categoria: Vicolo corto
Il peggior male dell’Italia? Mancano voglia ed entusiasmo. Anche nel turismo
Pubblichiamo un post di Raffaello Zanini, fondatore del portale Planethotel.net. Laureato in urbanistica, assiste gli investitori del settore turistico alberghiero con studi di fattibilità, consulenza ai progettisti, selezione di opportunità –
Uno dei peggiori mali di cui soffre l’Italia è la mancanza di entusiasmo, una rassegnazione oramai cronica, sia della gente normale, che degli italiani “facoltosi” che potrebbero investire e non lo fanno, di lì il mantra che ripeto nei miei tweet: “Manca la voglia”.
Credo che la consapevolezza che si debba intervenire sulla “voglia” sia il motivo di alcune scelte economiche di questo governo, che liberisti laureati non condividono, ma che sono sicuro troverebbero giustificazione nelle teorie raccontate 25 anni fa da Daniel Goleman nel suo Intelligenza Emotiva.
Se è vero che dare soldi a nullafacenti è quanto di peggio, perché il rischio reale è quello di perpetuare una situazione di apatia, invece dare soldi a nullafacenti perché si lavino, si pettinino e vadano ad un colloquio di lavoro, è certamente un’ottima cosa. Se serve a far tornare la voglia e a muovere il culo (come dice Forchielli), partecipare ad un corso di formazione, e abituarsi ad alzarsi alle 7 alla mattina, ben venga.
Qualche anno fa scrissi di Massimo Amedeo Giannini, che dopo il disastroso terremoto di San Francisco iniziò a “prestare denaro a chiunque avesse la capacità e la volontà di lavorare”. Giannini, che è il fondatore della Bank of America, non era uno stupido, non prestava soldi per perderli, ma conosceva i propri debitori, ai quali chiedeva lavoro, onestà e fiducia, che sono tre pregi piuttosto scarsi in Italia, scarsi, ma non assenti.
Si deve partire da lì, dall’onestà, dall’entusiasmo, e dal lavoro.
Ritengo che prioritariamente andrebbero favoriti, anche nel turismo, investimenti di rischio nelle startup da parte di privati cittadini e aziende. Invece ancora oggi la tendenza dei politici è quella di distribuire soldi a pioggia spesso a fondo perduto, che non daranno origine (se non per caso) a un vero sviluppo stabile. Un solo esempio, per tutti: recentemente la Regione Toscana ha previsto contributi a fondo perduto a agricoltori che intendono realizzare, nella propria azienda, investimenti, materiali ed immateriali, finalizzati a diversificare l’attività agricola (in pratica per fare dell’agriturismo). Si investe gratis con i soldi della Regione.
Al contrario fino al 31.12.2016 la legislazione italiana in tema di startup – tesa a favorire l’investimento dei Business Angels e dei Venture Capitalist – era molto deficitaria, e per questo inefficace, facendoci perdere molti anni preziosi.
Dal 1 gennaio 2017 le cose sono un po’ migliorate. Ma confrontando la legislazione inglese, in vigore da alcuni anni, con quella italiana appare chiaro anche a me, che non sono commercialista, che quella inglese è molto più favorevole e agile: permette di ridurre le tasse con un benefit pari al 50% dell’investimento (fino a 100mila sterline, che scende al 30% per investimenti fino ad 1 milione di sterline all’anno); inoltre garantisce una tassazione nulla su eventuali utili fatti rivendendo le quote della startup. I programmi si chiamano EIS e SEIS.
La legislazione italiana è più complessa e permette un minore vantaggio per l’investitore sia oggi che in futuro, quando dovesse rivendere le quote.
Il suggerimento quindi è copiare da chi ha successo, e farlo in fretta, ne abbiamo bisogno, perché anche nel turismo gli investimenti languono.
Degli investimenti nel turismo mi sono occupato negli anni scorsi qui e qui segnalando un fenomeno immutato, e cioè che gli investimenti nel turismo sono costantemente più bassi in Italia che in Francia e Spagna.
Da qualche anno, poi, sono ripartiti gli investimenti sulla sponda est dell’Adriatico, anche da parte di soggetti italiani, aumentando la concorrenza estera alla nostra industria turistica. Ad esempio, la piccola Croazia nel 2017 ha contato investimenti turistici pari ad un decimo di quelli misurati in Italia, con un’economia turistica però pari a meno di un ventesimo di quella italiana.
Il grafico qui sotto mette a confronto gli investimenti di Spagna, Francia e Italia dal 2008 ad oggi, con una previsione al 2028. La lentezza del nostro paese è evidente.
Possiamo discutere quanto si vuole sulla fonte dei dati, sulla loro accuratezza, ma i numeri sono troppo distanti per non far preoccupare e per non richiedere una reazione.
La tabella in basso mostra come l’Italia sia ancora nel gruppo di testa per contribuzione di Travel e Tourism al Pil totale, un decimo circa del Pil italiano viene dal settore turismo e viaggi, ma i dati degli investimenti sono e rimarranno bassi a meno di un deciso cambiamento di rotta.
La guida dell’industria turistica italiana è stata per anni molto confusa, anche perché condivisa tra lo stato e le regioni, e perché il ministero è stato ristrutturato tre o quattro volte negli ultimi anni, ogni volta dovendo ricominciare con una nuova strategia. Inoltre ENIT ha dovuto superare le traversie che tutti noi conosciamo. Nel frattempo si sono persi tempo, e soldi, posti di lavoro, aziende, eccetera.
L’infografica qui sotto mette in confronto alcuni dati macro di Italia e Spagna.
Per quanto la Spagna abbia un fatturato turistico del 20% inferiore a quello italiano, la sua crescita degli ultimi decenni ce la fa considerare uno dei benchmark più significativi. Il confronto mostra due paesi che si affidano prevalentemente al turismo leisure, ma con una proporzione tutt’affatto diversa nell’origine dei flussi turistici: mentre per gli spagnoli il turismo domestico rappresenta solo il 44% del totale, per l’Italia esso rappresenta ben il 76%. In altre parole solo il 23% dei turisti che visitano l’Italia sono stranieri, e questo mentre studi e ricerche mostrano come l’Italia sia il paese più noto e più sognato dai turisti di tutto il mondo. Questo dato apre a mille considerazioni, ma qui desidero concentrarmi solo su un’opportunità. Se vogliamo far crescere il numero dei turisti stranieri che visitano l’Italia, dobbiamo predisporre le strutture ricettive adatte, e questo può avvenire solamente con una spinta agi investimenti, soprattutto privati.
Professionalmente incontro investitori soprattutto stranieri molto interessati ad investire in Italia, ma che si scontrano con tre problemi.
1. La quasi completa assenza di progetti pronti, cantierabili. In Italia non esiste un organismo che si proponga di strutturare delle proposte attorno cui attrarre investitori (è noto come io sia critico verso certe esperienze di CDP e Invitalia);
2. Il rischio che l’investimento immobiliare possa essere oggetto di tassazioni impreviste, data la natura erratica delle politiche fiscali italiane ;
3. Le lungaggini della burocrazia e la complicazione delle norme, in materia di lavoro o di contratti di gestione.
Tutto questo ha degli effetti negativi sul mercato degli immobili turistico alberghieri.
Ecco allora la mia proposta.
Suggerisco di puntare su un progetto, un solo grande progetto turistico (nuovo, aggiuntivo) per regione, dove concentrare tutti gli sforzi per i prossimi 5 anni, mettendo a disposizione capacità di programmazione e di coordinamento di tutti gli enti che intervengono, eliminare lacci e lacciuoli, e lì attrarre una grande massa di denaro privato anche grazie all’istituzione di zone speciali, in accordo con la EU (all’estero di denaro ce n’è molto, molto più di quello che qui in Italia i vari enti pubblici si accaparrano per gestirlo e regalarlo a qualche amico).
È un progetto ambizioso, volto a creare entusiasmo attorno alla nostra industria turistica, ma serve un ministro pratico che ci creda e non pensi solo ai fari, alle case cantoniere, al turismo dei cani e gatti, come hanno fatto gli ultimi inutili ministri del turismo. Si può fare.
Twitter @PLANETHOTEL_NET