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Diseguaglianza, perché serve più crescita per farla diminuire
Chi osserva la diseguaglianza, sulla quale in questi anni sono state scritte autentiche enciclopedie, dovrebbe leggere l’ultima release Istat sulle condizioni di vita delle famiglie italiane. Tratta un’evidenza spesso trascurata. Ossia che probabilmente la strada maestra per diminuire la diseguaglianza sia l’aumento della ricchezza più che l’intervento pubblico. Se i governi favorissero la crescita migliorando le regole del gioco e facendole rispettare, per esempio con un sistema fiscale efficiente, la diseguaglianza diminuirebbe. Non sarebbe necessario preoccuparsi di come redistribuire il reddito.
I dati pubblicati si riferiscono al 2016. Il reddito medio netto annuo delle famiglie è stato di circa 30.000 euro, 2.550 al mese. Il dato è in crescita del 2% nominale rispetto al 2015 e del 2,1% in termini di potere d’acquisto. Nel 2016 i prezzi al consumo sono diminuiti (-0,1%). Il punto è che la crescita di ricchezza, pur riguardando tutte le fasce di reddito, è risultata “più accentuata nel quinto di famiglie meno abbienti″.
L’Istat scrive che “il rapporto tra il reddito equivalente del 20% più ricco e quello del 20% più povero si è ridotto da 6,3 a 5,9”. È rimasto tuttavia “al di sopra dei livelli pre-crisi”. Nel 2007 era 5,2. La perdita complessiva rimane più ampia per chi ha redditi i più bassi (-14,3% dal 2009), a fronte di una media dell’8,5%. La crisi fa aumentare la diseguaglianza, si potrebbe dire, mentre la crescita la riduce.
Non è un principio generale, ma è opportuno tenerne conto. “La crescita del reddito nel 2016 è associata, – sottolinea Istat – diversamente da quanto osservato l’anno precedente, a una riduzione della disuguaglianza”. Il reddito equivalente del 20% più povero è cresciuto infatti del 7,7%. Il reddito del 20% più ricco è aumentato dell’1,9%. Ciò è servito a diminuire la diseguaglianza.
Non solo. Ha avuto un effetto anche sui tassi di povertà che, sebbene elevati, sono migliorati.
Si potrebbe pensare che questo andamento sia una peculiarità italiana. Ma l’indagine dice il contrario. “Anche a livello europeo l’indicatore sintetico di rischio di povertà diminuisce negli anni 2016-2017, passando dal 23,5% al 22,5%”, spiega Istat.
Una specificità italiana, semmai, è che nel nostro paese sembra che la diseguaglianza abbia a che fare con la geografia. Al Sud infatti i cittadini del quintile più basso di reddito sono il 32,9% del totale. Nel Nord Ovest-Est sono il 10-13,4%. Al Centro il 16,2%. Ne è controprova l’indice di Gini, che misura la diseguaglianza, più elevato al Sud (0,334) rispetto al Nord (0,311-0,279 nel Nord Est). L’indice nazionale è 0,327, la media europea 0,303. La famosa questione meridionale. Decenni di interventi pubblici non l’hanno risolta. Forse l’hanno pure peggiorata. Se l’Italia fosse cresciuta di più negli ultimi vent’anni, al Sud oggi starebbero probabilmente meglio.
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