Gli errori delle istituzioni bancarie sulle criptovalute e cosa sta cambiando

scritto da il 08 Luglio 2018

Pubblichiamo un contributo di Marco Cavicchioli, fondatore de ilBitcoin.news, collaboratore del Cryptonomist –

Ultimamente pare che le grandi istituzioni mondiali facciano a gara a pubblicare analisi sulle criptovalute. Tuttavia non sempre tali analisi sembrano essere state condotte da studiosi realmente informati sui fatti.

La tecnologia che sta alla base delle principali criptovalute, ovvero blockchain, è infatti parecchio ostica a chi non è del settore o a chi non ha conoscenze in ambito informatico. Il problema è che se l’analista non ha competenze informatiche, e non si affida ad esperti del settore, rischia di fraintendere anche pesantemente persino i concetti di base, anch’essi complessi.

È ciò che è accaduto ad esempio alla Bis, ovvero la Banca dei Regolamenti Internazionali, che ha pubblicato tempo fa un rapporto sulle criptovalute (e di cui ha scritto Econopoly) con macroscopici errori che rendono evidente la scarsa conoscenza tecnica della materia.

Il primo macroscopico errore riguarda l’ipotesi che i volumi di scambio delle informazioni sulle reti P2P delle criptovalute siano tali da poter arrivare in futuro addirittura a congestionare la rete Internet fino a bloccarla. Il passaggio completamente errato è quello in cui si ipotizza che “milioni di utenti si scambiano file dell’ordine di grandezza di un terabyte”.

Chiunque conosca blockchain sa invece perfettamente sia che gli utenti comuni non si scambiano alcun file, ma si collegano ai nodi della rete in cui il file della blockchain è conservato, sia che questi nodi all’interno della rete Bitcoin ad esempio sono meno di diecimila, sia che i nodi stessi non si scambiano alcun file tra di loro ma si limitano ad aggiungere nuove informazioni al file della blockchain quando viene minato un nuovo blocco. In sostanza anche se Bitcoin dovesse sostituire Visa, il volume di traffico generato online dalla sua rete sarebbe al massimo pari allo 0,000024% del traffico totale di Internet.

Il secondo errore sta nell’ipotesi che le criptovalute non siano scalabili, dato che è già disponibile e funzionante una tecnologia innovativa chiamata Lighting Network che moltiplica a dismisura il numero di transazioni gestibili ogni secondo sulla rete Bitcoin.

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Basterebbero questi due gravi errori per far comprendere che probabilmente chi ha condotto quello studio non è nè sufficientemente informato, nè sufficientemente aggiornato per essere realmente in grado di analizzare e giudicare queste tecnologie. A questo punto è lecito dubitare anche di tutte le altre conclusioni a cui la stessa analisi arriva, visto che se sono errati addirittura i presupposti difficilmente le conclusioni sono corrette.

Tuttavia anche altre istituzioni hanno pubblicato ultimamente dei propri studi sull’argomento, dimostrando invece una maggiore comprensione degli aspetti tecnici di queste tecnologie, assolutamente rilevanti per poterne comprendere il reale valore.

La prima è stata addirittura la Fed di St. Louis che ad aprile pubblicò uno studio decisamente ben fatto, corretto dal punto di vista tecnico, che non a caso giunge a conclusioni diametralmente opposte a quello della Bis. Ad esempio arriva ad affermare che Bitcoin “funziona”.

Di pochi giorni fa invece è un nuovo rapporto pubblicato dal Parlamento Europeo, redatto dalla Commissione per i problemi economici e monetari (ECON), in cui le transazioni in criptovalute vengono definite “relativamente sicure, trasparenti e veloci”, ed in cui le criptovalute stesse vengono definite “vero e proprio denaro privato” con la potenzialità di diventare “elemento permanente all’interno l’economia globale”.

Ma la prima grande istituzione a pubblicare qualcosa di specifico, approfondito e corretto è stata la FINMA, ovvero l’autorità svizzera di vigilanza sui mercati finanziari, che a febbraio ha pubblicato una guida pratica sulle ICO in cui ad esempio dimostra di aver compreso molto bene le differenze che ci sono tra le varie criptovalute ed i token.

Quindi sono già molte le istituzioni di livello nazionale o internazionale ad essersi pronunciate su questi argomenti, e le analisi che appaiono più corrette ed approfondite non sembrano essere particolarmente critiche nei confronti delle criptovalute. Al contrario invece gli studi più critici spesso sono superficiali o addirittura affetti da gravi errori.

Inoltre è proprio solo da febbraio 2018 che le istituzioni hanno realmente iniziato a studiare approfonditamente queste tecnologie, e probabilmente non è un caso che negli ultimi mesi le voci critiche si siano ridotte in numero e misura. Fino a tutto il 2017 infatti tali critiche provenienti dalle istituzioni erano numerose e praticamente tutte concordi nel non considerare queste tecnologie altro che un pericoloso gioco per informatici che si dilettano di finanza.

Da qualche mese a questa parte invece, probabilmente proprio grazie a studi più approfonditi, le critiche si stanno diradando, lasciando il posto ad interpretazioni più realistiche. La stessa cosa sembra stia accadendo anche nel mondo della finanza tradizionale, dove molte persone inizialmente ostili pare abbiano cambiato idea, o la stiano cambiando. Questa evoluzione è appena iniziata, e se dovesse continuare potrebbe addirittura portare le criptovalute a diventare nei prossimi anni uno degli strumenti finanziari del mainstream.

Twitter @cavicchioli

LinkedIn: Marco Cavicchioli