categoria: Res Publica
Scuola, ecco cosa vuol dire la nomina di Marco Bussetti al MIUR
Tortuga è un think-tank di studenti di economia nato nel 2015. Attualmente conta circa 50 membri, sparsi tra Italia, Francia, Belgio, Inghilterra, Germania, Austria, Senegal e Stati Uniti. Scrive articoli su temi di economia, politica e riforme, ed offre alle istituzioni un supporto professionale alle loro attività di ricerca o policy-making –
La scelta di una figura tecnica per la guida del MIUR suggerisce un mandato limitato alla revisione de La Buona Scuola. Ma nasconde due grandi pericoli: che si amplifichino le tendenze regionaliste e che si mettano a rischio le risorse dedicate all’istruzione.
Il Grande Assente
La scuola è uno dei grandi assenti nel rivoluzionario piano giallo-verde. Due sono i segnali più rilevanti in questo senso: la pochezza del capitolo Scuola nel Contratto di governo (vedi qui), e la completa assenza della stessa parola “scuola” (e della parola “cultura”) dal primo discorso ufficiale del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in quel di Palazzo Madama (vedi qui).
Secondo alcuni ci sarebbe in realtà anche un terzo segnale concorde: la nomina a ministro di Marco Bussetti, di simpatie leghiste e in precedenza a capo dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Milano[1]. Il nome di Bussetti è stata una delle novità (passata in secondo piano) dei funesti giorni della trattativa. In precedenza, infatti, la casella era stata attribuita al nome già proposto dal M5S, Salvatore Giuliano, dirigente scolastico di Brindisi con fama di grande innovatore.
Tuttavia rimangono notevoli similitudini con il preside pugliese, sebbene il neo ministro sia stato subito inquadrato come un burocrate col compito dell’ordinaria amministrazione (e dello smantellamento de La Buona Scuola). Entrambi, ad esempio, hanno in passato espresso opinioni costruttive e anche positive sulla riforma di Renzi (vedi qui). Ed entrambi sono pressoché sconosciuti sul piano politico nazionale, così come pressoché ignote ai più sono la loro idea complessiva di scuola e, soprattutto, la loro capacità di governo.
Insomma: che fosse Bussetti o Giuliano, per molti era scritto che la scuola non sarebbe stata uno dei protagonisti della XVIII legislatura. Per alcuni osservatori questa è un’ottima notizia: lasceremo la scuola al riparo dalla furia riformatrice giallo-verde, dandole finalmente modo di assestarsi e raggiungere un equilibrio. Eppure, a ben vedere, ci sono due motivi fondamentali per non dormire sonni tranquilli: le spinte regionaliste della Lega e i possibili attacchi alle risorse per la scuola.
Il pericolo più grande: il regionalismo scolastico
La volontà di “smorzare” la (presunta) spinta innovativa del Movimento 5 Stelle e di Giuliano potrebbe non essere l’unico motivo per cui, alla fine, il Ministero dell’Istruzione sia passato in quota Lega. Questa designazione potrebbe in realtà celare un altro obiettivo: trasferire sempre più competenze, in ambito scolastico, dallo Stato alle Regioni. Non va dimenticato, infatti, che la neonata legislatura sarà quella che accompagnerà Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna verso una maggiore autonomia, frutto dei referendum dello scorso ottobre – come prontamente ricordato dalla neo ministra per gli Affari Regionali Erika Stefani (vedi qui).
La scuola è sempre stata annoverata tra i desiderata degli autonomisti (vedi qui) e la nomina di Bussetti – il primo leghista a viale Trastevere – potrebbe rappresentare un modo per assecondare questi appetiti, devolvendo alle Regioni – se a tutte o solo a Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna non è dato sapere – sempre più competenze, a da quelle relative all’assunzione e alla nomina dei docenti. In direzione esattamente opposta, vale la pena di ricordare, rispetto alla riforma del Titolo V bocciata dal referendum costituzionale del 2016 (vedi qui).
Come ha ricordato pochi giorni fa su La Stampa Andrea Gavosto (vedi qui), la strada verso il regionalismo scolastico è lastricata di pericoli. Su tutti, la possibilità concreta che ulteriori devoluzioni possano amplificare i gap nei livelli di apprendimento che osserviamo tra Regioni e tra macroaree del Paese, già a livelli intollerabili (Figura 1).
In sintesi: Bussetti come “cavallo di Troia” per un Ministero e uno Stato centrale sempre più deboli, a tutto vantaggio delle Regioni e degli assessorati regionali.
Che ciò possa andare a beneficio del sistema scolastico nel suo complesso è tutto da dimostrare. Al contrario, l’esempio della Germania dovrebbe fungere da monito (Figura 2). ormai da tempo numerosi osservatori denunciano come l’assetto federale tedesco, in ambito scolastico, sia tra le più importanti determinanti della (crescente) disuguaglianza sociale osservata nel Paese (vedi Freitag e Schlicht, 2009). Le differenze istituzionali fra Länder, infatti, tendono ad accentuare i divari sociali dovuti al sistema di tracking[2], a differenze di reddito, istruzione e cittadinanza, e all’accesso differenziato ai servizi per la prima infanzia. Tutte dinamiche che si presentano sempre più di frequente anche in Italia.
La scuola come terra di conquista per nuove risorse
Il secondo motivo per cui la nomina di una figura come quella di Bussetti preoccupa è rintracciabile nel suo profilo politico. Come detto, non è un personaggio di spicco del governo, e non sembra essere portatore di un’idea complessiva di scuola o di un progetto di riforma. Questo potrà pesare (molto) nel momento in cui qualcuno (il ministro dell’Economia?) verrà a bussare alla porta del MIUR a caccia di risorse.
È innegabile: il Governo ha in agenda sfide e progetti molto costosi – la sterilizzazione dell’aumento dell’IVA [3], per dirne una, da una parte, e le proposte di bandiera su flat tax, reddito di cittadinanza e pensioni, dall’altra. Il contratto glissa sul tema delle coperture, ma la questione è ineludibile e ineluttabile: qualcuno dovrà pagare, e anche tanto. E nonostante il contratto parli di rimettere l’istruzione “al centro del nostro sistema Paese” con “strumenti efficaci”, da nessuna parte si fa esplicitamente menzione di risorse maggiori o invarianti per la scuola. Il budget del Ministero (tra i 56 e i 57 miliardi nel triennio 2017-2019; fonte) farà sicuramente gola, e servirà capitale politico – che Bussetti non ha – per difenderlo.
Un’ultima nota: nel contratto si parla invece esplicitamente di “incrementare le risorse” per l’università e la ricerca (p. 55). Bussetti – come la Fedeli – non proviene da quel mondo: vorrà battersi per questo obiettivo? Saprà farlo? Se il MIUR sarà terra di conquista, a farne le spese sarà probabilmente la scuola (nell’università e nella ricerca non c’è davvero più niente da tagliare). Ma si riuscirà davvero a generare maggiori risorse per i nostri atenei?
In conclusione, il nostro contributo si aggiunge al turbinio di “processi alle intenzioni” che popolano il dibattito italiano in questi giorni. Non sappiamo, infatti, che rapporto ci sia, in quest’inedita alleanza di governo, tra il dire, il non-dire e il fare. Siamo preoccupati che dietro il “cambiamento” si nasconda un effettivo regresso.
Che dire? Benvenuto ministro Bussetti e in bocca al lupo. Speriamo vivamente di essere smentiti su tutta la linea.
Twitter @Tortugaecon
[1] Gli Uffici Scolastici Territoriali sono divisioni degli Uffici Scolastici Regionali. Le funzioni assegnate loro sul territorio di competenza sono quelle di cui all’art. 8, comma 3, del DPCM n. 98 del 2014. Tra queste troviamo, ad esempio, assistenza, consulenza e supporto agli istituti scolastici e gestione delle graduatorie e dell’organico del personale docente, educativo e ATA.
[2] Si definisce come tracking la ripartizione degli studenti in diversi indirizzi scolastici – come avviene in Italia nella scuola secondaria di II grado o in Germania già dai 10 anni – oppure per livello di abilità o per curriculum all’interno di una stessa scuola – come avviene negli Stati Uniti.
[3] Anche se il Ministro Tria sembra non disdegnare l’aumento dell’IVA come forma di finanziamento.