Zucchero bianco o di canna pari sono, ma le bufale creano un bel giro d’affari

scritto da il 03 Ottobre 2018

È vero che lo zucchero bianco fa male o, diversamente, che lo zucchero di canna è più salutare? Purtroppo, si tratta di una colossale bufala. Ci è stato detto – in realtà, non si sa precisamente da chi – che lo zucchero raffinato è tossico o addirittura, in certi casi, letale. E noi, come tanti poveri scemi, ci siamo lasciati catturare dal fascino alchemico della notizia dirompente. Ex abrupto, ci siamo convinti che durante il processo di raffinazione si utilizzassero sostanze nocive o, per lo meno, insalubri e ci siamo rifiutati categoricamente di approfondire la questione.

“Raffinazione”, come ci dice il professor Pellegrino Conte, ordinario di Chimica Agraria all’Università degli Studi di Palermo, “significa purificazione, cioè miglioramento delle caratteristiche organolettiche. Gli unici composti chimici che vengono usati durante la raffinazione-purificazione sono acqua calda, idrossido di calcio e anidride carbonica e nessuno di questi prodotti è tossico”. In quanto alla differenza tra zucchero raffinato e zucchero di canna, è sufficiente dire che è davvero minima. Lo zucchero di canna è saccarosio estratto dalla canna da zucchero e ricoperto di melassa. Ma entrambi sono saccarosio ed entrambi hanno le stesse proprietà nutrizionali. Siamo pigri e ci piacciono le novità controcorrente… forse perché ci fanno sentire protagonisti di una battaglia epica contro il sistema, anche se finiamo coll’essere fagocitati dal conformismo dell’opposizione alla moda.

Sulla base di queste ‘dolorose’ acquisizioni, è essenziale tradurre in cifre l’incidenza delle bufale sulla nostra quotidianità. Bisogna cominciare a dire, infatti, che la nostra visione distorta della realtà diventa una voce significativa ed effettiva sia nel bilancio domestico sia in quello del Sistema Sanitario Nazionale e, di conseguenza, dello Stato. La produzione mondiale di zucchero è pari a circa 140 milioni di tonnellate annue, due terzi delle quali sono rappresentati da zucchero di canna, cioè circa 90 milioni di tonnellate. In Italia la produzione di zucchero è assicurata dall’unica azienda rimasta in piedi dopo la liberalizzazione avvenuta nel 2017: la Coprob, che ha due stabilimenti, uno a Minerbio e l’altro a Pontelongo. La produzione dell’azienda è di circa 300 mila tonnellate all’anno; il suo fatturato di 200 milioni di euro. In Italia, tra zuccheri di diversa natura, consumiamo circa 1,7 milioni di tonnellate. Si capisce, quindi, che non siamo autosufficienti e che dobbiamo importare praticamente tutto lo zucchero che consumiamo. Soprattutto, nella maggior parte dei casi, la sproporzione di questo segmento dell’import-export è costituita da una domanda generata da bisogni di purezza del tutto infondati.

Il piccolo dio del mondo è sempre tale e quale. Vivrebbe un po’ meglio se tu non gli avessi dato quella parvenza di luce del cielo, la chiama ragione e se ne serve unicamente per essere più bestiale di ogni altra bestia

J. W. Goethe, Faust

Purtroppo, è invalsa ormai l’abitudine di usare il termine “chimica”, sia nella forma aggettivale sia in quella sostantivale, secondo un’accezione negativa. Allo stesso modo, si parla di “scienza ufficiale” e “medicina ufficiale”, ma non si capisce che cosa sarebbero una medicina non ufficiale o una scienza non ufficiale. La realtà, in pratica, viene costruita e ricostruita all’interno del linguaggio e, oggi più che mai, se le ‘accademie’ non comprendono di dover rieducare gli studenti al linguaggio scientifico, l’anti-scienza e l’anti-politica avranno la meglio su tutto.

Ogni anno, in Italia, 2.500.000 persone, il 4% della popolazione, ricorre all’omeopatia o cosiddetta medicina alternativa, generando un giro d’affari di circa 300 milioni di euro. Tale cifra, sulle prime, potrebbe apparire poco rilevante, ma perché essa sia completa occorre capire in che modo certe pratiche si ribaltano sul Sistema Sanitario Nazionale. Chi afferma che le cure omeopatiche non gravano su di esso afferma qualcosa di sbagliato. Infatti, è possibile detrarre dalle dichiarazioni dei redditi le spese per tutte le cure alternative. La detrazione giunge fino al 19% delle spese per le medicine alternative, inclusa l’omeopatia. Ne consegue che sono a carico della collettività all’incirca tra i 42 e i 138 milioni di euro. Si tratta di soldi che potrebbero essere destinati ad altro, ma che, invece, sono utilizzati per soddisfare le richieste economiche di chi si mette nelle mani di persone che somministrano rimedi che hanno la validità dei placebo.

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Nella foto: Pellegrino Conte, ordinario di chimica all’Università di Palermo

La scienza non si oppone per partito preso all’omeopatia; ma di certo lo fa perché non è stato possibile, finora, riprodurre e pubblicare dati che descrivano la sua validità. Un esempio concreto potrebbe mettere tutti d’accordo: si tratta della famigerata “memoria dell’acqua”, una teoria secondo cui l’acqua manterrebbe il ‘ricordo chimico’ delle sostanze con cui entra in contatto. Sulla base di questa congettura – mai dimostrata scientificamente – alcuni ‘esperti del benessere’ (che vuol dire?) ritengono che ‘certe acque’ genererebbero flussi di energia positiva tali da avvicinare l’uomo al tutto. Il progetto EPI3, che ultimamente sta facendo molto parlare di sé è uno dei metodi utilizzati dai sostenitori dell’omeopatia. I dati di cui si parla in questo progetto sono stati raccolti mediante interviste telefoniche.

Ora, immaginate che qualcuno ci chiami e ci chieda se abbiamo mal di testa e quanto spesso ne soffriamo. A quel punto, ci chiede pure se prendiamo un rimedio omeopatico e se, dopo averlo preso, il mal di testa ci passi. Ebbene, se rispondiamo di sì, il presunto ricercatore raggiunge la conclusione che l’omeopatia funziona. È fin troppo chiaro che un metodo siffatto non sta in piedi e non tiene conto di una serie di fattori che non elenchiamo per non offendere l’intelligenza dei lettori. Lo studio EPI3, nello specifico, non è stato finanziato da un ente pubblico, ma da un’azienda privata: la Boiron. Questa ha sovvenzionato università ed enti di ricerca sparsi tra Canada, Regno Unito e Francia con sei milioni di euro spalmati in sette anni. La cifra è enorme. Solo per fare un confronto, il progetto Human Brain Project vede lo stanziamento di circa un miliardo di euro spalmati su dieci anni da dividere per i 27 paesi della Comunità Europea. Insomma molti più ‘player’ rispetto a quelli coinvolti nell’EPI3. Questo la dice lunga sul giro d’affari che caratterizza l’omeopatia.

A ogni modo, che cosa pretenderebbero i profeti della purezza? Vorrebbero che rinuncissiamo all’insulina o agli antibiotici perché si tratta di molecole sintetizzate ex novo dall’uomo, senza tenere conto del fatto che hanno migliorato la nostra vita? Dal 1817 al 1973 si sono registrate, in tutto il mondo, sette pandemie di colera, un’infezione diarroica acuta causata dal batterio Vibrio cholerae. La trasmissione avviene principalmente a livello delle acque non sanificate e contaminate dalle feci. È evidente che, per molto tempo, questa patologia è stata letale, almeno fino alla scoperta del cloro, molecola biatomica la cui genitura spetta allo studioso svedese Carl Wilhelm Scheele. Il cloro, in altri termini, è un vero e proprio killer dei micro-organismi patogeni che si annidano nelle acque reflue e in quelle destinate al consumo umano.

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Abbiamo fatto queste scoperte leggendo Frammenti di chimica, un’opera appena ultimata e data alle stampe dal summenzionato Pellegrino Conte e, lungo la linea dello sciamanesimo e del business delle fandonie, abbiamo incontrato un altro prodotto abbastanza ‘maltrattato’, l’acqua. Quando leggiamo che le acque migliori sono quelle che hanno il residuo fisso più basso, stiamo leggendo ancora una volta i contenuti di una bufala. Essa si basa sull’idea che più alto è il residuo fisso più elevata è la possibilità di contrarre calcoli renali. L’associazione residuo fisso-calcoli renali è del tutto arbitraria, non essendo supportata da alcuna evidenza scientifica. Anzi, si può dire che è vero il contrario. Più si beve, maggiore è la possibilità che i reni si mantengano puliti e che i calcoli non si formino. Occorre, in definitiva, ribadire che la locuzione “residuo fisso” si riferisce solo ed esclusivamente al contenuto di sali minerali di un’acqua destinata al consumo umano.

In genere, si sente dire che gli ipertesi, al supermercato, si affannano alla ricerca delle acque povere di sodio, ma qui si nasconde un grosso fraintendimento. Affinché un’acqua sia etichettata come povera di sodio è sufficiente che abbia un contenuto di sodio inferiore a 20 mgL-1. È facile capire a questo punto che la maggior parte delle acque presenti al supermercato è adatta alla dieta degli ipertesi. Da un punto di vista chimico e micro-biologico, i requisiti chimici necessari, per così dire, affinché un’acqua sia migliore di un’altra non sono affatto presenti nelle etichette che affannosamente controlliamo. In questo caso, occorre il parere del medico… Il prof. Conte non pone alcun indugio nel dire che, quando si parla dei vantaggi dell’acqua alcalina, le sciocchezze si accumulano a dismisura. Se infatti ci chiediamo se l’acqua alcalina faccia bene o male, ci tocca rispondere che non fa né bene né male. Si tratta di un’altra bufala. L’assunzione di acqua con pH alcalino (pH > 7 a 25°C) non implica alcunché dal punto di vista chimico e biochimico. Di fatto, siccome si è scoperto che le zone limitrofe di alcuni tessuti tumorali hanno un valore di pH acido, allora si è pensato di far business guidando la gente all’alcanizzazione dell’organismo.

A tal proposito, si stima che il consumo di acqua pro capite equivalga a 206 L l’anno in bottiglia; il che si traduce in un volume d’affari di 10 miliardi. Non è affatto poco, specie se consideriamo che esso si basa sul costo del tutto irrisorio delle concessioni governative, il cui valore è inferiore di 250 volte al costo dell’acqua in bottiglia. Al business delle acque in bottiglia bisogna aggiungere quello delle caraffe filtranti e dei sistemi domestici di purificazione, che sono per lo più inutili dal momento che le acque che vengono erogate dagli acquedotti e sottoposte a un regime di controllo molto rigido. Per di più, recenti reportage fatti da associazioni di consumatori (per es. Altro Consumo) hanno evidenziato come i sistemi di depurazione casalinghi, oltre ad essere dispendiosi (si parla di centinaia di euro all’anno per le famiglie che ne fanno uso), possono rivelarsi anche dannosi. Essi, infatti, non consentono di tenere sotto controllo la carica microbica che, in genere, è molto più pericolosa delle componenti inorganiche disciolte in acqua.

Nessuno vuole che la gente si metta a studiare il popperiano principio di falsificazione, ma è atto di buon senso affidarsi a dei protocolli di salutogenesi che siano stati per lo meno confortati da dati statistici, verificati e ampiamente sperimentati. Compito del ricercatore è, dunque, quello di giungere a risultanze universali… Attenzione: non valide in eterno, ma riconducibili a vere e proprie leggi!

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