una realtà con i mezzi di Apple. Si andrebbe a valorizzare il trend della cosiddetta “Precision Medicine”, un paradigma emergente che re-immagina il sistema sanitario come allargato a nuovi player, da settori diversi, e che grazie alle nuove tecnologie – genomica, intelligenza artificiale, wearables connessi alla rete, 3D printing, etc. – si sviluppa attorno al concetto di servizi personalizzati e previsioni accurate (quindi: prevenzione) basate su dati biologici raccolti durante la vita di tutti i giorni, non solo quando si è malati.

D’accordo, c’è un problema di privacy e disponibilità a condividere dati così sensibili: tuttavia l’argomentazione “Se mi autorizzi ti posso salvare la vita” potrebbe essere di un certo appeal. Proprio la Cina rappresenterebbe un banco di prova interessante, in quanto nazione dove la privacy, per via della loro cultura, è un problema molto meno avvertito che da altre parti del mondo e per via della crescente attenzione verso le competenze dell’occidente in ambito salute.

Nel frattempo, di attesa di nuovi elementi, tenete sottocchio cosa portano al polso i secchioni che vi ronzano attorno.

Twitter @sdenicolai

NOTE

[1] In realtà quanto avvenuto non è una sorpresa per gli osservatori più attenti: nella seconda parte del 2018 Qorvo, Cirrus Logic, Lumentum e AMS avevano annunciato una revisione al ribasso dei piani di produzione. Bastava chiedersi chi fosse il principale cliente di questi fornitori di componentistica elettronica per intuire guai in arrivo in quel di Cupertino.

[2]Si veda anche: https://forbes.it/2019/01/07/cina-alberto-forchielli-apple-economia/

[3] Fonte: Interbrand.

[4] La strategia di differenziazione basata su marchio e immagine fa leva su aspetti simbolici ed esperienziali (emozioni e contesti d’uso): i valori del brand, il senso di apparenza ad essi nonché quanto vogliamo mostrare agli altri. La strategia di differenziazione basata sul concetto di innovazione invece fa leva su leve psicologiche più edonistiche e legate alla sfera del singolo individuo: è per chi ama assaporare il fascio del progresso, da gustarsi magari da soli in camera, oppure per chi vuole avere “super poteri”.

[5] https://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2019-01-03/mercato-cinese-e-innovazione-lenta-tutte-nubi-cielo-apple-120922.shtml?uuid=AEiPan8G

[6] L’FDA è l’organismo americano che autorizza farmici e tecnologie medicali ad entrare sul mercato, fra i più severi al mondo. L’FDA ha approvato (classe II) per Apple Watch il monitoraggio del battito cardiaco e il sistema che rileva irregolarità nel battito stesso e, nel caso, chiama automaticamente un’ambulanza.