A chi conviene la pace fiscale?

scritto da il 03 Novembre 2018

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, giudice onorario del Tribunale di Latina –

Dopo il caos sulle presunte modifiche apportate da “ignoti” al disegno di legge sulla cosiddetta pace fiscale, il Governo ha trovato la quadra ed ha emanato il D.L. 119/2018, introducendo delle interessanti misure che, tuttavia, necessitano di modifiche in sede di conversione in legge, almeno a parere di chi scrive.

Partiamo dalla spiegazione, delle principali agevolazioni contenute nel provvedimento, ovvero la rottamazione delle cartelle e la chiusura delle liti fiscali.

La misura più ampia, che riguarda una platea di contribuenti maggiore, è certamente la cosiddetta “rottamazione ter”, attraverso cui è possibile rottamare le cartelle esattoriali (per ruoli consegnati entro il 31 dicembre 2017) senza corrispondere sanzioni e interessi. Le novità principali della rottamazione sono due: in primis la possibilità di pagare in 5 anni, con 2 versamenti semestrali l’anno (31 luglio e 30 novembre di ogni anno). Così si pone rimedio al principale difetto della precedenti rottamazioni, ovvero il dover pagare il proprio debito in scadenze temporali troppo brevi e ravvicinate, circostanza che aveva portato molti contribuenti a decadere dal beneficio.

E sotto questo profilo si introduce la seconda novità: possono accedere alla rottamazione ter anche i contribuenti decaduti dalla prima rottamazione (senza dover pagare alcunché della vecchia rottamazione) e anche quelli che hanno aderito alla seconda rottamazione (in questo caso, si devono pagare entro il 7 dicembre 2018 le rate scadute della seconda rottamazione).

pacefiscale

Altro tassello della definizione agevolata è lo stralcio delle cartelle antecedenti al 2010, di importo inferiore a mille euro. Per queste, l’annullamento sarà automatico ed è una misura ben gradita, visto che i costi per il recupero di tali somme eccederebbero le entrate potenziali.

Veniamo, poi, alla definizione delle liti fiscali, ovvero alla possibilità di definire le partite con il fisco, per i contribuenti che hanno proposto ricorso contro l’Agenzia delle Entrate, in relazione ad avvisi di accertamento, cartelle e quant’altro di natura tributaria. In questo caso, lo sconto riguarda soltanto sanzioni e interessi, salvo che il contribuente abbia vinto il ricorso in primo o in secondo grado: in caso di vittoria in primo grado, vengono scontate al 50% anche le imposte accertate, mentre in caso di vittoria in secondo grado, lo sconto diventa dell’80%.

Questa differenziazione appare inopportuna, poiché reca una discriminazione tra pronunce giurisdizionali che non trova la propria ragion d’essere nell’ordinamento tributario. Gli effetti di annullamento di un accertamento, infatti, sono gli stessi sia che l’atto sia stato annullato in primo grado, sia che l’atto sia stato annullato con sentenza di secondo grado: e, in particolare, tanto nell’uno quanto nell’altro caso, nessuna somma è più dovuta al fisco (se non fino alla riforma della sentenza, concetto che vale sia per la sentenza di primo grado, che per quella di secondo grado).

Oltre che priva di logica, la differenziazione dello sconto in base al grado di giudizio di accoglimento è anche un disincentivo ad aderire alla misura per chi ha ottenuto una sentenza di primo grado che, nonostante abbia avuto ragione dinanzi ad un organo giurisdizionale, si troverebbe a pagare il 50% dell’imposta, ottenendo quasi lo stesso trattamento rispetto ad un contribuente che abbia perso sia in primo che in secondo grado.

Facciamo un esempio per capire meglio. Un contribuente che ha perso in primo e in secondo grado, ricevendo quindi un doppio stop dalle commissioni tributarie, potrebbe definire la lite pagando soltanto l’imposta, con sconto di sanzioni e interessi che, nella maggior parte dei casi, valgono circa il 50% del totale dovuto al fisco.

Il contribuente che, invece, ha vinto in primo grado, ottiene del pari lo sconto di sanzioni e interessi (che abbiamo ipotizzato essere pari al 50% del totale dovuto), a cui deve aggiungere il pagamento del 50% dell’imposta in luogo del 100%: ovvero, a differenza del contribuente che ha sempre perso, quello che ha vinto ottiene soltanto uno sconto del 50% sul 50% residuo da pagare.

In definitiva, a mero titolo esemplificativo, chi ha perso in entrambi i gradi pagherebbe il 50% del dovuto. Chi ha vinto in primo grado, pagherebbe il 25% del dovuto. Una disparità, questa, che non trova conforto nell’ordinamento e nella logica, atteso che, senza il condono, il contribuente che ha perso dovrebbe pagare il 100%, mentre quello che ha vinto in primo grado non dovrebbe pagare (al momento) nulla.

Più che un’offerta di pace, si lamentano i professionisti di settore, pare una richiesta di resa anche per chi ha vinto: in questo senso, lo sconto per chi ha attivato una lite col fisco poteva e doveva essere più consistente (se non altro perché si tratta di una pretesa che è per sua natura “in dubbio”, vista l’impugnazione, rispetto a chi invece è rimasto inerte davanti ad un atto dell’amministrazione finanziaria, facendolo divenire definitivo e quindi di sicura debenza, obbligo di dover versare una somma).

Proseguendo nel filone della “scontistica”, poi, è auspicabile che nell’iter di conversione del decreto trovi spazio il saldo e stralcio delle cartelle per i contribuenti meno abbienti, provvedimento che, ricordiamolo, era stato inserito nel contratto di governo. In base a tale misura, i soggetti in difficoltà economica (testimoniata da un ISEE molto basso o da altri indicatori) potrebbero definire le proprie pendenze con tre aliquote che taglierebbero anche la quota capitale, oltre che sanzioni e interessi, con il pagamento del 6%, del 10% o del 25% della cartella in base alla specifica situazione economica.
Questa definizione, oltre che essere doverosa poiché inserita nel contratto di governo, pare opportuna anche perché diretta a quella parte “debole” della popolazione, che è cosa ben diversa dai grandi evasori a cui nessuno (si spera) intende fare un piacere.