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Spread negativo con la Germania? Ecco come tornare a crescere, in 7 mosse
La storia ci illumina, amplia gli sguardi. Ci conduce per mano e consente di riflettere sul passato. E sul presente. Proprio domenica scorsa sul Sole 24 Ore il presidente dell’Associazione bancaria italiana (ABI) Antonio Patuelli ha spiegato – Quando lo spread spaventava i tedeschi – come lo spread Btp-Bund non è sempre stato sfavorevole all’Italia. Dal 1957 al 1974 è stato negativo: la Germania pagava sui propri titoli di Stato un tasso di interesse superiore a quello riconosciuto dalla Repubblica italiana. Nel 1966 lo spread raggiunse livelli vicini al 3% (300 punti base).
Come è potuto accadere che l’Italia uscita faticosamente dal dopoguerra fosse così credibile? La risposta è ovviamente multifattoriale; sono diversi gli elementi che lo hanno consentito. Il primo sta nella crescita economica italiana di quegli anni – il cosiddetto “miracolo economico” – che non prevedeva lo strumento del deficit. La straordinaria crescita – nel 1959 6,4%, nel 1960 il 5,8%, nel 1961 6,8%, nel 1962 il 6,1% – non faceva assolutamente leva sul debito pubblico, che è rimasto fino al 1970 sotto il 30%. È bene ricordarlo, visto che la ricetta per la crescita negli ultimi trent’anni messa in pratica dai governi di ogni colore politico è stata affidata al deficit pubblico (e debito) crescente.
Per chi evoca le svalutazioni competitive seguite dall’Italia negli anni ottanta, si segnala che negli anni cinquanta e sessanta il cambio rimase fisso (la caduta di Bretton Woods è del 1971). A titolo di cronaca, nel 1960 l’allora governatore della Banca d’Italia Donato Menichella – ispiratore della politica monetaria della ricostruzione e degli anni del grande sviluppo – ricevette dal Financial Times il cosiddetto ”Oscar” della stabilità per la lira.
La ricetta della straordinaria crescita degli anni sessanta è stata spiegata con chiarezza da Pierluigi Ciocca, già membro del direttorio della Banca d’Italia, nel suo notevole “Ricchi per sempre?” (Bollati Boringhieri, 2007): “Il raddoppio del reddito degli italiani in poco più di dieci anni naturalmente non dipese, allora, da un uomo solo. Dipese dal contesto internazionale. Dipese dalla volontà di riscatto, di lavoro e di risparmio, della società italiana. La ‘meccanica’ dello sviluppo economico nell’Italia post-bellica è stata ricostruita: costi contenuti degli inputs, di energia oltre che di lavoro; migliori infrastrutture; riserve di manodopera, anche più qualificata; basso debito pubblico; intensa accumulazione di capitale; riallocazione di risorse da agricoltura a industria; imprese, anche piccole, sollecitate a crescere, a imitare e innovare le tecniche; legame dinamico fra produttività, investimenti, esportazioni”.
Cosa manca all’Italia di oggi?
1. La volontà di riscatto: una parte del Paese lavora in settori protetti, non soggetti alla competizione internazionale. Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro è troppo basso.
2. Siamo nell’epoca del dirittismo (Alessandro Barbano, Troppi diritti, Mondadori 2018, cit.), si invocano diritti, ma i doveri non sono previsti.
3. Il welfare pensionistico ha raggiunto livelli insostenibili (oltre il 16% del Pil) e si vorrebbe ulteriormente aumentarne il carico; non è casuale che alla pessima riforma Brodolini del 1969 abbia fatto seguito un’impennata del debito pubblico (come sostenuto da Carlo Favero in Bocconi la settimana scorsa in occasione degli Stati generali sulle pensioni).
4. La produttività è stagnante; l’impresa nei servizi vive di rendita e non innova; si parla sempre di settore manifatturiero, ma è il settore dei servizi che spesso è chiuso alla concorrenza, si basa su manodopera di bassa qualità, poco scolarizzata.
5. Le imprese rimangono piccole, si ha paura di crescere; solo la media impresa (la grande impresa privata è sparita, sono rimaste poche grandi imprese pubbliche, Eni, Enel, Leonardo, Fincantieri) è in grado di fermare la “fuga dei cervelli”. Perché un ingegnere del Politecnico va a lavorare in Germania o negli States? Perché gli offrono un lavoro ben remunerato all’altezza delle sue competenze.
6. Le imprese familiari italiane dovrebbero fare più ricorso a manager esterni e disegnare regole di governo d’impresa più allineate ai migliori standard internazionali; meno familismo amorale e più competenza.
7. Il peso della criminalità organizzata nel Mezzogiorno non è sostenibile. Deve diventare una priorità del Paese. Senza legalità non c’è sviluppo. Saggiamente Patuelli ricorda la perdita di fiducia nell’Italia quando furono scoperte – grazie a due magistrati di valore, Gherardo Colombo e Giuliano Turone, che indagavano sull’omicidio Ambrosoli – le liste della P2. L’Italia occulta al nord e al sud deve essere contrastata con maggior forza.
Lo spread misura la credibilità di un Paese. Ogni giorno gli investitori italiani e internazionali danno il loro giudizio. È inutile invocare complotti, speculazione internazionale, George Soros o altre amenità. Bei tempi quelli in cui il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi girava con lo spread aggiornato nel taschino (nel dicembre 1998 per poche ore tornò negativo dopo 24 anni). Servono ministri e politiche economiche credibili.
Le chiacchiere stanno a zero.
P.S.: nella dedica al volume “Ricchi per sempre?” Ciocca mi scrisse: “Al dott. Piccone, temo che il ? cadrà e che la risposta sia “no”!”.
Twitter @beniapiccone