categoria: Vicolo corto
I millennials non sono fighi: sono incompresi, poveri e sfruttati
A mio avviso i millennials sono una generazione incompresa. Anzi non sono solo incompresi: sono incompresi, poveri e in ultima istanza sfruttati.
Consigliata la lettura ai tutti i marketing manager B2C che devono allocare budget ad autunno, risparmierete molti soldi in consulenze. Sconsigliato per sognatori, gente sensibile e idealisti.
Ora andiamo per ordine.
Esiste una mastodontica bibliografia (con la parola millennial – senza la esse, d’ora in poi in questo post) in Google Italia si trovano oltre 47 milioni di risultati), articoli di giornalisti premi Pulitzer, biologi, sociologi e osservatori di corvi bianchi che hanno elaborato ogni tipo di teoria conosciuta all’uomo per spiegare i millennial e i loro buffi, a volte bizzarri, comportamenti. Trovo doveroso aggiungere a questa montagna di studi di gente sapiente e illuminata la mia modesta e umile visione.
Incomprensione
Non si comprende perché questa bizzarra generazione non voglia sostenere l’economia americana né tanto meno quella italiana. Per essere brutali, i millennial non sono fighi, sono semplicemente poveri. Però, diciamolo, come può una grande agenzia di comunicazione, una management consulting, un economista o altre persone illuminate che perseguono “virtute e canoscenza (come avrebbe detto il sommo poeta Dante, un famoso baby boomer)”, doversi limitare ad un risposta di due parole: “sono poveri”?
Farebbe brutto, anzi peggio, non farebbe cassa. Se tutte queste persone sagge si limitassero a dire, intervistate o consultate sui comportamenti bizzarri dei millenial, “sono poveri” sarebbe una tragedia economica di scala mondiale.
Quanti servizi giornalistici in meno ci sarebbero sui tg nazionali? Si farebbero solo servizi utili sul fatto che di estate si deve bere più acqua. Quanti petabyte di report svanirebbero dalla rete! Quante consulenze di decine di migliaia di euro/dollari (scritte da millenial in “stage con opportunità di crescita”… forse) svanirebbero? Se ci si limitasse a dire “i millenial non comprano il vostro servizio o prodotto perché non hanno i soldi…” sarebbe un grande risparmio per i direttori marketing di aziende B2C.
I millenials sono cosi naïve da fare scelte oscure e imperscrutabili per i geni del marketing, per le relative super agenzie che vendono alle aziende piani strategici iper costosi, per i filosofi e i grandi economisti? No. Basta pensare in modo pratico: quando una persona è povera cosa può e non può permettersi? Se ho uno stipendio da 1.300 euro (spiegherò tra poco questa cifra) al mese, andrò tutti i giorni a cenare con ostriche, caviale e champagne? Non credo ci voglia un genio per rispondere.
Povertà
Adesso affrontiamo il concetto di povertà senza critiche sociali ma cercando di riportare più dati possibile e un filo di ironia (di ironia triste lo ammetto, perché sapere che un’intera generazione di persone più preparate rispetto ai loro predecessori è cosi messa male mi fa indignare, per usare termini che si possono scrivere ).
Facciamo un ipotesi
La stragrande maggioranza dei comportamenti dei millennial occidentali (dalle coste della California sino al naviglio di Milano) sono spiegabili con un semplice concetto: la carenza di soldi.
Consideriamo 2 gruppi: i mlns (abbreviazione per millennial, fa più trendy usare termini impronunciabili) americani e quelli italiani, anzi andiamo nel micro e consideriamo i milanesi (o chi orbita intorno a Milano.). Si può ipotizzare che la “ricchezza” media di un mlns milanese sia più elevata (parliamo in base statistica) che nel resto della nazione.
Trovo utile poter fare un paragone, quando possibile, tra macro (Stati Uniti) e micro (Milano): vi sono grandi differenze su alcuni temi che vedremo, ma molti atteggiamenti comuni.
In America ci sono 4 maggiori debiti: mutui sulle case, carte di debito (revolving cioè quelle di cui rateizzi la spesa su mesi), prestiti brevi e prestiti scolastici (per le rette universitarie).
Una volta laureati i mlns sono portatori sani di un debito medio intorno ai 150.000 dollari. In pratica una spada di Damocle. A cui si aggiungono gli interessi. Il debito cumulato (solo in Usa) contratto dagli studenti, per i corsi universitari, sfiora la cifra di 1,5 trilioni di dollari (vedi grafico qui sopra). La crescita astronomica di questa tipologia debitoria, partendo dal 2006 con mezzo trilione, è in pratica triplicata. Si tratta di soldi che gli studenti dovranno restituire (probabilmente impiegando tutta la vita). In una recente analisi, infatti, si è scoperto che il debito medio verrà estinto in decenni. Si aggiunga che il numero di fallimenti, di studenti che non riescono a ripagare il mutuo scolastico, è in aumento. Secondo il Census Bureau americano i millennial di oggi guadagnano, in media, 2.000 dollari in meno rispetto alle generazioni precedenti. Dulcis in fundo vi sono recenti statistiche che dimostrano che 1 coppia su 8 in USA divorzia a causa delle tensioni causate dai debiti studenteschi (come dire “chi non lavora non fa l’amore…”).
In Italia? Le università da noi hanno costi modesti e i debiti studenteschi sono un fenomeno pressoché assente. Tuttavia la “ricchezza” dei millennial italiani appare tra le più basse, secondo un analisi del Guardian. Lo stesso Sole24Ore riporta uno stipendio medio netto di circa 1.300 euro (per 13 mensilità). Per essere chiari, medio significa che vi sono anche cifre molto più basse (e per opposto alcuni che sono pagati molto di più, bene inteso).
Quanto sono poveri i mlns milanesi? Scopriamolo.
Il calcolatore della povertà dell’Istat in una fascia di nucleo familiare single tra i 18 e 59 anni indica come 826 euro la soglia sotto la quale si è poveri nelle metropoli (come Milano). Quanto costa vivere a Milano? Stando ai dati di UBS recentemente diffusi Milano è una delle città più costose del mondo dove, tuttavia , lo stipendio non è all’altezza dei costi della vita (che sorpresa!). Se ipotizziamo (si badi bene, è un’ipotesi) un affitto decente fuori dalla zona 1 (il centro) più un minimo di costi per la spesa alimentare, qualche aperitivo (una soluzione economica per riempirsi lo stomaco con 7-10 euro, ed essere un poco più “allegri” dopo una giornata di duro lavoro) ci parcheggiamo tranquillamente a 1.000 – 1.100 euro al mese.
In vero una recente analisi ripresa da Adnkronos riporta anche cifre più elevate. Un totale di 1.800 euro al mese per tutto, di cui poco più di 600 euro per la casa e quasi 600 euro per cibo e bevande (inclusi aperitivi, immagino). Confcommercio riporta uno spaccato ancora più preciso con le spese imputate (cioè che dovete fare, quali, casa, carburanti etc..) intorno ai 7.800 euro annui (a cui ricordiamoci di aggiungere le altre spese di vita tipo cibo etc.). Per comodità (a rischio di essere troppo ottimista o pessimista) teniamo ferma la mia stima di circa 1.000-1.100 euro di spese e torniamo ad avere circa 200-300 euro. Con 200 euro (teniamo la stima bassa) risparmiati ogni mese cosa può fare il giovane millennial. Stando ai report “menzionati” (quelli dei geni vincitori di Pulitzer, intendo) i millennial hanno gusti e scelte molto strane.
Vediamo di sradicare (focalizziamoci sull’Italia, ma con le proporzioni di spesa un poco più elevate, lo stesso discorso vale per gli Stati Uniti) certi miti:
1. I millennial non comprano/posseggono cd musicali e dvd di film perché li ascoltano on line che fa “moderno”.
Prima di tutto quanti comprano ancora cd e dvd? La vendita è crollata anno su anno. Secondo, se posso ascoltare su YouTube una canzone, quanto mi conviene comprarla? I film e i videogiochi? Si possono comprare on line a prezzi scontati oppure esistono siti (brutti e cattivi si intende) dove fruirli gratuitamente. Certo è illegale ma volete veramente pensare che tutti i millennial (nativi digitali) non sappiano dove trovare contenuti digitali gratis (nota: si sconsiglia caldamente di utilizzare siti di sharing illegali, in quanto in violazione della legge sul copyright)?
2. I millennial sono esperienziali: adorano i viaggi, le cene fuori, i momenti che riempiono loro la vita; egualmente “amano” anche i servizi di “sharing economy” (che di sharing hanno nulla dato che le piattaforme che rendono disponibili le offerte lucrano su di esse, come una qualunque azienda vetero capitalista).
Viaggi? Certamente, ma lowcost. Non ho trovato in rete analisi che discutono di un aumento sensibile delle richieste in business class e first class nelle compagnie aeree causati da domanda di generazione millennial.
Cene fuori? Assolutamente, gli aperitivi da 5-10 euro vanno per la maggiore, a Milano. Ma anche i sushi all you can eat sono sbucati come funghi (con anche locali di qualità niente male, si deve ammetterlo).
Vacanze. Invece che in albergo si va in affittacamere (perché fa brutto chiamarli cosi, ma questo è il nome in italiano e sono, ed esistono, da sempre) o da amici perché costano meno degli alberghi (tema su cui si dovrebbe dibattere maggiormente analizzando i sistemi di tassazione e gestione di molte piattaforme di “sharing economy”).
3. I millennials aborriscono le proprietà
Perche comprare casa quando puoi stare in affitto? Perché comprare un’auto che inquina e ti costa? Logiche interessanti ma vogliamo smettere di prenderci in giro?
Casa. Con uno stipendio medio (se va bene, e ipotizzando che sia a tempo indeterminato, tipologia in lenta via di estinzione a giudicare dall’andamento dell’occupazione e dalla crescita delle partite Iva) di 1.300 euro e un appartamento medio a Milano, facciamo sui 200.000 euro per 45mq (che deve scendere in città Dio in persona per fartene trovare uno cosi, magari da ristrutturare) chi ti dà il mutuo? Considerando le cifre sopra descritte, con 2-300 euro sarà facile che in banca ti diano il mutuo. Anzi i direttori di banca si sfideranno a singolar tenzone per darti i soldi. In America le cose non vanno meglio, come riporta questa analisi del Washington post.
Che dire di una macchina? Al netto del costo di una utilitaria o un modello di seconda mano (8.000-10.000 euro per una nuova, 3.000-5.000 per un usato che non cada a pezzi) il costo tra pieno di benzina (in attesa di potersi comprare u’nauto elettrica che costa quanto un fegato sul mercato nero), bollo e assicurazione costa almeno 1.000 euro annui (Repubblica riporta una media di 1.500 euro). Quanti millennial se lo possono permettere?
4. I millenials non risparmiano
Lo ammetto, questo è uno dei miti che preferisco. Ora, premesso quanto sopra se ti restano 200 euro al mese (in America una cifra un poco più alta) vuoi anche risparmiare? Al New York Times (purtroppo non ho trovato analisi ben strutturate sullo scenario italiano) spiegano che i mlns risparmierebbero anche, se potessero. Cnbc conferma quanto spiegato dal NYT spacchettando un’analisi di una agenzia di rating del credito. Ovviamente esistono “super App” (sia in America che in Italia) che permettono ai mlns di risparmiare anche 5-6 euro al giorno (o al mese). La versione che da bambini avevamo del porcellino di terracotta dove si mettevano le monetine; da piccolo (6 anni) ne avevo uno anche io ma almeno non era in “sharing economy” (cioè con qualcuno che speculava sui dati che inserivo e se li rivendeva a terzi).
Sfruttamento
Un detto americano (ma potrebbe anche essere inglese) dice “beggars are not choosers”: i mendicanti non possono scegliere. È un concetto brutale ma nella New York del capitalismo estremo è lecito e anzi quasi una delle tante “leggi sociali” non scritte. Parliamo, per esempio, della gig economy, l’economia dei “lavoretti”. Messa così è un altro parto geniale di una serie di agenzie di pr e marketing. In questo caso il ragionamento vale egualmente per americani e milanesi. I “lavoretti” sono attività che sono/erano utili per pagarsi i corsi universitari o cose più voluttuarie come una vacanza. Oggi si potrebbe dire che nell’elenco di “cose voluttuarie” possa entrare anche una serie di oggetti ad alta tecnologia, primi tra tutti i cellulari e la relativa connessione alla rete (in alcuni casi un fenomeno più simile ad una dipendenza, più che una necessità, per molti millennial e non solo). Il problema è che l’economia dei lavoretti si è nel tempo saldata (un’alleanza strategica si potrebbe insinuare maliziosamente) con la “sharing economy”. Queste due “economie” (entrambe ampliamente sventagliate da agenzie di Pr e relativi media) sono state “vendute” come la soluzione a tutti i mali, specialmente quelli economici, che affliggono i millennial (e non solo).
Dopo tutto cosa c’è di male se pedali un poco e consegni cibo a domicilio? Nulla, un ottimo modo per tenersi in forma. Certo, sarebbe meglio se il tuo datore di lavoro ti assumesse o avesse con te una tipologia di contratto che prevede, per esempio, diritto alle vacanze, copertura sanitaria e assicurazione in caso di incidenti (però se dico cose cosi poi sembro un comunista, o peggio un sovranista, i lavoretti sono il futuro… e salveranno il mondo). La recente fuga di Foodora dall’Italia sembra aver spostato la luce sul tema “lavoro e dignità”. Si tratta solo di Foodora in Italia? Assolutamente no.
Torniamo negli Stati Uniti. A New York il sindaco mette un blocco alle operazioni di Uber e Lyft (il suo maggiore competitor) richiedendo un trattamento per i lavoratori (non “i felici imprenditori indipendenti” sottopagati, ma proprio “lavoratori”) con ferie e assicurazioni pagate dal gruppo di trasporto Uber (che ufficialmente dice di gestire solo una piattaforma, parte della famiglia della “sharing economy”).
Tanto è il terrore che i due gruppi (gig economy e sharing economy ) hanno del legislatore americano che, in California, come riporta Bloomberg, hanno unito le forze per fare lobby pesante (che significa spendere un sacco di soldi, forse quelli che risparmiano non assumendo persone ma contrattando “freelance indipendenti” ) per tentare di arginare l’onda anti liberista e vagamente socialista che pervade lo stato sul Pacifico. Tra le aziende che fanno lobby in California oltre quelle degli autisti ci sono anche quelle dei pony express che fanno consegne a domicilio.
E in Italia?
Anche qui l’esercito dei “non assunti” (quindi niente tempo indeterminato, per parlare chiaro) è immenso. Abbiamo intanto i milioni di partite Iva (di cui fanno parte anche i millennial). Molte partite Iva sono volontariamente “indipendenti“, per scelta. Mi domando, maliziosamente, se siano tutte volontarie oppure “esodate (o finte)” e riprese dalle stesse aziende come fornitori esterni. A questi milioni di partite Iva aggiungiamo anche quelli dei “lavoretti”. Questi giovani millennial che, inspiegabilmente, non vogliono nemmeno aprire una partita Iva ma, così, si divertono a pedalare facendo consegne a domicilio (perché passi che riders fa figo, ma in italiano si chiamano fattorini o consegne a domicilio). Secondo un analisi recente del Sole 24 ore sono circa 1 milione.
Se questo non si chiama sfruttamento (se lo dico poi rischio di essere contro il libero mercato) allora consideriamo anche una serie di dinamiche di “sharing economy” (quella della condivisione, si ma a beneficio economico di terzi, di solito i giovani millennial ma molto skilled che han fatto i soldi sfruttando la “sharing economy”). La famosa economia della condivisione (dove a essere condivisi sono i tuoi soldi) permette di valorizzare alcuni aspetti dei millennial (ma anche della successiva gen Z) quali per esempio i referrals. Un modo sicuramente valido, per guadagnare qualcosa, usando la propria impronta e presenza in rete (inventandosi o valorizzando il nostro essere “influencer”, di questa parola parlerò presto). Tema un poco tecnico di cui ho trovato una spiegazione qui. Stando all’analisi, per un prodotto comprato su un grande sito di vendite online da un “vostro” follower (cioè uno che vi segue e dice “cavolo io mi fido di sto tipo allora compro quello che mi dice lui”) a una spesa di 50 euro corrisponde un guadagno fino a 2,5 euro.
Una ricchezza. Certamente se avete il numero di follower della Ferragni o di Kim Kardashian avrete trovato un modo di fare molti soldi; altrimenti, nel migliore dei casi, si può considerarlo alla stregua di un “lavoretto”. Ci sono poi soluzioni estreme (ma qui la cosa diventa più complessa, come ho spiegato parlando di Bitcoin) ovvero utilizzare i millennial come vettori sani di modi di consumare e investire, senza pagarli o pagandoli con qualche buono da spendere su una piattaforma di commercio on line.
Intendiamoci, un qualunque fiero sostenitore del capitalismo e del libero mercato potrebbe sostenere che sono forme “alternative (che stanno diventando sempre meno “alternative” e sempre più “normali”) di guadagno: certamente del resto i romani (gente che non si interrogava molto sui millennial) dicevano che “il denaro non ha odore (specialmente quello elettronico, forse i romani erano più avanti di quel che si pensa)”.
Tuttavia facciamo un bel test.
Con un contratto a tempo indeterminato da 1.300 euro mensili o, “alternativamente”, con una partita Iva o qualche forma ibrida di retribuzione (porta cibo, affiliazione etc..) fate un salto in banca a chiedere un mutuo, e vediamo cosa succede.
Questa analisi non è dedicata ai millennials. Chiunque in questa fascia di età abbia letto questo post come minimo gli sarà preso un groppo in gola o gli si sarà ristretto lo stomaco (ma per quello basta uno “sbagliato” sui navigli e tutto passa, per un po’).
Questa analisi è dedicata a tutti i geni della generazione precedente; che pontificano sugli strani comportamenti dei millennial e della generazione Z, seduti su comode poltrone, dall’alto dei loro uffici nelle torri d’avorio, con uno stipendio serio e un contratto a tempo indeterminato (diciamo superiore a 1.300 euro al mese?).
Quando capirete che i millennial agiscono cosi per carenza di soldi (ben mascherata perché essere poveri non è certo uno spasso, e un poco ti girano) forse vi risparmierete un sacco di costose consulenze (che poi sul forecast-budget annuale d’autunno costano e “si deve tagliare per fare più margine!”).
Antidoto per il buon umore: intervista ad un millennial (si scherza).
Buon rientro al lavoro.
@EnricoVerga
Trovami anche su Linkedin