Esiste un volto buono del populismo?

scritto da il 20 Novembre 2018

L’autore di questo post è Tammaro Terracciano, Ph.D. candidate presso lo Swiss Finance Institute di Ginevra. La sua maggiore area di interesse è la macroeconomia internazionale –

Sentiamo quotidianamente parlare dei populismi, ma cosa ne sappiamo veramente? Sono tutti uguali? Sicuramente hanno dei tratti comuni, ma al contempo presentano delle grosse differenze. Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

In genere un movimento populista teorizza l’esistenza di un popolo, inteso come un unicum con una moralità superiore, in contrapposizione a una minoranza che minaccia la sua integrità e il suo benessere. Questa minoranza è l’élite economico-finanziaria per i movimenti populisti di sinistra o le minoranze etniche e gli immigrati per quelli di destra. Entrambi tendono ad ascrivere demagogicamente tutte le responsabilità del proprio disagio ad un qualcosa di esterno, che prescinde dalla discrezionalità del popolo.

Barry Eichengreen, professore all’Università della California a Berkeley, identifica nella corruzione il denominatore comune di tutti i movimenti populisti. Infatti, secondo la logica populista, tutta la classe politica è trasversalmente corrotta da quella minoranza che dirotta le leggi a proprio favore, a scapito del popolo onesto e moralmente superiore. Chiaramente, la crisi del 2008 ha fomentato questo sentimento e per tanti versi la cosa è legittimante comprensibile. Inoltre, Ben Bernanke, ex-presidente della Federal Reserve americana, sottolinea che il populismo non nasce con la crisi del 2008, bensì anni addietro con la stagnazione dei salari reali e con la progressiva diseguaglianza che si è creata.

Dani Rodrik, professore all’Università di Harvard, approfondisce ulteriormente la questione distinguendo la dimensione politica da quella economica, in quanto queste due cose non vanno sempre di pari passo. Infatti, nella matrice sotto, Rodrik isola diverse combinazioni di politiche liberali (moderate) e illiberali (non-moderate) con misure economiche conservative e non conservative.

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Nei casi (a) e (b) siamo in presenza di forme illiberali e con tendenze autoritarie. È quindi evidente che queste situazioni sono sempre negative, in quanto possono essere estremamente pericolose.

I casi più interessanti sono quelli in cui vi è moderazione politica e differenti tipologie di moderazione economica ((c) e (d)). In generale, la necessità di avere un certo grado di moderazione economica deriva da un naturale disallineamento di orizzonti temporali e dunque di interessi. Infatti, i politici hanno incentivi di breve periodo, poiché devono rendere conto ai propri elettori alle prossime elezioni, e ciò li può portare a fare politiche favorevoli nel breve, ma insostenibili e dannose nel medio-lungo termine. Per questo motivo determinate funzioni sono delegate ai cosiddetti enti terzi, i cui obiettivi hanno orizzonti temporali più lunghi. Un esempio classico di ente terzo è una Banca Centrale indipendente, la quale può contenere l’inflazione nel medio periodo perché non ha pressioni dal governo di turno nel breve termine.

Questa divisione di ruoli tra organi politici e tecnici è virtuosa quando chi detiene il potere è la maggioranza della popolazione. Ci sono però casi in cui il potere è temporaneamente in mano a gruppi ristretti che favoriscono i loro interessi non solo nel breve, ma anche nel lungo termine, attraverso impegni che perdurano più del loro mandato, di fatto limitando l’operato dei successivi governi. La concomitanza di una situazione del genere con eventi di coda negativi (come la crisi), porta a dannose distorsioni del sistema. Tornando all’esempio della Banca Centrale, si può ribadire che il compito di contenere l’inflazione è utile e fondamentale, ma in periodi di bassa inflazione (dovuti ad esempio a shock negativi) queste regole possono portare a politiche economiche con tendenze deflattive. In altre parole, in momenti avversi un sistema del genere soffre le sue inadeguatezze a scapito della collettività ed è difficile per i governi risolvere la situazione.

Rodrik definisce populismo economico proprio le politiche in reazione a queste fallaci. Infatti, ci fa notare che il New Deal di Roosevelt, in risposta alla Grande Depressione, potrebbe essere oggi etichettato come populista, ma col senno di poi sappiamo che è stata una politica lungimirante e positiva. Chiaramente, questa forma di populismo differisce molto dalle altre e può avere delle implicazioni decisamente positive. Ed è proprio per questo motivo che Rodrik sostiene che il populismo economico non è necessariamente negativo.

Un esempio contemporaneo è probabilmente l’architettura macchinosa e inefficiente dell’Unione Europea, che ha portato a politiche economiche miopi, che non hanno dato i risultati sperati. Questi limiti sono stati evidenziati anche dalla comunità scientifica e, tra gli altri, anche i premi Nobel Joseph Stiglitz e Paul Krugman hanno espresso le loro perplessità in varie occasioni. È chiaramente difficile definire quest’ultimi populisti in senso stretto, ma forse non sono troppo lontani dalla classificazione di Rodrik.

schermata-2018-11-20-alle-11-37-32È bene però specificare, per evitare qualsiasi fraintendimento, che ciò non significa che tutto quello che viene proposto in termini di politica economica da movimenti populisti sia positivo per definizione. Il rischio di soluzioni demagogiche è dietro l’angolo, anche perché queste tematiche vengono spesso storpiate e fatte proprie da movimenti raffazzonati e con tendenze autoritarie. Ed è proprio per questo motivo che è importante riconoscerli.

La visione di Rodrik è oggi molto utile perché ci permette di comprendere e interpretare il populismo economico come tentativo di risposta a una legittima domanda di prosperità, crescita e redistribuzione. In questo senso crescita e redistribuzione diventano strumenti fondamentali per affrontare (e prevenire) i populismi, anche quelli a deriva autoritaria e razzista. Parte dell’emorragia di voti proveniente dai partiti tradizionali, specialmente quelli social-democratici, deriva proprio dalla mancata comprensione di questo fenomeno. Oggi ormai, queste realtà politiche sono arroccate in torri d’avorio, circondate da movimenti populisti in fortissima ascesa.

In altre parole, la riflessione di Rodrik ci suggerisce che i populismi non sono tutti uguali: nonostante dei denominatori comuni, ci sono tante differenze. Forse, se avessimo colto prima le loro espressioni genuine, la politica mondiale di oggi sarebbe molto diversa.

Twitter @TerraccianoTamm