categoria: Vicolo corto
Economia circolare e blu: tutelare l’ambiente facendo soldi (o risparmiandoli)
Nel suo recente discorso d’investitura il primo ministro Conte ha menzionato l’economia circolare e la blue economy.
Due termini spesso citati (più la prima che la seconda, in vero) che rientrano in una visione strategica che la società civile, ma soprattutto le aziende, devono fare proprie.
Dal punto di vista normativo e istituzionale l’Unione Europea ha creato interessanti analisi su come l’economia circolare porti benefici all’interno delle aziende italiane ed europee in generale.
Il concetto semplificato di economia circolare, già dal nome, si evince facilmente. Un’economia in cui lo “scarto” di qualcuno diviene la risorsa per altri. In un ambito aziendale, per esempio, i prodotti di scarto possono diventare utili ad altre aziende della filiera. In alcuni casi possono persino essere reintegrati nel ciclo produttivo o, nel caso di aziende con differenti servizi o prodotti, utilizzati in ambito Csr (serre aziendali, se parliamo di compost derivato da rifiuti della mensa, per esempio) o altre unità dedicate a impact.
In questo senso si muove anche l’Unione Europea che ha di recente varato, come riporta Agi, un pacchetto di provvedimenti volto a normare la gestione dei rifiuti. In ambito domestico, per esempio, i rifiuti “umidi” saranno presto compostati in casa (nell’ambito degli edifici sarà una sfida da comprendere).
Parlare di rifiuti potrebbe non sembrare la cosa più interessante di questo mondo, ma nell’economia circolare il rifiuto di qualcuno sono i soldi dell’altro.
Il termine blue economy, invece, espande il concetto di ciclicità delle materie prime e le relazioni con l’ecosistema acquatico (fiumi, laghi, mari, oceani etc..) in modo sinergico. La commissione europea sta lavorando con impegno per definire e normare una serie di ambienti (economici e sociali) dove i singoli operatori pubblici che privati (pensiamo alle compagnie di trasporto commerciale e turistico navale, per esempio) sono attivi.
In tal senso già i tavoli di discussione del 2017 identificano un serie di settori industriali e vantaggi economici per il settore privato. Esistono già una serie di soluzioni europee che possono essere di supporto finanziario, come, ad esempio, i fondi Horizon 2020.
Se questo è il quadro normativo ed economico dove si muoveranno, nei prossimi anni, la stragrande maggioranza delle imprese, è il caso di vedere se vi sono fenomeni virtuosi già oggi, a casa nostra.
L’industria dei trasporti inquina. Inutile negarlo. I programmi per macchine elettriche (Elon Musk, alias Tesla, & Co) sono sicuramente interessanti, ma se parliamo di trasporti massivi di merci e persone i trasporti navali sono ancora la voce più rilevante.
Spostare merci e persone via acqua è ancora il metodo economicamente più vantaggioso.
Questa industria ha visto la sua ultima fase di “innovazione radicale” quando è passata dal carbone ai carburanti fossili derivati dal petrolio (il prossimo passo dovrebbe essere il passaggio al gas liquido, LNG).
Da allora, semplificando un poco, non vi sono state rilevanti cambiamenti. Ma se lo scenario by and large è ancora ingessato, vi sono nicchie di sviluppo che stanno, lentamente, prendendo piede.
Consideriamo la produzione di rifiuti.
Nel rispetto delle differenti ordinanze portuali, che prevedono obblighi di conferimento con una certa frequenza, le navi scaricano tutti i rifiuti prodotti durante il viaggio (se parliamo di navi con passeggeri i rifiuti aumentano sensibilmente) una volta giunti in porto.
Ho quindi pensato di dialogare con una compagnia navale, che, prima tra tutti i suoi competitor italiani, sta muovendosi verso un approccio più “Blue Economy”.
“Da anni la compagnia ha adottato un programma di efficienza energetica previsto dalla normativa internazionale, lo Ship Energy Efficiency Management Plan, che mira ad individuare ed applicare, laddove fattibile, le migliori soluzioni tecnologiche disponibili sul mercato, al fine di ridurre i consumi energetici e contribuire alla tutela dell’ambiente”, mi spiega l’ingegner Mattia Canevari, Energy Manager di GNV Spa, Gruppo MSC. GNV è una delle principali compagnie di navigazione italiane operanti nel settore del cabotaggio e del trasporto passeggeri nel Mar Mediterraneo: con 14 navi operate, di cui ben 7 vantano il riconoscimento Green Star di qualità ambientale che sopravanza le norme cogenti, la Compagnia opera 12 collegamenti internazionali e 7 linee nazionali italiane, da e per Sardegna, Sicilia, Spagna, Francia, Albania, Tunisia, Marocco e Malta.
“Nell’ottica di ridurre l’impatto ambientale e rendere più efficienti i nostri trasporti a bordo delle navi Excellent, Excelsior, Rhapsody e Majestic abbiamo installato un totale di 16 macchinari Ecodyger. La Compagnia prevede di implementare l’utilizzo di questi sistemi sull’intera flotta entro fine 2018.
I macchinari Ecodyger, riducono in modo sostenibile ed economico gli scarti (rifiuti) organici fino al 90% del loro peso e volume. Il tutto avviene grazie ad un ciclo di rigenerazione di sole 7/8 ore che restituisce un residuo solido secco stabile; una vera e propria risorsa naturale che è a tutti gli effetti un ammendante compostato-misto impiegabile come concime e ammendante naturale al 100%.”
La legislazione nazionale vigente non permette di rivendere questo materiale, “Conferiamo la risulta di Ecodyger, in sacchetti biodegradabili che riempiono appositi grandi sacchi di tela, all’azienda specializzata per il ritiro dei rifiuti in porto; la legislazione italiana non permette di poter rivendere questo tipo di materiale che in altri paesi è invece possibile vendere alle aziende che si occupano di economia circolare. Tuttavia in questo modo abbiamo comunque un piccolo risparmio economico, in quanto il ritiro di questa tipologia di compost è gratuita, oltre a ridurre la frequenza di conferimento in maniera sensibile. Abbiamo anche eliminato altri annosi problemi come gli odori molesti del materiale umido e la formazione di percolato chimico”
In precedenza, le unità di GNV compattavano l’umido in specifici contenitori sino al ritorno in porto, con un carico utile ed un ingombro molto superiore all’attuale, nonché evidenti impatti negativi nelle diverse fasi gestionali. La cosa, oltre ad avere ricadute nella logistica di stoccaggio e scarico dei rifiuti, una volta in porto implicava inoltre un aggravio di spese di carburante (e produzione di CO2) per trasportare lo scarto alla discarica cittadina.
Questa soluzione è in compliance con la direttiva 2008/98 parte di Horizon 2020. Se il tema economico è secondario, non diviene meno importante nelle operazioni di retrofit. Al pari dell’inserimento di una cisterna di gas liquefatto al posto di una soluzione a benzina (parliamo ora di auto), il costo del retrofit su una nave non è solo economico, ma anche fisico. Ogni nave ha spazi studiati per essere saturati, specialmente se parliamo di navi da trasporto combinato (merci e persone).
“Seguendo il nostro piano energetico sulle nuove unità, che sono in produzione nei cantieri cinesi, stiamo integrando nel piano ingegneristico anche gli Ecodyger, in modo da avere un ciclo completo studiato per rendere efficiente non solo il rifiuto umido ma la sua stessa gestione operativa da parte dell’equipaggio”.
L’Unione Europea sta facendo grandi sforzi per integrare una visione di economia circolare ed economia Blue all’interno di ogni settore industriale; il comparto navale sta muovendo i suoi passi su questo tema, nonostante le diverse difficoltà da fronteggiare”, spiega ancora l’Energy Manager di Gnv”.
“Pensiamo, per esempio, all’utilizzo di carburanti più sostenibili. Per quanto il Gas Liquefatto (LNG) non sia ad impatto zero, è manifesto che la sua gas emission di combustione sia priva di zolfo rispetto alle attuali soluzioni a gasolio. Sussiste tuttavia un problema legato all’incertezza normativa e alla mancanza di infrastrutture adeguate: questi elementi, unitamente agli elevatissimi costi di revamping, rendono difficile, per un armatore o un imprenditore, fare investimenti senza avere certezze basate su una normativa chiara e affidabile, come per esempio affrontare il retrofit di una nave per convertire l’impianto tradizionale in LNG, trattandosi di un’operazione di fortissimo impatto per l’Armatore, in termini di costi e di tempo”, aggiunge Canevari.
Tuttavia, come si legge nel rapporto dell’EMSA (European Maritime Safety Agency), l’Unione europea sta adottando questo tipo di carburante. A fare da apripista sono le nazioni nord europee come la Svezia. L’Italia, anche leggendo le osservazioni del Ministero dello sviluppo economico, sembra ancora indietro. Questo ecosistema burocratico e legislativo non del tutto chiaro è il primo elemento che inibisce gli investimenti, da parte degli armatori, verso soluzioni di riammodernamento della flotta con nuovi impianti Lng. I piccoli passi fatti a bordo delle navi, come l’Ecodyger, i led e le altre soluzioni localizzate, stanno lentamente cambiando un settore che, da solo, rappresenta la seconda più grande industria responsabile per l’inquinamento mondiale, quello dei trasporti.
Ho pensato quindi di sentire anche la startup innovativa che ha creato questo prodotto. Francesco Paolillo di Ecodyger ha sviluppato questa soluzione pensando all’impatto che i rifiuti umidi hanno sull’intera filiera del rifiuto.
“Grazie a Ecodyger, tutte queste realtà (navi, edifici etc..) possono ridurre in modo economico e sostenibile i loro scarti (rifiuti) organici fino al 90% del loro peso e volume. Il tutto è ottenuto grazie ad un ciclo di rigenerazione di sole 7/8 ore che avviene in totale sicurezza ambientale all’ interno di una vasca stagna, senza aggiunta di acqua e additivi chimici. Il ciclo restituisce un residuo solido secco stabile; una vera e propria risorsa naturale che è a tutti gli effetti, un ammendante compostato-misto (compost) impiegabile come concime e ammendante naturale al 100% oppure sempre conferibile alla raccolta differenziata come frazione umida-organica. In questo caso, aspetto di grande rilevanza, trattasi solo e comunque del 10-30% dello scarto umido originale trattato, privo di odori molesti e forme batteriche, conservabile per settimane e mesi permettendo così di ridurre al minimo gli spazi di conservazione e soprattutto la frequenza e costi di ritiro/conferimento alla raccolta differenziata. In questo modo potrete dire addio alla necessità di avere aree di stoccaggio refrigerate/climatizzate per la conservazione durante la stagione calda, e ai costi di ricondizionamento dei contenitori e aree di stoccaggio così come quelli di derattizzazione, particolarmente elevati e necessari nelle aree di conservazione dello scarto organico.”
In realtà questa soluzione non ha solo un aspetto “ecologico” ma si inserisce nella visione dell’Unione europea in materia di economia circolare e rifiuti umidi.
“Abbiamo pensato a questa soluzione perché fosse in compliance con le politiche di Zero Waste e tutti gli appalti pubblici verdi conosciuti come GPP (Green Public Procurement). Il problema è gestito e risolto veramente alla fonte così come indica e vuole la Direttiva Europea 2008/98/CE che regola appunto la gestione dei rifiuti e indica come massima priorità la prevenzione e riduzione alla fonte per una successiva e corretta preparazione al suo riutilizzo”, conclude Paolillo di Ecodyger.
Ora, se questo tema sembra di nicchia (trasporto navale e umido) si pensi al quadro di economia circolare generale. Con il nuovo D.M. del 2017 sulla Tarip (Tariffa Corrispettiva/Puntuale) sui rifiuti i grandi “produttori di rifiuti umidi” come ristoranti, mense, supermercati, etc… vedranno crescere in modo significativo la loro Tariffa, quindi la soluzione di questa giovane startup del Varesotto potrebbe essere una valida alternativa per abbassare le spese sui rifiuti.
Per quanto si debba ammettere che parlare di eocnomia circolare ed economia blu siano temi molto “grandi”, i primi passi, e i primi risparmi e guadagni, si possono fare in modo semplice e diretto. Resta da capire se e quando i grandi produttori di rifiuti umidi inizieranno a porsi il problema.