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Le grandi agenzie di comunicazione hanno un futuro?
Per chiarire uso il termine “comunicazione” in senso ampio. Al suo interno inserisco tutto quello che io ritengo outreach: dalle pubbliche relazioni alla pubblicità digitale, dalla lead generation (creazione di contatti, potenziali clienti) al marketing (fisico o digitale). Un mondo complesso e variegato, lo ammetto.
Partiamo da alcuni dati. Stando allo IAB (qui sopra) una forte crescita di internet, a discapito della carta stampata (quotidiani o periodici), è evidente. Uno scenario simile, in ambito occidentale, definisce una situazione in veloce cambiamento, dove i media tradizionalmente usati per fare promozione (tv, radio, giornali) hanno ceduto il passo al mondo digitale.
All’interno del mondo digitale poi c’è un ulteriore suddivisione, come riporta lo studio di McKinsey tra la tipologia di accesso al mondo digitale. Se in origine (2010 e prima) era predominante la presenza di un computer oggi, e in futuro, la maggioranza degli accessi sarà da cellulare. Semplificando un poco si potrebbe dire che chi usa il cellulare per accedere alla rete è più giovane, rispetto a chi usa un computer. È una suddivisione piuttosto “bianco o nero” che troverà nel palmare la, probabile, convergenza.
Non meno importante la mappatura (in linea con McKinsey) che fa Pwc, che delinea un futuro in cui, prima o poi, il digitale diventerà la prima voce degli investimenti (come oggi lo è la tv, almeno in Italia). Tutto questo come impatta sul mondo delle agenzie di outreach? Semplificando molto si può dire che lo scenario grandi agenzie (di mktg, pr, adv etc..) ha toccato il plateau, nel migliore dei casi, oppure si sta contraendo.
Si deve considerare che il mercato italiano, ancora fortemente caratterizzato da una presenza tv massiccia (spesso con una predominanza di quella generalista e digitale terreste), è “alterato” da questa ingombrante presenza che modifica la percezione, e quindi la visione su investimenti e strategie, di molti clienti e le loro conseguenti agenzie.
C’era una volta…
La grande agenzia multi servizio che smistava i budget. I centri media erano, in passato, il sogno di ogni direttore marketing di FMCG & Co. Era l’equivalente di andare in un negozio total look: entravi in mutande con una cariola di soldi e uscivi vestito di tutto punto con, anche, orologio, cellulare e Mac. Perché era il sogno di ogni direttore marketing? Detto semplicemente, perché non si doveva pensare molto. Il percorso di scarico delle responsabilità (termine poco felice ma familiare a chiunque sia del giro) implica che se “io sono direttore marketing di un grande gruppo mi affido ad un equivalente grande gruppo di Adv, nella sicurezza matematica che farà un grande lavoro. In parallelo sono certo che se dovesse fare un casino, il mio capo sarà comunque obbligato a riconoscere che il casino non deriva da una mia scelta ma dalla grande agenzia.” Era un mondo dorato che, per alcuni decenni, ha fatto la felicità di molti. Brevemente, fino al crollo del 2000 delle Dot com, qualcuno aveva malignamente insinuato che questa cosa nuova, l’internet, avrebbe potuto infastidire un poco la gente delle agenzie, ma, tuttavia, si pensava che il grosso degli utenti sarebbe rimasta comunque fedele ai vecchio mondo. Il trinomio tv, radio, giornali era intoccabile, si pensava.
Il grande cambiamento si può tracciare (partendo dall’America) a partire dalla nascita di Facebook nel 2003-4. Non che all’inizio il signor Zuckerberg abbia scioccato nessuno; tuttavia il mondo di quegli anni, era già avviato verso il digitale grazie ai motori di ricerca (battaglia vinta da Google) e altre piattaforme sociali (ormai estinte come Myspace).
Il crollo del 2006-2008, per quanto inizialmente di natura finanziaria, ha cominciato a incrinare il trinomio Tv, giornali, radio. Varie le ragioni ma semplificando possiamo elencare: maggior focus sui ritorni di investimento, nuove tecnologie per misurazione dei risultati, crescente frammentazione dei potenziali clienti. Di qui è cominciata la crisi delle grandi agenzie, anche se, in vero, all’inizio molti non lo hanno veramente percepito. Negli ultimi anni (a partire dal 2010-2012) il mondo digital, spinto anche da un fiorire di startup orientate a servizi b2b2c (prima in America, poi lentamente il fenomeno si è espanso anche da noi) hanno ridefinito lo scenario dei mostri sacri.
Consideriamo il punto di vista del decaduto ceo di Wpp. In una delle sue ultime uscite lamentava come lo scenario delle grandi agenzie e holding fosse in contrazione. Le due critiche principali erano riferite ad un approccio di zero budget (nel senso che le aziende partono da un approccio stile “dimmi cosa avete” invece di avere una cifra da buttare sul tavolo) e alla pervasiva tecnologia digitale che livella la distanza tra grandi agenzie e piccole.
Scomponiamo lo scenario. Le grandi agenzie sono nate e si sono strutturate, nel tempo, per avere e gestire grandi clienti e relativi budget. Avere previsionalità su anni permette loro di definire, e coprire, spese per operazioni e quindi muoversi con maggior “fiato”.
Lo scenario futuro sarà cosi? Salvo casi rari, sarà appannaggio di agenzie più piccole, versatili, con una struttura base snella che può avere moduli (altre agenzie o singoli professionisti) da attivare a seconda delle esigenze. Una struttura del genere si rivela più adatta per affrontare i tempi morti (pause, perdita di un grande cliente).
Il caso Tv
In passato il cliente prendeva una grande agenzia per pianificare la sua campagna tv. Si partiva dallo sviluppo del video e poi si declinava sulle altre soluzioni (giornali in particolare). Non era difficile che una parte del video fosse ripresa dal cartaceo e una parte dell’audio dalla radio. Oggi i clienti devono districarsi tra numerose piattaforme, la maggioranza in tempo reale, a cui devono aggiungere soluzioni di automazione. Il gigantismo di molte vecchie agenzie, con una burocrazia interna appensantita da posizioni di rendita (art director storici, copy che scrivono libri e fanno personal branding etc..) rischia di essere datato.
La sfida dello zero budget
Il problema dello zero budget, per quanto possa apparire preoccupante, implica una sfida/vantaggio per le piccole agenzie che, essendosi strutturate in modo agile, possono assorbire i singoli passaggi senza rischi di gestione. Un approccio così fluido implica che il cliente riceve dall’agenzia un servizio/prodotto fondato su una conversione sul valore di quello che viene apportato al cliente, invece che sul budget. Detto in modo brutale (dal punto di vista di un agenzia moderna parlando al cliente) “ti darò quello che ti serve e ci metto un markup, non ti do quello che vuoi sapendo che il resto è il mio markup”.
A questo scenario già sfidante si aggiunga la variabile piattaforme. Con il crollo dei giornali e la lenta erosione della tv (fenomeno meno visibile in Italia rispetto al resto del mondo occidentale) l’emersione del mondo digitale si configura intorno a pochi attori che rastrellano grandi fette di pubblicità: Facebook e Google. (fonte visual capitalist)
Se fino a qualche tempo fa queste due realtà agivano in modo non dissimile da una televisione, permettendo ad operatori terzi di usarle (Cambridge Analytica come caso estremo, qualcuno ricorda?), nel continuo accrescersi di dati ora si sono strutturate, in modo da poter creare internamente soluzioni di pubblicità. Già nel 2016 Bloomberg evidenziava questo fenomeno. La verità è che molti professionisti, esperti in ambito digitale, non hanno grandi ambizioni di essere assorbiti nelle agenzie storiche. Troppo ingessate, rischiano di non dare quello “spazio vitale” al professionista.
Se vogliamo considerare una grande azienda che sceglie una piccola realtà digitale, il caso Pirelli è da manuale. Alcune settimane fa il gruppo italiano ha consegnato i premi ai migliori fornitori e, sorpresa, tra i nomi emergeva una realtà piccola che ha saputo scalare e farsi spazio tra i grandi gruppi, fornitori storici, di Pirelli.
“Il premio è conferito attraverso parametri oggettivi e non soggettivi (es. volume di fatturato, economicità, velocità, numero di contestazioni, ecc.)” mi dice Paola Parisi, ceo di Mdm, “quindi il tema non è tanto che Pirelli ha preferito Mdm, ma che ad oggi piccole società come la nostra possono avere un ruolo da protagonista grazie alla flessibilità, velocità e capacità di fornire altissime competenze a costi competitivi. Nell’era del digitale la differenza fra la grande organizzazione magari multinazionale e la piccola impresa italiana si è quasi del tutto appiattita, estendendo la competizione ad un maggior numero di soggetti. La capacità di adattarsi con rapidità alle più varie esigenze del cliente e attrarre i migliori profili sul mercato risultano assets vincenti.”
Pirelli è una multinazionale che ha interessi in tutto il globo, fa quindi riflettere come il vecchio binomio “cliente grande, agenzia grande” sia stato completamente rivoluzionato.
“La nostra storia con Pirelli è relativamente recente” continua Paola “abbiamo iniziato a lavorare per Pirelli nel 2015. Siamo entrati vincendo una gara e negli anni abbiamo costantemente aumentato il fatturato. A mio avviso i fattori vincenti che hanno fatto crescere così tanto la nostra credibilità sono stati quattro. La flessibilità: al pari di molte piccole agenzie ci siamo sempre adattati alla loro realtà è alle loro modalità operative. Velocità: legato alla flessibilità, le esigenze di un cliente come Pirelli devono essere affrontare e risolte in tempi brevi. Prezzi competitivi: non è segreto che il costo è una voce fondamentale. in questo caso la nostra struttura flessibile, con un cuore operativo per ricerca e sviluppo e una parte di esecutivo di volta in volta creato su misura del cliente ci ha permesso di contenere i costi. Trasparenza: quello che oggi specialmente i grandi clienti richiedono, è la possibilità di vedere in ogni passaggio quello che succede. Sono passati i tempi in cui il cliente dava il budget e tornava solo a lavoro pronto. Oggi, in parte per una gestione dei budget più flessibile e intelligente, in parte per la necessità di adattare ogni progetto in tempo reale, a causa dei continui cambiamenti della domanda, la necessità di Pirelli era di avere qualcuno sul pezzo sempre. Per primi abbiamo fornito ad ogni project manager Pirelli una console web da cui poter monitorare l’allocazione delle nostre risorse sui progetti, lo stato di avanzamento degli stessi. La chiave è stata saper motivare i preventivi e dimostrare l’effettivo impegno nel concreto piuttosto che contrattare”, conclude Paola.
Se il caso Pirelli-Mdm sia isolato o una tendenza in ascesa, in Italia, è da vedere. Certo è che lo scenario “digitale” non è destinato a rallentare, al contrario nel mondo occidentale è proiettato verso una veloce crescita in termini di fatturato, dipendenti e operatori.
Il futuro delle “vecchie” agenzie italiane, invece, è molto incerto. Lo stesso Business Insider, già nel 2017, mappava questo scenario. Sicuramente l’approccio di Mdm è una via interessante per ricostruire un’agenzia dall’interno. Resta da vedere se le grandi agenzie, con costosi uffici all’ultima moda, famosi creativi, e tanti allegri stagisti, sapranno ritrovare la loro creatività.
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