Africa, quali carte si gioca l’Europa

scritto da il 22 Luglio 2018

Negli ultimi anni la gestione dei flussi migratori dall’Africa all’Europa ha causato forti divisioni tra gli Stati membri potenzialmente in grado di innescare un effetto domino che può portare alla messa in discussione dell’area Schengen e alla tenuta della stessa Unione, nonché all’assuefazione dell’opinione pubblica dei Paesi europei maggiormente esposti al fenomeno a considerare l’Africa unicamente come fonte di problemi, mettendo in secondo piano le potenzialità del continente.

Detto che nel breve periodo è poco realistico immaginare una soluzione che ricomponga i contrasti intraeuropei e riduca le diseguaglianze politiche, economiche e demografiche tra i due continenti, nel lungo termine è invece ancora possibile coniugare soluzioni positive per entrambe le sponde del Mediterraneo. Molto passerà però dalla capacità dell’Unione Europea di ergersi a riferimento politico unitario nei confronti del continente africano, facendo leva sull’essere uno dei più importanti partner commerciali dell’Africa e il vicino più prossimo, nonché il maggiore investitore straniero e tra i principali finanziatori di programmi per la stabilità.

Ed è in questa direzione che si muove la politica UE di rafforzamento dei legami economici con i Paesi dell’Africa, come precondizione di quelli politici, che si traduce negli Accordi di Partenariato Economico (EPA) tra UE e i Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) nati nel solco della Convenzione di Cotonou del 2000 a validità ventennale, che ha sostituito le Convenzioni di Lomé siglate a partire dal 1975 e a cui partecipano settantanove Paesi ACP di cui oltre la metà stati africani.

Si tratta di intese di lungo periodo propedeutiche a futuri accordi libero scambio che, attraverso la previsione di misure di assistenza, cooperazione e monitoraggio che tengono conto delle problematiche socioeconomiche dei Paesi africani, cercano di superare i limiti dei vecchi accordi considerati da molti inefficaci nell’ottica della progressiva riduzione povertà e del contestuale sviluppo di una economia e di una classe media africana, nonché incapaci di tutelare i diritti umani, lo stato di diritto e la buona governance, risultando una delle concause della persistente arretratezza e dell’instabilità del continente africano. Instabilità che si è riversata sulla sponda Nord del Mediterraneo.

Per quanto riguarda gli stati africani, al momento i partenariati economici in vigore sono quelli con Costa D’Avorio e Ghana (Africa occidentale), Camerun (Africa centrale), Mauritius, Madagascar, Seychelles e Zimbabwe (Africa orientale e subsahariana), Botswana, Lesotho, Namibia, South Africa, Swaziland (Comunità per lo Sviluppo dell’Africa del Sud, SADC), mentre altri ventidue accordi di partenariato economico sono in attesa di essere implementati. A queste intese vanno aggiunti i Trade Agreements con i Paesi del Nord Africa e le misure unilaterali concesse dall’Unione nell’ambito del Sistema delle Preferenze tariffarie Generalizzate e dell’iniziativa Everything-But-Arms che si applicano alla quasi totalità dei Paesi africani.

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Questo quadro di accordi e concessioni ha consentito all’UE di diventare il partner che a livello mondiale incoraggia di più gli scambi commerciali con l’Africa nonché il mercato più aperto ai prodotti che provengono da questo continente. Nel 2016, infatti, l’Africa ha esportato nell’UE prodotti per un controvalore di circa 116 miliardi di euro, equivalenti a circa il 35% dell’export africano totale, registrando nel triennio 2013-2016 un incremento di oltre il 23% per quanto riguarda l’export agroalimentare e di circa il 17% per l’export del settore manifatturiero.

Queste intese, infatti, garantiscono ai Paesi africani generalmente l’accesso al mercato UE senza applicazione di dazi o quote per i propri prodotti e con regole di origine flessibili, senza dover applicare lo stesso trattamento ai prodotti UE destinati al mercato africano. E ciò al fine di perseguire un duplice obbiettivo: da un lato far crescere la competitività delle imprese africane nei mercati sviluppati e favorire gli investimenti stranieri in stabilimenti produttivi in Africa, anche nell’ottica della diversificazione dell’offerta al fine di disancorare il tessuto produttivo africano dalla produzione di prodotti a basso valore aggiunto per connettersi alla catena del valore globale, dall’altro proteggere dalla concorrenza dei Paesi avanzati i settori industriali meno sviluppati, o in via di sviluppo, che gli stati africani ritengono di interesse strategico. È previsto inoltre un supporto finanziario a beneficio dei Paesi africani per l’adeguamento degli standard sanitari, fitosanitari e ambientali a quelli UE.

I partenariati economici con i Paesi africani fanno comunque parte di un disegno che va oltre l’aspetto commerciale. Essi hanno valenza politica poiché rappresentano uno strumento per assecondare il rafforzamento delle istituzioni democratiche degli stati africani, la stabilità e l’integrazione economica. Tuttavia, la carenza delle infrastrutture, dei trasporti e delle tecnologie, per tacere della turbolenza politica del continente, dei conflitti militari e della corruzione, rendono l’idea della portata dell’impresa.

A ciò si aggiunga il rischio che una liberalizzazione troppo affrettata potrebbe danneggiare e ulteriormente frammentare la fragile economia africana a vantaggio dei Paesi avanzati, ottenendo l’effetto opposto di quanto programmato. Sul punto, non aiuta il quadro geopolitico che, accanto all’intervento degli organismi internazionali, vede il massiccio attivismo politico, commerciale e militare di potenze come Stati Uniti e Cina, nonché di singoli Paesi europei dal passato colonialista con obiettivi non necessariamente rispondenti alle esigenze delle popolazioni africane.

Tale scenario indebolisce l’azione politica in Africa dell’Unione, la quale peraltro è minata al suo interno dagli stessi stati membri. A tal proposito, è appena il caso di ricordare i contrasti sorti tra Italia e Francia all’indomani dell’iniziativa militare in Libia, che è l’esempio plastico delle conseguenze per la sicurezza aldiquà e aldilà del Mediterraneo del sovrapporsi all’azione politica esterna UE in Africa per interessi nazionali. Peraltro, in aggiunta alle divergenze in materia di gestione delle frontiere esterne, tra le conseguenze dell’agire in ordine sparso si annovera l’inevitabile perdita di peso politico dell’Unione che, a ben vedere, marginalizza gli stessi Paesi membri sullo palcoscenico internazionale.

Twitter @andreafesta_af

*Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non impegnano l’Amministrazione di appartenenza.