categoria: Res Publica
La lezione di Bankitalia al governo. “Prediche inutili”? Speriamo di no
Il mese scorso il direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi, in una lectio magistralis all’Università Ca’ Foscari a Venezia ha incentrato il suo intervento sull’importanza della divulgazione nelle cose economiche. Nella premessa Rossi non ha nascosto le sue preoccupazioni: “Gli studiosi oggi hanno un dovere di divulgazione del loro sapere, che è diventato impellente, soverchiante […] Prima che sia troppo tardi”. Come contributore fin dagli albori di Econopoly faccio mia questa riflessione, consapevole che la divulgazione economica sia diretta a una migliore civile convivenza.
Rossi, per andare in concreto, ha posto l’esempio dell’Europa, considerata la causa dei nostri mali (Laura Castelli, vero e proprio eponimo delle sacche di ignoranza presenti nel M5s ha ribadito l’altra sera a Ottoemezzo da Lilli Gruber la necessità di un referendum sull’euro): “Il luogo comune – impreciso e fuorviante – recita che l’economia italiana potrebbe essere prospera e felice se solo l’Europa, per stolidità teutonica, e i mercati, per occasionali antipatie politiche, non le imponessero una camicia di forza finanziaria”. Affermazione, dice Rossi, caratterizzata da “grani di verità e tonnellate di falsità”.
Il problema dell’Italia è la bassa produttività. Non siamo abbastanza efficienti, sprechiamo risorse e per raggiungere una data quantità si pagano costi maggiori. Il premio Nobel Paul Krugman pensa che “la produttività non sia tutto, ma nel lungo periodo quasi tutto”.
Nell’intervento di ieri alla giornata mondiale del risparmio il governatore Ignazio Visco ha ribadito quanto sia decisiva la produttività e quanto poco possa fare la spesa pubblica corrente (il cui largo utilizzo non ha mai funzionato negli ultimi 30 anni): “Il divario di crescita tra l’Italia e il resto dell’area dell’euro è un problema strutturale che non può essere risolto con politiche di stabilizzazione monetaria e un’espansione del bilancio pubblico. La sua causa principale è la bassa produttività delle imprese, che hanno risposto con ritardo al drastico cambiamento tecnologico avviatosi un quarto di secolo fa: in questo periodo le imprese italiane hanno innovato in misura generalmente insufficiente e sono cresciute poco” (poco dopo Visco scrive peraltro che “le condizioni per fare impresa sono meno favorevoli che nel resto d’Europa”).
Il governo persiste contro tutto e tutti (Commissione europea, FMI, Istat, Ufficio parlamentare di bilancio-UPB). Trova ogni giorno capri espiatori. Se la prende con l’Europa che giustamente non crede che con maggiori debiti si risolvano i problemi strutturali italiani. Fortunatamente, nel senso di enforcement efficace, sono usciti di recente i dati preliminari Istat sulla crescita del terzo trimestre. Come temevano i più accorti analisti della congiuntura, l’economia italiana si è fermata. E come poteva essere altrimenti se ogni giorno che Dio manda in terra gli esponenti governativi esprimono opinioni senza alcun senso compiuto? Generano una quantità di incertezza da far allargare gli spread perfino con la Grecia.
Visco non fa sconti: “Dalla fine di maggio (ossia dai giorni in cui sono iniziate a uscire indiscrezioni sul contratto del cambiamento, ndr) il costo che le banche sopportano per raccogliere fondi sotto forma di obbligazioni – approssimato con i rendimenti dei titoli sul mercato secondario – è più che raddoppiato; entro il 2020 giungeranno a scadenza obbligazioni bancarie per 110 miliardi, circa il 40 per cento di quelle attualmente in circolazione. L’aumento del rischio sovrano si è riflesso anche sulle quotazioni azionarie delle banche che, dopo essere cresciute del 13 per cento tra l’inizio dell’anno e la metà di maggio, si sono successivamente ridotte del 35 per cento. Questi andamenti finiscono per incidere negativamente sul costo e sulla disponibilità di credito per le famiglie e le imprese”. È così difficile da capire che se cresce il costo del capitale delle banche, salirà anche il costo di mutui e finanziamenti per le imprese?
Le dichiarazioni contano eccome. E modificano le aspettative del mondo economico, delle imprese, degli intermediari finanziari, dei mercati (bene ha fatto Rossi a dire che “mercati vuol dire risparmiatori”, visto che se ne sentono di tutti i colori). Ancora il pervicace governatore: “E’ difficile immaginare che una riduzione della ricchezza delle famiglie, maggiori difficoltà per le imprese di accedere al credito e di investire, una minore capacità di intervento del settore pubblico non abbiano conseguenze di rilievo per l’attività economica”.
Nel suo recente volume Anni difficili (il Mulino, 2018), Visco scrive, come fosse un monito: “Bisogna avere sempre presente il rischio gravissimo di disperdere in poco tempo e con poche mosse il bene insostituibile della fiducia nella forza, economica e civile, del nostro paese e nella solidità del nostro risparmio”. La fuga degli investitori esteri da borsa italiana e Btp parla da sola.
Come fa un governo a fare delle previsioni senza tenere in considerazioni le aspettative? C’è una letteratura sconfinata sugli effetti depressivi di politiche economiche incerte. Nel 2018 le stime parlano di una crescita dell’1,2%, obiettivo quantomeno ambizioso. Visco scrive: “La crescita del prodotto dovrebbe essere nell’ordine dell’1% quest’anno”. In relazione all’anno prossimo stimare una crescita dell1,5% è da fantascienza. Con il commercio internazionale e il mondo intero che rallenta, la nave Italia dovrebbe aver la forza di accelerare e andare controtendenza. Ma in quale film? Visco: “La crescita del prodotto dovrebbe poi ridursi nel 2019” (nell’audizione alla Camera, la Banca d’Italia ha stimato una crescita dello 0,9%).
Non si era mai visto a memoria d’uomo un governo così avverso al mondo delle imprese, al business, ai mercati, alla gente che lavora, agli intermediari finanziari, ai risparmiatori. Difficile pensare di crescere economicamente se gli imprenditori vengono definiti “prenditori” dal ministro del Lavoro Luigi di Maio. Non si possono che condividere le parole del presidente di Assolombarda Carlo Bonomi, che alla recente assemblea ha detto con voce ferma: ”Noi siamo un pezzo essenziale della società italiana. Noi reggiamo l’Italia sui mercati internazionali con il record storico dell’export conseguito nel 2017. Noi diamo lavoro a milioni di italiani. Noi sosteniamo in misura importante, con le nostre tasse, gli 840 miliardi di spesa pubblica italiana. Dalla crisi non siamo usciti per diritto divino. Ne siamo usciti grazie soprattutto all’impegno e al sacrificio di migliaia di imprenditori italiani, e di tutti i nostri collaboratori”. Altro che prenditori.
Luigi Einaudi soleva definire i suoi interventi “prediche inutili”. La Banca d’Italia – definita dallo storico Alfredo Gigliobianco la “cittadella della competenza” (Via Nazionale, Donzelli, 2006)– quando esprime tramite i suoi vertici il frutto dell’incessante ricerca dei suoi dipartimenti, lo fa nell’interesse del Paese. Il presidente Conte, e i suoi due vice Salvini e Di Maio escano dal loro bunker autoreferenziale e si confrontino con la realtà, che ha bocciato senza mezze misure questa manovra di bilancio, assistenziale, con ben pochi investimenti e un tentativo maldestro di rivedere l’ottima riforma pensionistica realizzata da Elsa Fornero (non è un caso che in una pagina del DEF la riforma pensionistica venga elogiata per aver reso sostenibile a lungo termine il sistema previdenziale).
Quando ti ostini a pensare che tutti siano contro di te, non è che hai imboccato l’autostrada nel senso contrario?
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